Politica

Meloni a Bruxelles: per ora tutto bene, ma ci sono i compiti a casa

La disponibilità europea sarà forte, ma non sarà fatta di indulgenze. Niente spesa inutile e difficile da controllare, ridurre il debito e soprattutto avanti con le riforme. Del resto su questo sarà misurato il Ministro dell'Economia Giorgetti il prossimo 7-8 novembre, alle riunioni Eurogruppo/Ecofin, pochi giorni prima che la Commissione presenti la sua proposta ufficiale di riforma del Patto di stabilità e crescita

di Luca Jahier

“Visita bagnata, visita fortunata”. Questa battuta scherzosa detta da Giorgia Meloni al suo ingresso al Parlamento Europeo riassume bene le aspettative e la soddisfazione di questa missione del Presidente del Consiglio a Bruxelles. Il segnale che voleva mandare, a pochi giorni dall’insediamento del nuovo governo italiano, con una visita ufficiale alle Istituzioni UE come primo viaggio all’estero, è stato recepito in modo molto positivo dai suoi interlocutori, con i quali si è intrattenuta in lunghi colloqui: il Commissario Gentiloni, i Presidenti del PE Metsola, della Commissione Von der Leyen e del Consiglio Michel. Tutti hanno rilasciato brevi e protocollari dichiarazioni positive.

Nessuna sorpresa politica, dialoghi franchi, sorrisi, strette di mano, abbracci, invito ad intervenire prossimamente all’Eurocamera e senza dubbio conferma che l’approccio esplicitato alle fine dei colloqui in conferenza stampa da Giorgia Meloni è quello che Bruxelles voleva sentire dal vivo: “….volevo dare il segnale di un’Italia che vuole partecipare, collaborare, difendere il proprio interesse nazionale e farlo all’interno della dimensione europea, cercando le soluzioni migliori per le grandi sfide che stiamo affrontando”.

Scambi su temi fondamentali, che vanno dal sostegno all’Ucraina, all’energia, fino al piano Next Generation Eu per l’Italia e alle migrazioni, così come sicuramente segnali e indicazioni che confermano le posizioni note di Bruxelles sui vari dossier e l’appuntamento alle prossime scadenza concrete, sia sul fronte italiano (NADEF e finanziaria) che europee (energia…). Si potrebbe dire che non solo il Presidente del Consiglio ha trovato la strada già ben spianata dall’opera del suo predecessore, Mario Draghi, ma che aver scelto sostanzialmente di mantenersi sulla sua linea, in particolare su Ucraina e energia, ha pagato, in termini di riconoscimento della solidità e continuità della linea italiana.

Non ha incassato un no preventivo alla rappresentazione della necessità di una revisione degli investimenti del PNRR, alla luce della esplosione dei costi dell’energia e delle materie prime. Ma le saranno stati ricordati i margini molto ristretti, le condizioni per farlo, il fatto che il Piano italiano ha già molte risorse in tema di energia, vi sono quelle ancora da spendere della programmazione dei precedenti fondi strutturali e di quelli in corso, come anche le misure di RepowerEU e che sostanzialmente ciò che conta è il mantenimento degli impegni presi, l’eliminazione dei molti ostacoli amministrativi ad una messa a terra rapida di quanto allocato ed evitare posizioni “alla Orban”, per prediligere il dialogo franco ma cooperativo con Bruxelles, come del resto ha detto e fatto Meloni in questo suo primo viaggio.

Qualche differenza di tono sul tema migranti, puntando maggiormente la priorità sulla protezione dei confini, ma che è l’approccio prevalente a Bruxelles negli ultimi anni. Anzi, di fronte al blocco perdurante di una più ampia agenda di riforma complessiva del quadro normativo in tema di migrazioni, le recenti politiche adottate nel caso Grecia, Bulgaria, Romania e anche Bielorussia, prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, sono state esattamente più centrate sulla sicurezza che su altro. Ma le sarà stato anche ricordato che nei pur fragili meccanismi attuali, l’attivazione del meccanismo dei ricollocamenti volontari è possibile e che soprattutto la Germania è stata negli anni passati il paese UE più disponibile.

Ora bisogna passare ai dossier concreti, o ai compiti a casa, come direbbe qualcuno. E soprattutto maturare credito per poi passare a “battere cassa”. Non è reato rappresentare chiaramente il punto di vista nazionale e difendere gli interessi del proprio paese a Bruxelles. Lo fanno tutti. Ma per molti motivi storici l’Italia è sempre un po’ sorvegliato speciale e oggettivamente nelle misure post pandemia ha avuto accesso ad una quantità di risorse e sostegni maggiore di molti altri paesi.

Aspetto ancora ribadito da due interventi di autorevoli autorità europee.

  • La Presidente della Banca centrale europea Lagarde annuncia da Francoforte che, sulla scia dei rincari dell’energia, dell’aumento dell’inflazione e delle incertezze generali, “a inizio 2023 potrebbe esserci una lieve recessione” e per questo ribadisce che “ognuno deve svolgere il proprio compito”. Vuol dire, tradotto, riforme. La lista, il calendario, invero molto oneroso, per l’Italia è già tutto scritto nel PNRR di Draghi e su questo è difficile che Bruxelles transiga.
  • Avanti con ciò che è stato già concordato, ma c’è anche una politica economica di più ampio respiro da dover portare avanti. Qui, il Vicepresidente Dombrovskis, intervendo alla conferenza annuale della banca di Lettonia da Riga, ribadisce un mantra noto: “Paesi con un debito elevato dovrebbero iniziare a concentrarsi sulla riduzione del debito“ e per essere più chiaro scandisce “non stiamo raccomandando di introdurre stimoli fiscali all’economia”.

La disponibilità europea sarà forte, ma non sarà fatta di indulgenze. Niente spesa inutile e difficile da controllare, ridurre il debito e soprattutto avanti con le riforme. Del resto su questo sarà misurato il Ministro dell’Economia Giorgetti il prossimo 7-8 novembre, alle riunioni Eurogruppo/Ecofin, pochi giorni prima che la Commissione presenti la sua proposta ufficiale di riforma del Patto di stabilità e crescita, altro dossier assai controverso, che occuperà i negoziati europei per molti mesi. E le prossime tappe estere della Presidente Meloni già incombono: il 7 e 8 novembre vertice dei capi di Stato e di governo alla Cop27 sui cambiamenti climatici a Sharm El-Sheikh; 15-16 novembre vertice G20 a Bali; a inizio dicembre a Tirana vertice Balcani-Ue; e il 15-16 dicembre il Consiglio europeo d’esordio, ancora a Bruxelles.

Una partenza ottima dunque, nei rapporti con Bruxelles. Del resto Giorgia Meloni può contare su chi le dinamiche e gli interlocutori europei li conosce bene, i Ministri Tajani e Fitto, e sull’assistenza di due collaboratori di razza, il suo consigliere diplomatico Talo e il Rappresentante permanente dell’Italia presso la UE, Benassi. Ma sempre ricordando che a Bruxelles tutto si può negoziare, se si rispettano i patti e si gioca con le alleanze giuste.


*già Presidente CESE- comitato economico e sociale europeo

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