Famiglia
Meno sussidi e più opportunità per fermare la violenza sulle donne
Oggi servono meno sussidi e più opportunità. La protezione è indispensabile, soprattutto dopo una crisi di questa portata, ma ora servono anche politiche per rafforzare la capacità e le competenze delle persone in un mondo che cambia a una straordinaria velocità: vanno costruiti adesso gli strumenti per far cogliere le possibilità di lavoro che nasceranno dall’attuazione dal PNRR, dall’economia digitale alla transizione verde.
di Vanna Iori
Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale contro la violenza di genere, istituita sul presupposto che sia una violazione dei diritti umani. Purtroppo questa violenza è ormai un fenomeno strutturale delle nostre società che si fonda, in larga misura, sull’incapacità da parte di alcuni uomini di accettare la libertà e l’autodeterminazione delle donne. I numeri nella loro crudezza e verità stanno lì ad indicare la dimensione di un fatto drammatico che le istituzioni sono chiamate a contrastare con maggiore rigore e visione: mentre gli omicidi calano, i femminicidi aumentano. Parliamo di donne assassinate dai propri mariti, ex compagni, colleghi di lavoro. La causa di questa sofferenza legata all’identità di genere trova le sue radici nell’ordine dei rapporti tra uomini e donne: una violenza che è conseguenza della discriminazione, dal punto di vista legale e pratico, delle persistenti disuguaglianze.
Ora è chiaro che gli interventi normativi – seppur fondamentali – da soli non bastano, è la cultura della società che deve cambiare. Ed è il legislatore e la politica tutta a doversi fare carico di un cambiamento culturale: penso, per esempio, all’importante cammino compiuto dalle donne in parlamento alla metà degli anni ‘90 per la rubricazione del delitto di violenza sessuale da delitto contro la morale a delitto contro la persona. Ebbene, proprio quello è un importante esempio di come i parlamentari seppero farsi agenti di questo cambiamento. Per cambiare la mentalità occorre, quindi, tenere strettamente connessi, cultura, leggi, diritto, educazione perché le norme sono anch’esse cultura e perché gli interventi istituzionali segnalano che la violenza contro le donne diventa problema dello Stato e quindi problema politico.
L’Italia, purtroppo, non fa ancora abbastanza per combattere i femminicidi e la violenza sulle donne. Lo hanno detto gli esperti di Grovio, l’Organismo del Consiglio d’Europa che monitora l’applicazione della Convenzione di Istanbul. Mancano soluzioni domiciliari per chi fugge dalla violenza compiuta dentro le mura domestiche e i fondi pubblici, spesso insufficienti, sono utilizzati con difficoltà. Non si investe sulla preparazione e formazione delle forze dell’ordine e del personale socio-sanitario. Troppo spesso gli interventi di prevenzione e protezione sui territori sono a macchia di leopardo.
Un quadro che conferma l’urgenza di mettere in campo iniziative di sostegno più efficaci. Sono convinta che la prima forma di prevenzione stia nella capacità di mettere in campo iniziative che valorizzino la dignità delle donne. Senza uguaglianza si fa largo la violenza. Il divario salariale, l’estenuante prova delle donne per dimostrare la propria professionalità, il carico del lavoro di cura che pesa quasi totalmente su di loro, le immagini pubblicitarie che le schiacciano in stereotipi, spesso umilianti. Laddove il gender gap è maggiore, maggiore è la violenza sulle donne che spesso non hanno neppure gli strumenti economici e le stesse possibilità degli uomini di costruire un percorso autonomo nelle scelte di vita. Dunque, la prevenzione, intesa innanzitutto come corretta educazione alla capacità di riconoscere e rispettare le differenze nella parità è fondamentale.
