Formazione
Meeting, giustizia e diritti umani
Punto di partenza della riflessione il discorso del Papa all'assemblea generale delle Nazioni Unite
da Rimini
«La dignità dell’uomo in ogni circostanza non è qualcosa di astratto o evanescente, ma è concreta; va ripresa, conosciuta e riproposta nei suoi elementi fondamentali, in modo tale che sia possibile partire da ciò che è la persona umana». Così don Stefano Alberto, docente di introduzione alla teologia all’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano, ha introdotto l’incontro su “Giustizia e diritti umani” alla presenza di: Marta Cartabia, docente di diritto costituzionale all’Università Milano Bicocca, Mary Ann Glendon, ambasciatore Usa presso la Santa Sede, Joseph H.H. Weiler, European Union Jean-Monnet Chair.
Punto di partenza di tutti gli interventi è stato il discorso del Papa davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite. Mary Ann Glendon sottolinea: «Benedetto XVI elogia la dichiarazione universale dei diritti umani perché frutto di un processo volto a porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società». Nel discorso del Pontefice si possono cogliere numerosi moniti, evidenziati dalla stessa Glendon: la minaccia posta dal relativismo culturale, il rischio del positivismo, la tentazione dell’utilitarismo, il dilagare di un approccio selettivo dei diritti, la crescente pretesa dei nuovi diritti, un’interpretazione iper-individualistica, la mancanza di relazione fra diritti e responsabilità, il trattamento della libertà religiosa sollevata dal secolarismo dogmatico. «La provocazione del Papa si rivolge non solo ai diplomatici presenti all’Onu ma a tutti gli uomini che vogliono essere protagonisti lavorando per creare condizioni a favore della dignità. Come diceva don Giussani, la decisione chiave è se abbracciare questo compito e accettare le sue sfide» conclude l’ambasciatore Glendon.
«Non possiamo fare a meno di constatare che in nome dei diritti umani vengono prese decisioni contro l’uomo. Tutte le battaglie sui nuovi diritti – eutanasia, aborto, matrimonio omosessuale, antiproibizionismo – sono condotte all’insegna della nobile bandiera della libertà», esordisce Marta Cartabia. Questo però è un concetto di libertà storpiato, inteso come vivere “del tutto sciolti da remore e da vincoli” per citare Giovanni Paolo II. «Seguendo le orme tracciate dal discorso del Pontefice – prosegue Cartabia – occorre oggi più che mai ribadire che i diritti umani universali meritano di essere difesi come espressioni della legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà, contro la deriva relativistica diffusa nella cultura contemporanea».
Joseph Weiler osserva che oggi l’uomo occidentale identifica i diritti umani come valore fondamentale della nostra civiltà: «Se facessi un sondaggio fra i cittadini europei su che cosa sia veramente importante per loro, mi risponderebbero: i diritti umani». Perciò questa comunità valoriale ha creato una civiltà basata sulla protezione dei diritti umani, in cui però il ruolo svolto dal singolo è quello dell’osservatore: «una posizione agghiacciante che rivela uno dei malesseri più gravi della nostra cultura politica. La responsabilità di agire tocca sempre a un’agenzia, un ente governativo, cioè in ultima analisi ad un altro». Nel nome della libertà, secondo Weiler, deve esserci una correlazione fra dritti e doveri con cui ognuno è chiamato ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte. Citando Marta Cartabia, «per tornare ad ancorare i diritti umani all’evento dell’umano che accomuna tutti i popoli occorre ripartire dall’esperienza umana, interrogando la realtà vissuta dai popoli alla luce della ragione e del criterio di giustizia che ogni uomo porta in sé».
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