Welfare

Melazzini: Con Pennacchio metodi diversi, battaglia comune

L’Assessore alle Attività Produttive della Regione Lombardia dopo la morte tragica che ha colpito l’attivista del Comitato 16 Novembre: «La notizia mi ha sconvolto, ma sono convinto che attraverso un dialogo costruttivo con le istituzioni vinceremo la battaglia per l’assistenza domiciliare ai malati di Sla».

di Francesco Mattana

Mario Melazzini è un uomo coraggioso. Il “Mela”, come lo chiamano amici e collaboratori, era un uomo pieno di vita a cui nel 2003 (all’età di 45 anni) è stata diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica. Dopo la prima reazione di spaesamento, il medico oncologo ha capito che si trattava di reagire energicamente alla situazione: ha fondato il “Centro Nemo” per la cura delle malattie neuro-degenerative, presso l'ospedale Niguarda di Milano (come paziente aveva anche Stefano Borgonovo, ex attaccante del Milan e della Fiorentina). Per sei anni è stato presidente di Aisla Onlus (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), carica da cui si è dimesso quando è stato chiamato a ricoprire ruoli amministrativi nella Regione Lombardia: assessore alla Sanità nell’ottobre 2012 e alle Attività Produttive dal marzo 2013.

Anche Raffaele Pennacchio era un uomo pieno di coraggio. E lo sono tutti i suoi compagni del Comitato 16 Novembre, che ancora combattono perché le istituzioni siano loro vicine, aiutandoli a convivere con la Sla nella maniera più dignitosa possibile.

Nell’intervista qui di seguito emerge la sofferenza vera di Melazzini di fronte alla perdita improvvisa del collega medico (Pennacchio era un dentista, n.d.r.). Allo stesso tempo, ritiene giusto esprimere la sua personale opinione sui metodi di lotta del Comitato 16 Novembre. 



Ha avuto modo di conoscere personalmente Raffaele Pennacchio?

«Purtroppo non c’è mai stata occasione di incontrarci. Sapevo che era un mio collega, e che ci accomunava la circostanza biografica della malattia. È un peccato che non ci siamo mai incrociati di persona: era veramente in gamba, oltre ad essere un combattente instancabile. Ho provato un grande dolore, molto sincero, indipendentemente dalle accuse che in passato mi ha mosso il Comitato. Accuse che, per quanto mi riguarda, appartengono appunto al passato».

A quali accuse fa riferimento?

«Il Comitato 16 novembre mi  portò in Tribunale con l’accusa di «abuso della credulità popolare». Sulla base dell’assunto che la Sla è una malattia degenerativa che può solo peggiorare, ed io invece ero migliorato, l’Associazione si era convinta che fingessi di essere malato. Ho dovuto dimostrare la veridicità della mia malattia e di aver intrapreso una terapia speciale –di uno scienziato americano, affidata a una sperimentazione seria e rigorosa- senza dire nulla per non dare false speranze ai malati. Il 7 giugno 2013 il giudice per le indagini preliminari Erminio Rizzi ha archiviato il procedimento. Ad ogni modo, questo è ciò che tengo a ribadire: non provo nessunissimo rancore nei confronti dell’Associazione, per me è soltanto uno spiacevole episodio del passato».

C’è una divergenza di vedute col Comitato 16 Novembre?

«C’è una divergenza di metodo. Le battaglie sono comuni, e infatti l’augurio è che ci sia la possibilità di fare pezzi di strada insieme perché davvero l’obiettivo a cui miriamo è uguale: garantire una vita quanto più dignitosa possibile per i malati di Sla. Questa è la sfida che ci accomuna».

Cos’è che non condivide del loro metodo?

«La protesta esasperata: presidiare per diverse ore il Ministero dell’Economia quando si è in condizioni di salute così deboli è, a mio avviso, un errore. Fermo restando il rispetto per chi fa delle scelte che non collimano con la mia sensibilità, io sono dell’idea che queste siano le armi principali per vincere tutti insieme la partita: pazienza, umiltà e lungimiranza. Ora ci sarà un Tavolo il 5 novembre, per trattare questi temi: distribuzione del fondo alle Regioni senza vincoli dovuti alla spending review; aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), del nomenclatore tariffario; riconoscimento dell’invalidità al 100% anche per le malattie neurodegenerative. Inoltre, i rappresentanti del governo si sono impegnanti a discutere di un aumento del fondo per la non autosufficienza. Ecco, questa secondo me è la strada da seguire: un dialogo franco e corretto con le istituzioni. Poi è giusto sollecitare i politici -anche in maniera vivace e combattiva, per accelerare le pratiche- ma non mettendo a repentaglio la propria vita».

Dalle sue parole si evince che non c’è bisogno di atti di eroismo

«Esatto. La penso come Bertolt Brecht: “Beato il popolo che non ha bisogno di eroi”. Oltretutto bisogna dire –per dovere di cronaca scientifica- che i media hanno fatto un’equazione troppo disinvolta tra le proteste al Ministero e la morte del collega Pennacchio. Certamente, come ho già detto prima, un malato di Sla dovrebbe evitare situazioni troppo stressanti. Però c’è anche un dato di cui tenere conto: il 14%, 15% delle persone con questa malattia sono soggette a morte improvvisa. Questo va detto, altrimenti si entra nella trappola della semplificazione, e la semplificazione non fa che danneggiare la causa».

Qual è il punto fondamentale che accomuna il pensiero di Melazzini e del Comitato 16 Novembre?

«Siamo tutti in prima linea affinché al più presto i malati di Sla abbiano la garanzia di rimanere nel proprio domicilio. Questo significherebbe un abbassamento dei costi, ma soprattutto la certezza che in un ambiente domestico ci soffre si sente maggiormente a proprio agio. Perché questo avvenga, non bisogna fare un discorso standard valido per tutta Italia: deve esserci adeguatezza e omogeneità in tutte le regioni, le risorse devono essere impiegate secondo il bisogno della persona. Una persona con Sla ha bisogno di un percorso assistenziale che garantisca la continuità. Capisce bene che, di fronte alla serietà della questione, non bisogna concentrarsi solo sulle risorse ma sul volere: bisogna dedicare molto più tempo all’ascolto, altrimenti costruiamo modelli non applicabili». 

 


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