Non possiamo ignorare l’insostenibile divario retributivo: la condizione di povertà femminile si traduce in perdita dei posti lavoro e livelli di disoccupazione superiori a quella degli uomini, povertà che si accompagna alla erosione dei diritti e alla esclusione sociale delle donne, soprattutto dopo la pandemia, a causa della interruzione di diverse attività economiche e sociali. La crisi in corso, infatti, ha rallentato l’occupazione femminile che era già notevolmente inferiore alla media europea. La discriminazione secolare e gli stereotipi di genere ancora caratterizzano la divisione del lavoro, l’assegnazione agli ambiti lavorativi più bassi e gli ostacoli ai percorsi di carriera. Le cause, dunque, non sono ascrivibili solo al Covid, che ha colpito i settori dove le donne sono più presenti, ma alla mancanza di una serie di fattori fondamentali che nel nostro Paese stentano a trovare una seria implementazione: un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare energia e tempo alle loro carriere, superando la scelta tra lavoro e famiglia; una formazione adeguata ai nuovi tempi; politiche attive del lavoro che rafforzino l’occupabilità effettiva. Soprattutto la riduzione dei servizi socio-assistenziali e socio-educativi ha riconsegnato molte donne al lavoro di cura e di assistenza non retribuito di anziani e bambini e al lavoro domestico. Molte lavoratrici sono state relegate in posti di lavoro temporanei, precari, sottopagati o part-time: condizione che ha colpito soprattutto le donne con bassi livelli di istruzione o provenienti da migrazione. E non possiamo ignorare la vergognosa situazione che anche dentro le famiglie e nei luoghi di lavoro ha ferito molte donne che sono state costrette a subire violenze o molestie sessuali per il timore concreto di perdere l’indipendenza e rimanere senza sussistenza economica. Inoltre il peggioramento delle condizioni di vita delle donne si ripercuote anche sui diritti dei loro figli. La povertà minorile è molto elevata nelle famiglie monoparentali che sono in maggioranza monoreddito e composte da madri sole con figli.
Si tratta di elementi che devono fondarsi su un profondo cambiamento culturale, dalla scuola al mondo produttivo, che dia inizio a una stagione di investimenti in infrastrutture sociali, nuove strategie formative, contrasto agli stereotipi e valutazione degli impatti di genere. Oggi servono meno sussidi e più opportunità. Vanno costruiti adesso gli strumenti per far cogliere le possibilità di lavoro che nasceranno dall’attuazione dal PNRR, dall’economia digitale alla transizione verde. La protezione è indispensabile, soprattutto, dopo una crisi di questa portata, ma ora servono anche politiche per rafforzare la capacità e le competenze delle persone in un mondo che cambia a una straordinaria velocità.
E questo deve accadere a partire dalla scuola e dall’università, dove pregiudizi e stereotipi radicati vogliono le donne meno inclini degli uomini per lo studio delle materie scientifiche (STEM). Sul fronte delle politiche attive serve incrementare le competenze e la formazione delle lavoratrici e delle disoccupate, anche per accompagnare la transizione verso un’economia sostenibile e digitale, e un riequilibrio territoriale del Sud e delle aree interne.
Infine, è ineludibile investire su un nuovo welfare. In Italia pesa l’assenza di sostegni al carico familiare e di servizi. Con il Covid, c’è stato un boom delle dimissioni: le neomamme hanno preferito lasciare il lavoro piuttosto che confrontarsi con la rigidità degli orari e l’assenza di aiuti nella gestione dei figli. Servono congedi parentali e di paternità, un reale potenziamento dei servizi educativi per la prima infanzia, servizi di sostegno per gli anziani e le persone non autosufficienti.
Dignità: questa è la parola chiave cui siamo tutti chiamati a rispondere in questo tempo, perché le ragioni profonde delle discriminazioni e della violenza risiedono anche nel costante non riconoscimento di piena cittadinanza delle donne.
*Vanna Iori, pedagogista, è ordinaria di Pedagogia all'Università Cattolica di Milano
Photo by Mika Baumeister on Unsplash
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