Non profit
Messina, braccio di ferro con le mani nel fango
Confusione di competenze ad alto rischio tra Regione e governo
Mentre il volontariato isolano ha dato un’ottima prova di sé, i coordinatori locali della Protezione civile attendono istruzioni dal commissario Lombardo. Ma il coordinatore dei soccorsi è il prefetto
di Messina. In ballo c’è
la gestione dei futuri fondi
per la ricostruzione
Anche nella sciagura messinese la macchina del volontariato si è messa in moto. Fin dalle prime ore. Generosamente. 43 volontari dell’Anpas, quasi altrettanti delle Misericordie. Hanno lavorato nella zona rossa, le mani nel fango, alla ricerca dei dispersi, soccorrendo i senza tetto (gli sfollati, ora negli alberghi cittadini, sono circa 500). Sono 218 i volontari intervenuti nell’emergenza, distribuiti tra Rocca Lumera, Scaletta, Giampilieri, uno dei territori più colpiti (con una dotazione di 7 ambulanze, 9 autovetture, 2 furgoni, 5 pulmini e 21 fuoristrada). Vengono da tante località: Enna, Paternò, Santa Croce Camerina, Trapani, Palermo, Barcellona Pozzo di Gotto.
Rappresentanti di un associazionismo a statuto speciale, cioè tutto isolano, che comunque non ha fatto mancare la sua solidarietà concreta. «Siamo intervenuti fin dal primo momento, attivandoci da tutta la Sicilia tramite sms», spiega Lorenzo Colaleo, presidente regionale Anpas, «ora abbiamo avuto l’incarico di gestire il centro di stoccaggio di Rocca Lumera, a circa 17 chilometri da Messina». «Si è avuta una risposta forte da parte di tutte le associazioni locali, fin dalle prime ore della mattina di venerdì 2 ottobre», sottolinea a sua volta Santino Mondello, vice presidente delle Misericordie isolane.
La sequenza dell’intervento, del resto, è quella cui purtroppo siamo abituati. Prima le organizzazione di protezione civile, poi l’intervento delle altre. Lo conferma Rosario Ceraolo, direttore del Csv messinese che parla di «tragedia annunciata» (anche loro avevano fatto una circostanziata denuncia dei rischi del dissesto idrogeologico messinese, pubblicando un numero speciale del loro periodico Comunità solidali, intitolato «Oltre l’emergenza». Era il dicembre del 2007: lo trovate su www.cesvmessina.it). «Ora stiamo lavorando, in collegamento costante con l’Unità di crisi, per il coordinamento delle attività di volontariato e per il post emergenza, quando interverranno i volontari delle associazioni non di protezione civile. Abbiamo ricevuto offerte di aiuto anche da parte di altri Csv. Anche molti privati cittadini si mettono a disposizione. Sono desiderosi di aiutare, ma per il momento il loro contributo non serve. Devono aspettare».
Già, si sa d’altronde che il post emergenza sarà lungo. Il rischio che spenti i riflettori si cheti l’attenzione è molto, molto reale. A Messina, un pugno di chilometri da Giampilieri, la vita prosegue quasi normalmente. Domenica 4, il silenzio per le vittime della frana è sceso solo sui campi calcistici di Palermo e di Messina. Le altre squadre, anche quelle siciliane, non hanno ritenuto di aderire. La periferia della marginalità, sussurra qualche messinese.
Ci vorrà tempo e tanta costanza per far fronte anche a questa emergenza. D’altronde «parliamo di una zona in cui la carenza abitativa era la normalità, di una città che porta ancora i segni del terremoto del 1908. Non vi è dubbio che la carenza abitativa sia peggiorata dopo questa alluvione», aggiunge Ceraolo.
Nel frattempo alcuni, il mondo del volontariato compreso, cominciano a interrogarsi se sia o meno il caso di costruire il ponte o non sia meglio invece destinare quelle risorse alla messa in sicurezza dei territori, un’operazione per la quale, secondo il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, sarebbero necessari 25 miliardi di euro.
Ma a complicare una situazione già non semplice (e sulla quale peseranno le iniziative della magistratura, stante l’alto numero di allarmi lanciati e mai raccolti, di dossier scritti e mai letti), il probabile braccio di ferro tra la Regione (il cui presidente, Raffaele Lombardo, seguendo una prassi consolidata è stato nominato Commissario per l’emergenza) e Protezione civile. La Sicilia è una regione a statuto speciale. Avrebbe potuto chiedere l’aiuto delle strutture nazionali e non l’ha fatto. «Ha scelto di fare da sola», commenta un volontario, «ma il Centro coordinamento dei soccorsi è gestito dal prefetto di Messina, e dunque da un rappresentante del governo». Di cui il sottosegretario Bertolaso fa parte. Il risultato è che i circa 350 funzionari della Protezione civile regionale sparsi sul territorio attendono le direttive dalla (di fatto) esautorata direzione regionale. A pensare male verrebbe da dire che in ballo c’è la futura gestione dei fondi per la ricostruzione. A pensar male.
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