Guerra commerciale

Meloni sola da Trump? Farà il suo gioco, divide et impera

Massimo Morelli, professore di Scienze politiche ed Economia all'Università Bocconi di Milano, analizza la risposta dell'Ue alle tariffe doganali imposte da Donald Trump: «Non c'è un valore economico, i contro-dazi servivano per trattare. La politica commerciale è della Commissione, se il singolo Stato cerca vantaggi per sé ridurrà quelli della controparte europea». La sua previsione? «La crisi sarà temporanea, non ci saranno grossi licenziamenti»

di Francesco Crippa

Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 5 Gennaio 2025 Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni in visita da Donal Trump a Mar a Lago (Fl)

L’Unione europea ha scelto di congelare per 90 giorni i contro-dazi che aveva imposto contro gli Stati Uniti in risposta alle tariffe doganali volute da Donald Trump. Una scelta che ricalca quella del presidente americano e che sembra certificare un dato: nessuno vuole una guerra commerciale.

Secondo Massimo Morelli, professore di Scienze politiche e di Economia all’Università Bocconi di Milano, è presto però per cantare vittoria, perché se è vero che non si va verso una guerra commerciale ad alta intensità è comunque da escludere la totale assenza di dazi nel nuovo assetto che le relazioni Bruxelles-Washington assumeranno. In ogni caso, questa la rassicurazione di Morelli, gli effetti sul mercato del lavoro italiano saranno lievi. «Ci sarà probabilmente una crisi temporanea, ma per arrivare a licenziamenti massivi servirebbe una perdita di fatturato sostenuta per mesi o per anni».

Professore, i contro-dazi introdotti e poi sospesi dall’Unione europea servivano davvero? Oppure ci avrebbero penalizzato ulteriormente?

Fare dei contro-dazi vuol dire imporre ai nostri consumatori un prezzo maggiore sui beni importati. In questo modo si aggiunge all’aumento dei costi per chi produce, dettato dalle tariffe americane, anche un costo in più per i consumatori: quindi non mi sembra ci sia un valore economico vantaggioso. Va detto però che come i dazi di Trump sono stati un modo, pur duro e violento, per iniziare a negoziare, forse allo stesso modo la logica seguita dall’Unione europea è stata quella di far capire di saper fare un’analoga voce grossa in vista di una trattativa.

Come giudica la risposta dell’Unione europea?

L’Ue deve trovare una risposta comune e scoraggiare primi ministri nazionali, come Giorgia Meloni, dall’andare a fare una negoziazione alla spicciolata. La politica di commercio è delegata alla Commissione, quindi è questa che deve trattare. Ma l’obiettivo di Trump è proprio il divide et impera: con negoziazioni uno a uno, può ottenere da ciascuno Stato più vantaggi per sé riducendo quelli complessivi per la controparte europea.

L’Ue deve trovare una risposta comune e scoraggiare primi ministri nazionali, come Giorgia Meloni, dall’andare a fare una negoziazione alla spicciolata. La politica di commercio è delegata alla Commissione: è lei che deve trattare. Ma l’obiettivo di Trump è proprio il divide et impera

I dazi sono stati sospesi da entrambe le parti per 90 giorni. Secondo molti in questi tre mesi si troveranno dei nuovi accordi e il gioco finirà. E se non dovesse succedere?

Io non credo che arriveremo a una situazione di totale assenza di dazi doganali. Ora inizieranno delle negoziazioni e alcune tariffe rimarranno sul tavolo, ci sarà una situazione eterogenea. 

Questa situazione spingerà l’Ue verso altri mercati finora meno apprezzati soprattutto a causa di giudizi etici sulla natura dei loro governi, per esempio la Cina?

In un’ottica pragmatica, non vedo perché dovremmo mantenere verso la Cina lo stesso comportamento che abbiamo avuto prima di Trump. Se il commercio occidentale è messo in crisi da alcuni giocatori, mi sembra razionale andare a cercare nuovi partner all’interno dei Brics+, cioè Brasile, Russia, Indica, Cina, Sud Africa, Arabia Saudita, Etiopia, Egitto, Iran, Emirati Arabi Uniti.

In Italia c’è una forte dinamica di quello che viene definito lavoro povero, mentre le persone in povertà relativa sono oltre 5 milioni. Questa situazione potrebbe aggravarsi con la guerra commerciale che sembra delinearsi, per esempio a causa di licenziamenti o di eccessiva pressione sugli ammortizzatori sociali già esistenti?

Onestamente, non lo penso. Ci sarà probabilmente una crisi temporanea, ma per arrivare a licenziamenti massivi servirebbe una perdita di fatturato sostenuta per mesi o per anni o uno scenario con dazi e contro-dazi davvero al 25% come ha minacciato Trump, ma io non penso che si verificherà né l’una né l’altra cosa.

Ci sarà una crisi temporanea, ma per arrivare a licenziamenti massivi servirebbe una perdita di fatturato sostenuta per mesi o per anni o uno scenario con dazi e contro-dazi davvero al 25% come ha minacciato Trump. Io non penso che si verificherà né l’una né l’altra cosa

Perché?

Come ho detto, si tratta di una manovra per arrivare a negoziare e quindi alla fine ci saranno sì alcune tariffe ma comunque più basse del 25%. L’unico rischio è appunto se dovessero portarsi a lungo, ma lo escludo. I costi di una guerra commerciale saranno pagati infatti anche dai consumatori americani, che quindi potrebbero decidere di bocciare Trump e i repubblicani alle elezioni di mid-term del 2026.

Trump non mette a rischio solo la nostra economia, ma chiedendo alle aziende europee di adeguarsi alla sua crociata contro gli obiettivi DEI (diversity, equity and inclusione) minaccia anche l’inclusione sociale.

Come tante piattaforme populiste, quella trumpiana è una piattaforma di esclusione, percepita dai suoi elettori come necessaria per la protezione della maggioranza. L’elettore-tipo di Trump è un maschio bianco del Midwest, che vede positivamente l’esclusione delle minoranze dal mercato del lavoro. Ora davanti al cambiamento tecnologico il maschio bianco del Midwest si sente minacciato anche da intelligenza artificiale e robot. Non potendo opporsi, per ovvi motivi, al cambiamento tecnologico, creare una piattaforma di esclusione delle minoranze lo tranquillizza: invece di due competitor ne avrà solo uno.

Che senso ha “esportare” questa piattaforma di esclusione?

È un tentativo che non mi sorprende, perché per far vincere la prospettiva dell’esclusione bisogna indebolire chi difende l’inclusione, che oggi sembra essere l’Europa. Non so però quanto possa essere rilevante l’appello di Trump, credo che serva di più a convincere i suoi elettori che la sua battaglia ha davvero forti convinzioni ideologiche.

In apertura, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni in visita da Donal Trump a Mar a Lago. Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 

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