Immigrazione

Meloni e il J’accuse (inutile) alla Campania sui numeri del decreto flussi

Secondo la premier i decreti flussi verrebbero usati dalla criminalità come canale ulteriore di immigrazione irregolare. In modo particolare in Campania si sarebbe registrato un numero di domande di nulla osta al lavoro sproporzionato rispetto al numero dei potenziali datori di lavoro. «I controlli sul decreto flussi non sono di competenza della Regione», spiega Mario Morcone, assessore regionale alla Sicurezza, legalità e immigrazione della Campania. «L’unica competenza regionale in materia di immigrazione riguarda l’inclusione sociale»

di Anna Spena

La premier Giorgia Meloni ha presentato un esposto al Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo sull’applicazione degli ultimi decreti flussi. La ragione? Stando alle motivazioni fornite dalla premier verrebbero usati dalla criminalità come canale ulteriore di immigrazione irregolare. La premier ha definito “allarmanti” i dati emersi dal monitoraggio degli ultimi due anni, e tra le regioni che più desterebbero sospetto per il numero di domande c’è la Campania. 

I numeri che non tornano

Il Governo Meloni a fine 2022 ha varato un decreto per 82.705 persone in un anno, e poi nel 2023 ha reso triennale la programmazione della quota fissandola a 452mila persone, ampliando categorie professionali e settori produttivi. Ma secondo il Governo i monitoraggi avrebbero fatto emergere una macchina in difficoltà e un sospetto di “frodi” legate anche alle “infiltrazioni della criminalità organizzata” in modo particolare in Campania dove si è registrato un numero di domande di nulla osta al lavoro per extracomunitari, durante il click day, “totalmente sproporzionato” rispetto al numero dei potenziali datori di lavoro, siano essi singoli o imprese. Parliamo di 109.716, un dato cinque volte superiore a quelle del Lazio o del Veneto. «È ragionevole ritenere che le stesse degenerazioni si trascinassero da anni e mi stupisce che nessuno se ne sia reso conto», ha sottolineato la premier, annunciando che l’esecutivo modificherà «i tratti operativi che hanno portato a queste storture, e lo faremo nel rispetto del principio che ispirò la legge Bossi-Fini che ha regolamentato il fenomeno in questi anni: cioè consentire l’ingresso in Italia solo a chi è titolare di un contratto di lavoro».


L’accusa regge?

«La regione Campania», spiega Mario Morcone, assessore regionale campano alla Sicurezza, legalità e immigrazione, «non c’entra assolutamente nulla, i decreti flussi sono competenza esclusiva dello Governo centrale. Però la premier ha l’ansia di parlare male della Regione… Gli ingressi del decreto flussi sono competenza del Ministero dell’Interno. Basta semplicemente ripercorrere il meccanismo: dal sito del Ministero dell’Interno un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante, può fare richiesta d’ingresso per un lavoratore straniero ancora residente all’estero. Dalla compilazione della domanda le prefetture hanno 20 giorni per accertare che l’azienda esista e che abbia effettivamente bisogno di quel lavoratore. Una cosa concretamente impossibile visto che il giorno del click day arrivano migliaia e migliaia di domande». Qual è l’esito finale? «Dopo 20 giorni», continua Morcone, «c’è una sorta di silenzio/assenso e il lavoratore arriva in Italia ma senza contratto di lavoro. Perché non essendo stato effettuato nessun controllo è probabile che non esista nessun imprenditore o azienda pronta ad assumere, che l’impresa non esista, che la partita Iva sia falsa e molte altre ipotesi su questa falsariga». E allora perché tirare in ballo le regioni? «La regione Campania», spiega Morcone, «come le altre, non dispone di alcuno strumento normativo o operativo sulle domande che arrivano. In pratica: non è sua responsabilità controllare chi sono le aziende o i singoli che fanno richiesta del lavoratore. L’unica competenza regionale in materia di immigrazione riguarda l’inclusione sociale, quindi i percorsi di integrazione, dell’housing, della formazione professionale, o ancora dell’assistenza sanitaria, solo per citare qualche caso. Ma l’ingresso nel nostro Paese – chiunque esso sia – è un tema che appartiene esclusivamente allo Stato, quindi da questo tema sono totalmente estranee le Regioni e le autonomie locali».

