Cultura

Melazzini: il coraggio di vivere ha 1569 firme

Il presidente di Aisla ci spiega le ragioni del Manifesto

di Sara De Carli

Ci sono malati abbandonati e non ce ne rendiamo conto. L?abbandono terapeutico è una realtà molto più diffusa dell?accanimento terapeutico. L?ha detto il Cardinal Martini domenica sul Sole 24 Ore e ne hanno parlato tutti. Giustamente. Perché le parole usate dal Cardinale sono precise e pesanti: «Mentre in Italia si parla giustamente di evitare ogni forma di accanimento terapeutico, mi pare che in Italia siamo ancora non di rado al contrario, cioè a una sorta di negligenza terapeutica e di troppo lunga attesa terapeutica. [?] L?insistenza sull?accanimento da evitare e su temi affini (che hanno un grande impatto emotivo) non deve però lasciare nell?ombra il primo problema che ho voluto sottolineare, anche in riferimento alla mia personale esperienza». Il venerdì prima lo avevano detto anche undici persone (in prevalenza medici) che hanno firmato il «Manifesto per il coraggio di vivere e far vivere». E lo ha ripreso solo Avvenire. Nel frattempo però 1569 persone lo hanno già firmato
Mario Melazzini – oncologo, direttore del Day Hospital oncologico della Maugeri di Pavia, presidente di Aisla (associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica, nonché malato di sla – punta tutto sulle priorità.

Melazzini: Capisco la necessità di normare la scelta di chi vuole rinunciare a vivere, ma non accetto che questo voglia dire dimenticarsi che esistono persone che vogliono vivere. Dico no all?abbandono terapeutico, che spesso è anche la causa per cui si arriva a determinate scelte. Ritengo che prima di normare situazioni limite sia necessario garantire la presa in carico globale del paziente, il garantire strumenti e risorse perché le persone abbiano soddisfatto tutto quanto è possibile in termini di cura e qualità della vita. Ripeto: ?garanzia?. Perché oggi invece i malati sono abbandonati a se stessi o lasciati in carico alla buona volontà delle famiglie.

Vita: Non vede una esigenza di pietas nella richiesta dell?eutanasia?
Melazzini: È ora di finirla con la demonizzazione delle tecnologie. Io ho un tubo nella pancia e una macchina che mi fa respirare tranquillo la notte e vivo benissimo. La sofferenza si vince con la terapia del dolore. Il discorso di non accettazione della malattia è un?altra cosa.

Vita: Il manifesto parte con una forte critica del principio di autonomia. Non è troppo?
Melazzini: Critica l?interpretazione dell?autonomia come diritto di dire no e rifiutare qualcosa. Il valore di una scelta invece dipende dal suo contenuto. Se mentre io tento il suicidio uno si butta nel fiume per salvarmi, gli danno la medaglia: non lo mettono in galera perché ha impedito l?autodeterminazione del soggetto. Intesa in questo modo l?autonomia mina l?alleanza terapeutica: anche il consenso informato rischia di diventare un modulo che scarica il medico dalle responsabilità e basta. Mi viene da chiedere ai medici miei colleghi: quanto tempo hai impiegato a spiegare al paziente cosa implica la firma di quel modulo? Il discorso vale anche per le dichiarazioni anticipate di trattamento: vanno fatte quando uno è malato, non quando è sano. Le assicuro che è diverso. E vanno fatte insieme a un medico.

Vita: Perché siete così preoccupati a livello culturale?
Melazzini: Far passare la rinuncia alle terapie come un diritto di pietas rischia di alimentare un altro sentimento: chi alle cure non riununcia sarà avvertito come un peso sociale e un costo economico. Questo sì che favorirebbe le decisioni rinunciatarie.

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