Marisela Escobedo Ortiz è stata massacrata giovedì sera, alle 20, con un colpo di pistola a bruciapelo di fronte alle porte del Palazzo del Governo della città messicana di Chihuahua, proprio davanti alla “Cruz de los Clavos” NI UNA MAS, la croce di chiodi NEANCHE PIU’ UNA, innalzata dalla rete delle “donne in nero” e dalle madri delle giovani assassinate (Chihuahua è la capitale dell’omonimo stato dove c’è anche la tanto famigerata Ciudad Juárez). Marisela è stata uccisa per chiedere giustizia per sua figlia Rubí. “Non mi muoverò di qui finché non arresteranno l’assassino di mia figlia” aveva detto Marisela prima di accamparsi, lo scorso 25 novembre quando – a memento del mondo politico – si era tenuta la manifestazione di innalzare la Croce davanti al Palazzo del Governo per ricordare il femminicidio che solo quest’anno ha massacrato quasi 400 donne. Voleva passare il Natale e il Capodanno in questo luogo simbolo e, invece, è stata uccisa. La sua storia è incredibile e merita di essere raccontata. Sua figlia Rubí aveva 16 anni quando fu massacrata da Sergio Rafael, era l’agosto 2008. Da quando sparì e poi furono incontrati un pugno di ossa sua mamma Marisela, un’infermiera in pensione, aveva dedicato la sua vita per cercare giustizia per sua figlia, trasformandosi in una riconosciuta attivista dei diritti umani in Messico. Lo stesso giorno in cui il Segretario di Governo messicano Francisco Blake chiedeva ai cittadini di “tirarsi la paura di dosso per combattere i criminali” Marisela è stata dunque uccisa davanti al Palazzo del Governo perché non solo si era “tirata di dosso la paura” ma aveva marciato per giorni sino a Ciudad Juárez per esigere che fosse comminata la pena nei confronti dell’assassino confesso della figlia. La accompagnavano una carriola, la nipote di due anni e un cartello con la foto di Rubí. Un tribunale aveva infatti lasciato libero sulla parola l’assassino (adesso ex post questi giudici sono sotto inchiesta …). Marisela, lottatrice instancabile, riuscì assieme alle avvocate del Centro de Derechos Humanos de las Mujeres (CEDEHM) che un tribunale di cassazione tornasse sulla decisione e che Sergio Rafael, reo confesso, fosse condannato a 50 anni di carcere. “Mi sono stancata di fare il loro lavoro, adesso tocca a loro” diceva Marisela e, in effetti, mentre le autorità non riuscivano (o non volevano) trovare Sergio Rafael, lei con mezzi propri lo aveva scovato a Zacatecas, avvisando la Procura di Chihuahua, che incredibilmente disse che per questioni burocratiche non poteva arrestarlo. Perse le tracce dell’assassino la Procura di Chihuahua avvisò poi la madre che in coordinamento con la Procura Generale del Messico ed i singoli stati federali “cercavano l’assassino di sua figlia in tutto il Messico”. Risultati zero, non l’hanno mai trovato. Per due anni Marisela ha percorso il Messico, tornò a Zacatecas dove intanto il killer di Rubí aveva naturalmente fatto perdere le sue tracce, andò a Città del Messico dove chiese udienza al presidente Calderón e al Procuratore Capo Arturo Chávez Chávez, che si negarono di riceverla. Promesse tante, risultati zero. Pochi giorni fa aveva partecipato ad un atto pubblico in cui c’era anche il Governatore di Chihuahua, César Duarte. Con un cartello Marisela chiedeva “Gustizia, privilegio dei governi”. La richiesta scritta sul cartello fece infuriare il Governatore come riportarono tutti i quotidiani locali. Il governatore la insultò pubblicamente. Lucha Castro, coordinatrice del Centro de Derechos Humanos de las Mujeres (CEDEHM) mi ha detto poco fa “in queste ore non possiamo scartare nessuna pista, compresa quella di un crimine di Stato perché Marisela non si sarebbe mai fermata fino all’arresto dell’assassino della figlia”. Giovedì sera qualcuno ha deciso di fermare Marisela e la sua sete di giustizia, uccidendola.
AGGIORNAMENTO: Poco fa è stato ucciso anche il cognato di Marisela. Inoltre, sabato il negozio del compagno di Marisela è stato dato alle fiamme. La domanda è: il Messico è ancora uno Stato o è uno Stato fallito?
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