Cultura

Messaggio del Papa per la 35^ Giornata mondiale della Pace

Testimoni di giustizia e perdono per un mondo di pace

di Redazione

Il Messaggio di Giovanni Paolo II in occasione della Giornata Mondiale della Pace 2002 è un conforto alla speranza per un mondo che sta cadendo sempre più nel terrorismo e nella guerra. È anche uno sprone a non farsi immobilizzare dalla paura, vendetta, odio, spingendo persone e popoli a diventare “strumenti” di pace. Questo compito è affidato soprattutto ai membri delle religioni (“il genuino sentimento religioso è…il principale antidoto contro la violenza e i conflitti”, n.14); ma è un campo aperto “a credenti e non credenti, agli uomini e alle donne di buona volontà, che hanno a cuore il bene della famiglia umana e il suo futuro” (n. 15). E’ la prima volta che il Messaggio della Pace chiede uno sforzo comune a credenti e non credenti, senza distinzioni: nelle altre edizioni vi erano degli appelli specifici dedicati ai cattolici, ai cristiani, alle religioni, agli atei, ecc… E questo è segno di particolare urgenza e radicalità.
L’urgenza: dopo l’11 settembre, il giorno in cui “fu perpetrato un crimine di terribile gravità” (n.1), in tutto il mondo c’è un senso profondo “di intima paura”. È urgente per la Chiesa annunciare che il male, il mysterium iniquitatis non ha l’ultima parola nelle vicende umane. È anche urgente domandarsi “qual è la via che porta al pieno ristabilimento dell’ordine morale e sociale così barbaramente violato” (n. 2).
La radicalità sta nella risposta: occorre “la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il perdono” (n.2). Spesso si pensa che giustizia e perdono siano in opposizione. Il Papa sembra quasi alludere a tutti i dibattiti, gli impacci, i buonismi e gli interventismi che hanno caratterizzato questi mesi le operazioni di “enduring freedom” in Afghanistan. “Il perdono – egli dice – non si contrappone…alla giustizia, perché non consiste nel soprassedere alle legittime esigenze di riparazione dell’ordine leso. Il perdono mira piuttosto a quella pienezza di giustizia che conduce alla tranquillità dell’ordine, la quale è ben più che una fragile e temporanea cessazione delle ostilità, ma è risanamento in profondità delle ferite che sanguinano negli animi. Per un tale risanamento la giustizia e il perdono sono ambedue essenziali” (n. 3).
Il Papa condanna il terrorismo internazionale perché mina alla base “la pace fondata sulla giustizia e sul perdono”. Nessun leader politico d’oriente e d’occidente aveva finora condannato con più forza il terrorismo, divenuto “una rete sofisticata di connivenze politiche, tecniche ed economiche”. Giovanni Paolo II lo definisce in modo netto “un vero crimine contro l’umanità” (n. 4) perché esso si fonda sul “disprezzo della vita dell’uomo” (n. 4), manifesta “disperazione nei confronti della vita e del futuro” (n. 6), nasce e si riproduce “dall’odio” e “dall’istinto di morte” (n. 4).
Con tutto questo il Messaggio non si presta a strumentalizzazioni. Se da una parte il Papa afferma che “esiste… un diritto a difendersi dal terrorismo”, egli sottolinea che tale diritto va esercitato identificando i colpevoli, con una responsabilità penale “personale”, senza estenderla a nazioni, etnie, religioni alle quali “appartengono i terroristi”. Non si può quindi far pagare a irakeni, somali, yemeniti, palestinesi le responsabilità di questo o quel terrorista. La lotta al terrore deve anche prevedere un lavoro politico, diplomatico ed economico “per risolvere con coraggio… le eventuali situazioni di oppressione e di emarginazione che fossero all’origine dei disegni terroristici” (n. 4).
Nel suo Messaggio il Papa smitizza ogni pseudo-valore legato al terrorismo o a qualunque ideologia che pretenda di affermare la giustizia con la violenza (no-global? guerriglia colombiana?): le “ingiustizie esistenti nel mondo non possono mai essere usate come scusa”; fra le prime vittime del terrorismo vi sono “i popoli del mondo in via di sviluppo”, meno attrezzati a resistere al “caos globale economico e politico” generato dal crollo radicale dell’ordine. “La pretesa del terrorismo di agire in nome dei poveri è falsa” (n. 5).
