Attivismo
Meno volontari? Colpa della burocrazia
Nel nuovo Quaderno del Cesvot un’analisi delle trasformazioni, delle nuove sfide e dell’evoluzione in corso nelle organizzazioni del Terzo settore. A colpire al di là di un calo nei numeri certificato dall’Istat è l'impatto che alcuni irrigidimenti burocratici hanno su un impegno sempre più disarticolato da parte soprattutto dei giovani. Ne abbiamo parlato con Andrea Salvini che con Irene Psaroudakis ha curato il volume
È realizzato da Cesvot, in collaborazione con l’Università degli Studi di Pisa, il volume Come sono cambiati i volontari – Uno sguardo lungo vent’anni, curato da Irene Psaroudakis e Andrea Salvini, ultimo testo della collana “I Quaderni” del Csv della Toscana.
Il volume (scaricabile qui previa registrazione all’area MyCesvot) analizza il panorama in evoluzione del volontariato sia nella regione Toscana dove si contano oltre 418mila volontari, sia in Italia. Sfogliando le pagine non possono non saltare all’occhio le trasformazioni e le dinamiche che marcano dei forti cambiamenti.
Nel volume emerge che le organizzazioni devono affrontare sfide come la burocrazia eccessiva, il rischio di diventare troppo aziendali soprattutto per la necessità di entrare in rapporto con le pubblica amministrazione per l’erogazione dei servizi e la necessità di mantenere un dialogo equilibrato con istituzioni e cittadini. «Si potrebbe pensare che il problema sia quello di aumentare l’attrattività delle organizzazioni verso donatori e volontari» osserva Salvini. Ma non è così.
Troppa burocrazia e professionalizzazione?
La questione, continua il docente, va a toccare anche altri aspetti. «Si sta andando verso una professionalizzazione dei volontari ed è questo che fa propendere le persone verso un’azione prosociale autogestita. I tempi della vita vanno a contrastare con i tempi di un volontariato che si deve inserire in un’azione delle organizzazioni pensata per co-programmare e co-progettare gli interventi con l’ente pubblico», continua Salvini ricordando che, se per diventare volontario di un’organizzazione devo fare 300 ore di formazione e poi garantire una presenza stabile e programmata, il tutto appare più simile a un lavoro volontario, ma sempre un lavoro.
Insomma, più gli enti del Terzo settore devono avere credenziali e risorse da mettere sul tavolo della collaborazione con gli enti pubblici più, osserva ancora Salvini «si entra in un loop che alla fine paradossalmente impedisce ai volontari di aderire al volontariato».
Volontari, più uomini che donne
A guardare i dati più recenti dell’Istat (Censimenti permanente delle istituzioni non profit del luglio scorso di cui abbiamo scritto qui) che registra un aumento di queste realtà al cui interno operano gratuitamente un totale di 4.616.915 volontari e volontarie, salta all’occhio come i maschi (2.690.755) siano molto più numerosi delle donne (1.926.160). «Un dato controintuitivo», osserva Andrea Salvini, docente di Sociologia generale al Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa.
«Le principali differenze di genere emergono in particolare nelle organizzazioni che svolgono attività sportive, e poi attività ricreative e di socializzazione (queste sono soprattutto Aps o Asd). I differenziali di genere diminuiscono (fino quasi a raggiungere la parità) negli Ets che svolgono attività in ambito sanitario, e socio-assistenziale (soprattutto OdV e anche Aps, ma anche la cooperazione sociale)» analizza Salvini.
Addio ai classici volontari
Il docente invita a puntare l’attenzione soprattutto su una considerazione legata al fatto che i volontari “classici”, quelli continuativi e che vivono l’appartenenza a un’organizzazione sono sempre più minoranza.
Nel volume si fa notare che in Toscana – che conta 418.640 volontari – i volontari “effettivi” sono poco più di 180mila, cioè il 43% circa del totale complessivo.
I dati toscani si discostano da quelli nazionali, secondo cui i volontari che svolgono attività sistematica costituiscono il 49,2%. In Toscana, dunque, si nota una maggiore propensione alla discontinuità, alla “fluidità” rispetto a quanto registrato nel panorama nazionale.
«Il dato da considerare è che il volontariato saltuario è più della metà. Ed è un fatto da analizzare con attenzione perché a fronte dell’idea che i volontari siano il 10% della popolazione italiana, cosa che non è più, dobbiamo iniziare a considerare il fatto che quelli che tengono in piedi tutto questo mondo sono meno della metà di quanti vengono considerati», spiega Salvini.
In pratica continua il docente «se prendiamo 10 volontari, 4 lo fanno per conto proprio, dei sei che sono all’interno di un’organizzazione 3,5 sono saltuari. E non è solo una questione anagrafica con i giovani che sviluppano interessi contingenti e non desiderano, in linea generale, “aderire” alle associazioni sulla base di un principio di appartenenza, ma sulla base di un principio di coinvolgimento attivo che però non sia totalizzante». Salvini ricorda anche una ricerca di un paio di anni fa sulla propensione a fare volontariato dei toscani «la disponibilità degli interpellati era molto alta, ma solo il 39% dichiarò di voler essere volontario di un’organizzazione».
Sostenibilità da cercare
Siamo al declino del volontario di buona volontà? Non proprio per Salvini che parla più della «necessità di ripensare un’azione volontaria capace di garantire la sostenibilità di un volontariato che collabori con la Pubblica amministrazione».
Se la “passione” per il volontariato non cede, ma si nutre di nuove sfide, occorre ora confrontarsi con dilemmi impensabili solo vent’anni fa. Un passione che si esprime in trasformazione e innovazione da mettere a fuoco nei prossimi anni.
«Le organizzazioni devono ritornare a pensare il senso della propria esistenza e del fine della propria azione» conclude Salvini. «Capire, insomma, se essere solo erogatori di servizi o testimoni di valori attraverso un volontariato che sul territorio sia in grado di intercettare i bisogni dando loro un nome e risposte da consegnare alle amministrazioni pubbliche perché queste ultime li mettano al centro delle politiche».
È tempo di fare il tagliando alla riforma?
L’ultima riflessione riguarda la riforma del Terzo settore «forse è il caso di fare un tagliando alla legge perché il doppio effetto della pandemia che ha accelerato diversi processi e l’entrata in vigore del Runts richiede un non solo un racconto delle tendenze attuali ma anche uno studio attento».
Nella foto in apertura la giornata di volontariato Ri-Party-Amo dedicata alla pulizia delle sponde del fiume Seveso e alla piantumazione di 100 alberi a Bresso – Foto Alessandro Bremec/LaPresse
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