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Messico, così rinasce un centro culturale

La storia del progetto, raccontata da Human Foundation, per il riscatto ed il finanziamento dopo anni di oblio del centro culturale Instituto Regional de Bellas Artes, che offre servizi a circa 300 bambini di El Mante nel cuore di uno Stato in mano al narcotraffico

di Filippo Montesi

22°44′33″N 98°58′20″O, El Mante. Otto anni dopo, nuovamente nel pueblo di mia madre.

È passato molto tempo. Non è cambiato niente, ma è cambiato tutto. Apparentemente tutto si è cristallizzato, la casa di mia nonna con gli stessi vecchi mobili, le stesse strade rotte con i cani randagi, gli angoli del centro senza storia con i venditori ambulanti di cd pirata e fritanga; tuttavia non è più quella città che si fregiava di produrre lo zucchero più dolce del paese.

La libertà che si respirava, o che più probabilmente si percepiva, è svanita: il narcotraffico, sempre esistito, è divenuto virulento ed ha insanguinato l’intero territorio. Chi aveva qualcosa da perdere è scappato oltre il Rio Grande o sull’altipiano della capitale. Ai venditori ambulanti agli angoli delle strade si sono affiancate las camionetas dell’esercito e dei federali in passamontagna. Le persone utilizzano il meno possibile l’auto per paura di essere assaltati o sequestrati. Il trasporto pubblico è stato eliminato e sostituito dal trasporto privato dei narcos.

Volver, ha provocato una sensazione strana, tra l’allegria per la riscoperta di un io lontano e la tristezza della consapevolezza di un “pinche pueblo que no logra ir palante”.

Ma non è tutto nero sotto i raggi violenti del sole e i colori tropicali. In questo viaggio ci sono anche novità positive, seppur in nuce.

Una di queste è il riscatto ed il finanziamento da parte dello Stato del Tamaulipas, dopo anni di oblio, di un centro culturale, Instituto Regional de Bellas Artes (IRBA), che offre servizi culturali alle famiglie de El Mante. L’IRBA fu fondato nel 1956 da José Chong Ramírez, direttore della Sociedad Cooperativa de Ejidatarios y Obreros del Ingenio del Mante. A causa delle difficoltà amministrative ed economiche della società cooperativa il centro fu chiuso negli anni ‘90, e rimase inaccessibile alla comunità locale fino al 2014. L’intervento dello Stato attraverso l’iniezione di risorse ha permesso la riapertura ed il rilancio delle attività culturali e formative per le nuove generazioni de El Mante.

Circa 300 bambini e adolescenti possono seguire corsi di musica, pittura, lingua inglese, partecipare al teatro o al coro, in un ambiente rilassato e colorato. Il centro ospita anche un piccolo museo di archeologia, “Adela Piña Galván”, dove sono esposti resti archeologici e opere della cultura regionale Huasteca, che tradizionalmente è stata trascurata nonché sdegnata rispetto alla modernità del Nord.

Visitando il centro, la prima sensazione è stata quella della tranquillità e del sollievo per aver trovato un’oasi di pace. Inevitabilmente non ho potuto che cercare di ricondurre le attività di questo centro culturale nel contesto del mio lavoro. Mi sono, quindi, sorte molte domande riguardo la sostenibilità e le relazioni con il territorio locale che questa esperienza, così unica nella sua semplicità e difficile esistenza, potrà sviluppare. Mi sono anche chiesto che senso avrebbe l’applicazione di modelli e strumenti, che avoco e svolgo nel mio lavoro quotidiano in Italia, di pianificazione e valutazione strategica. La prima risposta, o meglio reazione, è stata di irritazione per l’onerosità e l’insensibilità di qualsiasi approccio alla misurazione: un lavoro faticoso, in un contesto talmente difficile e complesso, ulteriormente appesantito dalla moda del momento.

A distanza di qualche giorno ho ripensato a quella sorprendente visita, e mi sono chiesto chi conoscesse l’impatto di questo centro culturale a Ciudad Mante, oppure a Ciudad Victoria (capoluogo dello Stato di Tamaulipas) o nei centri del potere economico e politico del Distrito Federal. Ho avvertito l’ingiustizia di non poter far emergere tutto quel valore sociale che il centro culturale sta producendo, non semplicemente per attrarre maggiori finanziamenti, bensì per dare speranza ad altri pueblos come El Mante, che ancora non dispongono di una tale risorsa o non l’hanno saputa valorizzare.

Una valutazione – che sia un pretesto per innescare processi di partecipazione degli attori del territorio; che si focalizzi su ciò che veramente conta, come il cambiamento vissuto dagli utenti del centro e dalle loro famiglie; che riesca a raccogliere evidenza, sebbene non scientifica, del valore generato per comunicarlo efficacemente; che mostri e assicuri come il denaro pubblico è stato speso; che individui degli insegnamenti da condividere con altre realtà simili – si trasforma da fardello a strumento di liberazione dalla violenza strutturale che permea la società messicana.

Non sarà certo questo centro culturale, né tanto meno sarà un processo di valutazione a cambiare le relazioni di potere che alimentano e regolano la guerra del narcotraffico, sviluppata in un contesto di complessi processi di globalizzazione e di concentrazione economica del continente americano. D’altra parte, sperimentare forme partecipative di valutazione potrebbe essere un modo per contribuire a diffondere nuovi semi di speranza, dal basso della terra nera di questa e tante altre cittadine, e far tornare lo zucchero de El Mante dolce come un tempo.

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