Il Papa smitizza anche la pretesa religiosa del terrorismo “figlio di un fondamentalismo fanatico” che pretende di “imporre a tutti l’accettazione della propria visione della verità”. “Il fanatismo fondamentalista è un atteggiamento radicalmente contrario alla fede in Dio. A ben guardare il terrorismo strumentalizza non solo l’uomo, ma anche Dio, finendo per farne un idolo di cui si serve per i propri scopi” (n. 6). Egli chiede a tutti i responsabili delle religioni di non avere indulgenza verso il terrorismo: “È profanazione della religione proclamarsi terroristi in nome di Dio, far violenza all’uomo in nome di Dio” (n. 7). A ben guardare il Papa non si rivolge solo agli Sheik musulmani vicini a Bin Laden. Vi sono anche coloni ebrei fondamentalisti che fanno della distruzione dei palestinesi il loro progetto; o fondamentalisti protestanti che hanno gioito per le distruzioni dell’Afghanistan, premessa al loro impegno “evangelizzatore”. Dopo l’11 settembre nessuno si può confessare totalmente innocente. Per questo il Papa propone la strada del perdono: essa è la strada dei “seguaci di Cristo”, ha “misure divine”, ma si presta a “considerazioni di umana ragionevolezza” (n. 8).
Il perdono è “un’iniziativa del singolo”, ma ha pure una dimensione sociale. Famiglie, gruppi, stati, comunità internazionale “hanno bisogno di aprirsi al perdono per ritessere legami interrotti, per superare situazioni di sterile condanna mutua, per vincere la tentazione di escludere gli altri non concedendo loro possibilità di appello. La capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società futura più giusta e solidale” (n. 9). Il perdono è addirittura “condizione dello sviluppo”: in mancanza di perdono, infatti, le risorse di una nazione vengono sciupate per sostenere la corsa agli armamenti, le guerre, le ritorsioni economiche (cfr. n. 9).
Il Papa insiste sulla “necessità del perdono”, pur sapendo che questa “strada maestra” è difficile e paradossale: l’apparente “perdita a breve termine” nel perdono “assicura un guadagno reale a lungo termine”, al contrario della violenza che per “un guadagno a scadenza ravvicinata” porta a “una perdita reale e permanente”. (n. 10).
Lanciando la proposta della giustizia e del perdono Giovani Paolo II mira a “un generale rinnovamento nei cuori delle persone e nelle relazioni tra i popoli della terra”. Per questo egli suggerisce alcuni passi urgenti e necessari:
1) trovare una “risoluzione del conflitto arabo-israeliano” tenendo in debito conto “i diritti e le esigenze di ciascuno” (n. 11);
2) accrescere la cooperazione interreligiosa “per eliminare le cause sociali e culturali del terrorismo, insegnando la grandezza e la dignità della persona e diffondendo una maggiore consapevolezza dell’unità del genere umano”. In particolare egli esorta leader religiosi ebrei, cristiani e musulmani a condannare pubblicamente il terrorismo “rifiutando a chi se ne rende partecipe ogni forma di legittimazione religiosa o morale” (n. 12);
3) le religioni devono favorire “la formazione di una pubblica opinione moralmente corretta” introducendo nella società una “pedagogia del perdono”: la strada del perdono è la strada attraverso cui si scopre “una Verità più grande”, Dio stesso.

E proprio per preparare a una pedagogia del perdono, il Papa ricorda l’importanza della preghiera per la pace. La preghiera non “viene dopo” l’impegno: essa sta alla base dell’edificazione di una società nella giustizia e nella pace. Da questo punto di vista egli traccia altri due elementi essenziali per il futuro del mondo. Uno immediato: l’incontro interreligioso di Assisi; uno più costante: il garantire la libertà religiosa nelle nazioni. Entrambi esaltano il “genuino sentimento religioso.. sorgente inesauribile di mutuo rispetto e di armonia fra i popoli:… principale antidoto contro la violenza e i conflitti” (n. 14). La preghiera abbraccia tutte le situazioni: le vittime degli attentati, le vittime delle guerre e violenze, perfino i terroristi senza pietà: “sia loro concesso di rientrare in se stessi e di rendersi conto del male che compiono, così che siano spinti ad abbandonare ogni proposito di violenza e a cercare il perdono”.

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