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Mense, uno spiraglio c’

La legge che trasforma le comunità d'accoglienza in "industrie alimentari" non si tocca, ma si potranno stabilire regole più eque per il non profit.

di Redazione

Il verdetto del ministero della Sanità era stato categorico: niente deroghe, niente vie d’uscita sul problema delle cucine nelle comunità d’accoglienza. Ma l’ondata di proteste suscitate da quel secco “no” ci hanno spinto a riprendere in mano la questione, ottenendo chiarimenti. Si tratta di una vicenda che interessa le centinaia di comunità e case alloggio italiane che accolgono minori, disabili o anziani e in cui è presente una cucina per la preparazione dei pasti agli ospiti. Una legge, la 155/97, ha stabilito (recependo norme europee) che qualsiasi luogo in cui avviene «la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione, di prodotti alimentari» è una “industria alimentare” e come tale è soggetta a precisi obblighi igienico-sanitari. Non importa se la struttura è piccola e senza fine di lucro (quindi ben lontana dall’essere “industria alimentare”), e se soprattutto già rispetta le norme sanitarie vigenti. La nuova legge cala dall’alto, ed entro il 31 marzo 2000 anche le associazioni o fondazioni con meno di 5 dipendenti che gestiscono comunità di accoglienza dovranno mettersi in regola con costosi lavori di adeguamento e opere in muratura (dovranno ad esempio ricavare una zona pranzo separata dalla cucina, costruire un bagno con antibagno riservato al personale, dotare ogni addetto di uno spogliatoio di 1,5 mq con armadietto, attrezzare la cucina con doppi lavelli). Spese previste, decine e decine di milioni: un modo facile e veloce per costringere alla chiusura queste realtà di cui è fatta la rete di servizi alla persona in Italia. Una prospettiva ribadita da un parere ufficiale del ministero della Sanità che ha fatto sapere di non poter modificare le norme. Ma le associazioni non ci stanno. In poco tempo ci hanno scritto in tanti. Dai promotori della campagna, le venete associazione Lila e fondazione Bernardi, ai coloro che l’hanno sostenuta anche dopo il parere del ministero: l’associazione per l’Aiuto a soggetti con sindrome di Prader-Willi (di Druento in provincia di Torino), alle altre torinesi Unione per la tutela degli insufficienti mentali, associazione Tutori volontari e Coordinamento Sanità e Assistenza fra i movimenti di base, il villaggio S. Antonio di Noventa Padovana (Padova), l’associazione fiorentina Progetto Arcobaleno… Il ministero della Sanità è dunque sordo a ogni richiesta? “Vita” è riuscita a saperne di più. La portavoce del ministro, Chiara Rinaldini, ha annunciato che sebbene le norme europee non si tocchino («Il ministro si è più volte espressa su questo tema, la legge 155 non si può modificare» ci ha detto), ci sarà qualche margine di manovra nel momento in cui si andrà a stendere l’Atto di indirizzo e coordinamento della stessa legge 155. «In quel documento si fisseranno i criteri per l’accreditamento delle strutture con gli enti pubblici» ha spiegato la dottoressa Rinaldini. «Si potranno dunque apportare alcuni correttivi per salvaguardare le realtà non profit di piccole dimensioni». I dettagli, ovviamente, saranno da definire nel documento stesso che verrà pubblicato «nei prossimi mesi». Ora, è evidente che l’Atto di indirizzo dovrà precedere la data dopo la quale scatteranno le sanzioni per gli inadempienti, il 31 marzo 2000. Per questo occorre sollecitare il ministro Bindi a non ignorare le richieste delle realtà non profit: vi invitiamo a mandare fax alla sua segreteria al numero 06.59945226.


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