Welfare

Meeting, il lavoro in carcere forma di rendenzione

Carcere e giustizia, il ministro Alfano propone braccialetto elettronico e nelle case confiscate alla mafia far scontare la pena alle madri dei piccoli sotto i tre anni

di Antonietta Nembri

Da Rimini

Era molto atteso l’intervento del ministro della Giustizia Angelino Alfano che ha partecipato oggi al Meeting di Rimini all’incontro di presentazione della mostra “Libertà va cercando ch’è si cara. Vigilando redimere”. Il ministro che ha tenuto a precisare di non essere un neofita del Meeting, ha esordito raccontando la sua prima visita da ministro al carcere Regina Coeli di Roma. «Ho visitato le celle, ho parlato con i detenuti. Ci siamo guardati negli occhi e ci siamo dati del lei, solo quando ho chiesto lei perché è qui? Solo in quell’istante lo sguardo si abbassava quando incrociavamo di nuovo gli sguardi vedevo come una mortificazione, il desiderio, la determinazione di espiare il male fatto». Il ministro prosegue ponendosi delle domande. Esiste un diritto alla speranza per il detenuto, oppure no? Cos’è la vita del detenuto dopo il castigo? Cosa vogliamo dire quando diciamo che dentro una cella vi è un uomo e come pensiamo al percorso di redenzione? In uno stato realmente laico quale deve essere il rapporto fra giustizia e misericordia? E dopo una citazione da San Tommaso d’Aquino “La giustizia senza misericordia è crudeltà, la misericordia senza giustizia predica la dissoluzione” ha aggiungo «Qui deve porsi il ruolo dello Stato: chi sbaglia deve pagare ma dentro il castigo deve avere diritto a redimersi. L’uomo però non si salva da solo e l’istituzione deve favorire l’incontro con una compagnia che lo aiuti, costringa il detenuto a riscoprire il meglio di sé».

Tra le proposte fatte dal ministro di fronte alla crisi di sovraffollamento delle carceri italiane dove sono presenti tantissime persone in attesa di giudizio, «il tourn-over è altissimo, circa undici giorni e in questa situazione che prospettiva di lavoro puoi offrire?» si è chiesto Alfano che ha visto proprio nell’incentivare il lavoro in carcere la forma più solida della battaglia contro la recidiva e a favore della sicurezza. No al buonismo, al perdono in quanto tale «il fallimento dell’indulto insegna, sono uscite persone che non avevano compiuto alcun percorso di recupero». Tra le proposte ha posto il braccialetto elettronico per i detenuti colpevoli dei delitti meno gravi. Sui detenuti stranieri, una forte presenza nelle carceri italiane, Alfano ha osservato che ce ne sono 4.300 ai quali mancano meno di due anni alla fine della pena «attraverso accordi bilaterali con i paesi di provenienza dovrebbero finire di scontare il carcere nel loro paese», in questo modo si libererebbero delle risorse è stata la sottolineatura «4.300 detenuti valgono otto carceri di media grandezza».

Il lavoro è lo strumento per rendere la pena realmente momento di recupero «occorre creare una grande agenzia di collocamento specializzando i detenuti così che siano appetibili al mondo del lavoro».

Un grossissimo problema, anche se numericamente non influente, è quello delle madri detenute «in Italia abbiamo cinquanta bambini sotto i tre anni in carcere. E’ ora di dire basta perché non importa di chi sono figli, importa che sono bambini e in quanto tali – ha detto con forza il ministro – non possono stare in carcere». La soluzione? Per Alfano potrebbe essere quella di utilizzare «i beni confiscati ai mafiosi e lì far scontare la pena alle mamme che possono così crescere i loro bambini in una casa e non in un carcere».

 


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