Welfare

meno cinque al 2015

di Joshua Massarenti

Dal 20 al 22 settembre l’Onu farà il bilancio dello stato di avanzamento degtli Obiettivi del Millennio. Per centrarli in appena un lustro
si dovranno strappare alla povertà ancora 500 milioni di persone. Un traguardo che i Grandi della Terra considereranno ancora possibile. Anche se
non sanno ancora come
Nella vita non basta fissarsi degli obiettivi. È opportuno raggiungerli. Quelli sottoscritti nel 2000 da 189 capi di Stato e di governo avevano il sapore di una sfida impossibile: ridurre del 50% la povertà nel mondo entro 2015. Sono passati dieci anni, e dal 20 al 22 settembre la comunità internazionale si riunirà al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite per fare un bilancio sui risultati (magri) ottenuti e le sfide (enormi) che si profilano nel prossimo quiquennio.
Se l’evento rischia di ridursi a una cerimonia funebre, c’è chi alla vigilia del Summit mondiale sugli Obiettivi del Millennio (Mdgs) crede che il miracolo non sia fuori target. Una scommessa audace riassunta in un documento di 31 pagine che dovrebbe essere adottato al termine del vertice. Con ogni probabilità, i leader mondiali ribadiranno fino allo spasimo che «gli Obiettivi del Millennio sono ancora raggiungibili, anche nei Paesi più poveri». Intanto qualcuno dovrà spiegare perché dal 1990, anno di riferimento statistico degli Mdgs, il numero di poveri costretti a vivere con meno di 1,25 dollari al giorno è calato soltanto da 1,8 a 1,4 miliardi. Per arrivare al 50% prefissato mancano ancora 500 milioni di persone da strappare alla povertà.

Altro che crisi
Oggi molti puntano il dito contro una crisi economica tanto imprevedibile quanto colpevole di aver ridotto in cenere le speranze accumulate in questi ultimi anni. Grazie a una mobilitazione straordinaria della società civile, i leader delle potenze più ricche del pianeta sono stati costretti a mettere mano al portafoglio, consentendo così agli aiuti pubblici allo sviluppo (Aps) di raggiungere la cifra record di 120 miliardi di dollari nel 2009, ovvero il 30% in più rispetto al 2004. Un successo in realtà en trompe l’oeil, visto che la promessa fatta dai Paesi ricchi di dedicare lo 0,56% del proprio Prodotto interno lordo agli Aps entro il 2010 non è stata mantenuta (oggi siamo fermi sullo 0,31%). L’idea di poter agguantare il fatidico traguardo dello 0,7% del Pil nel 2015 sembra una pura illusione. Per compiere il miracolo, l’Onu calcola che bisognerebbe tirare fuori 36 miliardi di dollari ogni anno. Con il profilo basso che lo caratterizza, il segretario generale, Ban Ki-Moon ne ha chiesti “appena” 26.
Una cifra insufficiente se si pensa alla lista della spesa stilata dai principali organismi internazionali per rispondere alle sfide colossali che ci aspettano. In cima c’è il cambiamento climatico i cui costi di adattamento per i Paesi poveri sono stimati in 100 miliardi di dollari annui da qui al 2020. A ruota l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, ne chiede 37 per la salute (l’obiettivo più tralasciato dalla comunità internazionale), ai quali si sommano 16 miliardi per l’Africa e altri 37 che secondo Oxfam sono necessari a combattere la malnutrizione. Dieci poi sono quelli che gli esperti indicano necessari per raggiungere l’obiettivo di garantire l’educazione primaria.

Ci penserà la Cina?
L’agenda del vertice è così piena da far venire il mal di testa. Eppure qualche priorità bisognerà darsela. Oltre alla crescita economica, la sicurezza alimentare, il climate change, l’Aids e l’Africa, gli esperti e ambasciatori attivi da settimane nel Palazzo di Vetro si sono messi d’accordo per inserire tra le loro priorità la necessità di rimediare al calo degli Aiuti pubblici allo sviluppo con meccanismi innovativi di finanziamento. Tra i più gettonati ci sono quelli basati sul gettito fiscale (tasse sul carburante, sul commercio di armi e su internet, Tobin tax, detax); sugli investimenti (l’International Finance Facility, cioè le emissione di buoni del tesoro acquistabili da investitori di tutto il mondo), e l’Advance Markets Commitments, garanzie statali dell’acquisto di un vaccino futuro per incentivare le case farmaceutiche a fare ricerca sulle malattie destinate ai poveri. Oppure sui meccanismi di partnership pubblico-privato come il Fondo globale per la malaria, la tubercolosi e l’Aids.
Probabilmente non basterà. In cuor suo, Ban Ki-Moon spera che le nuove potenze emergenti possano riservare una parte del Pil accumulato con la loro irrestitibile ascesa economica agli Aiuti allo sviluppo. Al pari del settore privato, Cina, India e Brasile (per citare i Paesi più importanti) potrebbero diventare i nuovi protagonisti della lotta contro la povertà nel mondo.

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