Decreti flussi? Un meccanismo che si inceppa

In totale, quindi non solo in Campania, nel 2023 le domande pervenute nei click day sono state sei volte più numerose delle quote di ingressi stabilite: 462.422 istanze inviate a fronte di 82.705 posti disponibili. Per l’anno 2022 le domande invece erano state 209.839, più del triplo delle quote messe a disposizione (69.700). «Nel passaggio successivo alla domanda, il rilascio del nulla osta all’ingresso, si evince dai dati che migliaia di quote non vengono utilizzate. Nel 2022 i nulla osta rilasciati sono solo 55.084 a fronte di 69.700 quote disponibili (il 79,03%)», come spiegano i promotori della campagna “Ero Straniero”. «Il terzo passaggio è il rilascio dei visti per l’ingresso da parte delle rappresentanze italiane nei Paesi di origine. Dai dati del ministero degli affari esteri emerge che al 31 gennaio 2024, rispetto ai 74.105 ingressi previsti per l’anno 2023, risultavano 57.967 visti rilasciati e 10.718 visti rifiutati. Sappiamo, inoltre, che delle 57.967 persone che hanno ottenuto il visto, a quella stessa data, 38.926 (e cioè il 67,15%) risultavano ancora nello step “attesa convocazione”il meccanismo qui, chiaramente, si inceppa. Tra l’altro, rispetto alle quote 2022 (stabilite dal decreto flussi 2021) ci sono ancora oltre 2.300 visti pendenti, a confermare una pesante dilatazione dei tempi – ben oltre i limiti di legge – per questo passaggio della procedura. Ma il vero dato allarmante che la campagna svela, si registra nel passaggio successivo e riguarda la finalizzazione della procedura, con l’assunzione e il rilascio dei documenti: se guardiamo al rapporto tra le quote fissate nei click day del marzo 2023 e i contratti di soggiorno effettivamente sottoscritti, a fronte di 74.105 posti disponibili  (su 82.705 quote complessive, che includono le conversioni), solo 17.435 sono state le domande finalizzate con la sottoscrizione del contratto e la richiesta di permesso di soggiorno per lavoro, il 23,5%. Rispetto alla procedura per l’ingresso per il 2022, il tasso è un po’ più alto ed è del 35,2% ma rispetto a un numero di quote inferiore: su 42.000 posti per il canale stagionale, il tasso di successo è poco sopra al 36% (15.215 contratti sottoscritti), mentre, a fronte di 20mila ingressi non stagionali, il tasso di successo del relativo canale è del 33,4% (6.688 contratti sottoscritti). Solo una piccola parte di lavoratrici e lavoratori che entrano in Italia con il decreto flussi riesce a stabilizzare la propria posizione lavorativa e giuridica, ottenendo lavoro e documenti. Che fine fa il resto delle persone? è destinato a scivolare in una condizione di irregolarità e quindi di estrema precarietà e ricattabilità. Un paradosso drammatico per un sistema che dovrebbe garantire l’ingresso legale di manodopera e contribuire alla crescita al Paese. Di fronte a questo quadro estremamente preoccupante, uno strumento per evitare che un numero consistente di persone diventi irregolare c’è già, visto che la legge prevede che, in caso di indisponibilità all’assunzione da parte del datore di lavoro, al lavoratore venga concesso un permesso di soggiorno per attesa occupazione. Tuttavia, dai dati emerge che solo 146 permessi per attesa occupazione siano stati rilasciati rispetto agli ingressi stabiliti per il 2022, mentre per il 2023, ne risultano 84 (fino a gennaio 2024): sono interventi del tutto insufficienti rispetto alle decine di migliaia di persone che avrebbero necessità di poter rimanere legalmente in Italia e cercare un nuovo lavoro. Perché tanta rigidità nel ricorso a uno strumento che ridurrebbe significativamente irregolarità, precarietà e lavoro nero?».

Credit foto LaPresse/Ufficio stampa Palazzo Chigi/Filippo Attili

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