Cultura

Meglio il rubinetto o la bottiglia?

Come e cosa scelgono gli italiani

di Gabriella Meroni

Sei anni fa erano quattro su dieci, l’anno scorso sono diventati solo tre: sono gli italiani che secondo l’Istat preferiscono bere l’acqua minerale perché non si fidano dell’acqua di rubinetto. Non è buona, e poi chissà cosa c’è dentro: ecco le ragioni della diffidenza, che si sta però lentamente dissolvendo, sia a causa della crisi economica (fatti due conti, bere firmato costa in media 300-400 euro l’anno a famiglia) sia grazie alle massicce campagne d’informazione portate avanti da associazioni ambientaliste e dei consumatori sui vantaggi dell’acqua di rubinetto, che fino a prova contraria in Italia è fortunatamente potabile e praticamente gratis: solo 0,5 millesimi di euro al litro contro i 40 centesimi medi della minerale. Un discorso convincente, tanto che in pratica negli ultimi anni ben 7 milioni di cittadini sono tornati al rubinetto, dicendo addio alle bottiglie di plastica.

Minerali
Certo, le bollicine e le etichette griffate hanno i loro estimatori, e non sono pochi. Il nostro Paese detiene il record mondiale di consumi dopo il Messico: 192 litri a testa, meglio (o peggio?) anche di Paesi ben più a corto di risorse idriche di noi, come gli Emirati Arabi (al terzo posto con 151 litri). I fusti da 6 bottiglie entrano in oltre il 63% delle case italiane (sempre dati Istat), soprattutto al Sud (65% contro il 62 del Nord e il 63 del Centro), e danno vita a un mercato da capogiro: il giro d’affari italiano è di oltre 2 miliardi, con 165 aziende e 290 marchi per una produzione di quasi 12 miliardi di litri; il 60% degli imbottiglatori è straniero, e tuttavia anche lo Stato ci guadagna bene, se consideriamo che l’acqua minerale è gravata dall’Iva. Il costo per il consumatore? Ovviamente non c’è gara rispetto al rubinetto: Last Minute Market, società della facoltà di Agraria di Bologna, ha calcolato che per chi beve solo minerale, questa “pesa” poco meno del 10% sul totale della spesa alimentare. Senza contare gli effetti negativi sull’ambiente: secondo Legambiente, che aderisce alla campagna “Imbrocchiamola” a favore del consumo di acqua del rubinetto, oltre l’80% dell’acqua minerale viene trasportata su e giù per la Penisola sui tir, contribuendo a inquinare l’ambiente e minando la sostenibilità dei trasporti. Una serie di considerazioni che hanno lentamente fatto breccia nella mentalità consumeristica italica, se è vero che gli stessi produttori hanno registrato una contrazione importante nei consumi: il primo anno di crisi netta è stato il 2008 (-2,5%), ma le perdite sono continuate fino al 2010, e secondo i primi dati nel 2011 il mercato è arrivato a un pericoloso punto di stallo.

Rubinetto
Meno male che di questa “recessione” per una volta non sia avvantaggia nessuno squalo del marketing, ma solo le amministrazioni comunali. È infatti all’acqua del sindaco che si rivolgono i delusi del pet: i più la bevono così com’è, ma si sono moltiplicati anche i metodi per renderla più appetibile, soprattutto nelle zone in cui il gusto lascia a a desiderare. Il metodo più economico e più diffuso è quello delle caraffe filtranti: inventate in Germania quarant’anni fa, hanno visto un vero e proprio boom di vendite da noi negli ultimi quattro anni.  Nel 2011 ce n’erano già un milione sulle tavole italiane, per una spesa di 20-30 euro per la caraffa e altri 20 per una confezione da tre ricambi per il filtro, da sostituire ogni mese. Apparentemente un ottimo affare, contestato però su due fronti: innanzitutto dalle imprese imbottigliatrici – che hanno addirittura denunciato alla magistratura tre marchi di caraffe con l’accusa di frode in commercio – secondo le quali la filtrazione impoverirebbe l’acqua di minerali importanti per la salute e il filtro, se non correttamente sostituito, sarebbe veicolo di batteri potenzialmente letali, ma anche da Altroconsumo, secondo il quale per ottenere lo stesso effetto filtrante delle brocche è sufficiente far decantare qualche minuto l’acqua in una bottiglia di vetro prima di consumarla o, in alternativa, conservarla in frigo. Le stesse critiche colpiscono un altro dei sistemi di depurazione domestica che stanno andano per la maggiore: gli impianti a osmosi inversa. Installati sotto il lavello di casa, questi marchingegni promettono acqua purissima (in pratica oligominerale) illimitata, senza calcare o altri residui, dal gusto ottimo e adatta anche a bambini e anziani. L’altra faccia della medaglia sono i costi: 2mila euro in media per l’installazione, a cui si aggiunge la manutenzione; e se i fan dei depuratori fanno notare che il tutto si ammortizza in 4-5 anni di mancato acquisto della minerale, gli ultras del rubinetto ribattono che i sali minerali che il depuratore elimina sono utili all’organismo e sottolineano come per ogni litro di acqua depurata se ne sprechino tre.  
Niente di tutto questo accade se si sceglie un’altra strada, quella di fare rifornimento alle Case dell’acqua, sorte un po’ dappertutto dopo il grande successo ottenuto in Lombardia, dove sono oltre 260 e spillano acqua gassata o naturale a costo zero, se si ha l’accortezza di utilizzare bottiglie riciclabili in vetro. Certo bisogna andarci in macchina: ma nessuno è perfetto. Per chi, infine, ritiene indigesto mangiare fuori e pagare fino a 5 euro per una bottiglia che in fin dei conti contiene solo acqua, ecco l’elenco dei ristoranti, bar e locali pubblici in cui si serve normalmente quella che esce dall’acquedotto: si trova sul sito della campagna “Imbrocchiamola” (www.imbrocchiamola.org) e conta ad oggi oltre 400 locali in tutta Italia, dove bere buono e naturale non costa niente. La campagna avverte: nessun ristoratore può obbligarci a bere la minerale, e se il consumatore chiede l’alternativa, il gestore è obbligato (per legge) a dargliela.

All’acqua è dedicato l’intero dorso Cantieri del numero di VITA in edicola

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