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Mediterraneo: se i veri complici non sono le ong ma l’Europa
Dopo le accuse alle ong che operano in mare lanciate da Frontex e l’indagine esplorativa della Procura di Catania sui sospetti di collusione con i trafficanti di esseri umani e di responsabilità nell’aumento dei flussi migratori, Medici Senza Frontiere e Moas, entrambe impegnate nello Stretto di Sicilia, mettono i puntini sulle i
Le accuse si rincorrono ormai da alcuni mesi per le Ong che operano in mare nello Stretto di Sicilia. Una flotta umanitaria che avevamo già raccontato qui, composta da decine e decine di volontari, in molti casi altamente specializzati, che si alternano per poche settimane, riuscendo, nella maggior parte dei casi, a garantire una presenza costante per chi si avventura nelle acque del Mediterraneo centrale, sperando di arrivare vivo sulle sponde d’Europa.
Prima è arrivata l’Agenzia europea per le frontiere esterne, Frontex, che già lo scorso dicembre aveva accusato le Ong di collusione con i trafficanti di esseri umani e poi, nel rapporto Risk Analysis for 2017 ha rincarato la dose, denunciando le operazioni di ricerca e soccorso, svolte vicino alle acque libiche, e attribuendo proprio alle organizzazioni, la responsabilità del picco di arrivi sulle nostre coste. La presenza dei soccorsi in mare sarebbe cioè un elemento non solo rassicurante, ma addirittura di attrazione per i migranti, secondo Frontex, che ha lanciato accuse così pesanti da spingere la procura di Catania, ad aprire un’indagine conoscitiva, lo scorso 17 febbraio. “Da settembre a ottobre 2016 abbiamo registrato un improvviso proliferare di imbarcazioni che fanno il lavoro prima svolto dagli organizzatori cioè accompagnare fino al nostro territorio i barconi dei migranti. Nei momenti di maggior picco abbiamo registrato 13 assetti navali.” Ha dichiarato il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, che ha sollevato sospetti anche su “come potessero affrontare costi così elevati senza un rientro economico” e “su chi fornisca le informazioni relative agli Sos in mare”.
Il porto più vicino, non corrisponde sempre al porto più sicuro"
Marco Bertotto, responsabile advocacy di MSF
Dubbi e sospetti a cui Medici Senza Frontiere, che nello Stretto di Sicilia è presente con l’imbarcazione Acquarius e con un presidio medico sulla nave dell’organizzazione tedesca SoS Méditerranée, si dice preparata a rispondere: “Qualora venissimo interpellati saremmo prontissimi a fornire tutti gli elementi utili necessari,” dichiara Marco Bertotto , responsabile advocacy di MSF, “ci sembra però paradossale vomitare addosso alle Ong le accuse per l’aumento dei morti nel Mediterraneo. Se siamo in mare è perché ci sono persone costrette a fare la traversata in assenza di un sistema legale che garantisca la loro sicurezza. Copriamo un vuoto istituzionale e rispondiamo ad un dovere umanitario.”
E di dovere parla anche la Migrant Offshore Aid Station (Moas): “Tutto quello che sappiamo è che finchè ci sarà gente talmente disperata da tentare di attraversare il mare sui barconi della morte, noi faremo il possibile per essere fuori in mare e salvare loro la vita, indipendentemente da quali siano le ragioni che spingono queste persone a rischiare la propria vita.” Risponde via e-mail Giulio Tiberio Marostica, il Communication Officer dell' organizzazione fondata dai coniugi Regina e Christopher Catrambone, che nello stretto di Sicilia è presente con 2 imbarcazioni. “MOAS è finanziata interamente attraverso donazioni di privati cittadini provenienti da tutto il mondo. Tutte le nostre operazioni in mare sono condotte sotto l'egida del Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo di Roma (IMRCC), e in cooperazione con gli altri attori presenti in area SAR”.
Il procuratore di Catania nell’audizione in Parlamento sulle Ong che mandano le navi in prossimità della Libia ha fatto il nome di 2 mezzi, la Phoenix e la Topaz, appartenenti proprio alla flotta del Moas. “Le nostre navi operano in acque internazionali al di fuori delle acque territoriali Libiche.” Afferma Marostica, “Tutte le operazioni vengono comunque condotte sotto il coordinamento dell'IMRCC di Roma e seguendo le istruzioni delle autorità Italiane.”
Tra le criticità sollevate dalla procura di Catania, vi sono infatti anche i salvataggi vicino alla Libia e il fatto che, il successivo sbarco delle persone tratte in salvo venga fatto in Italia. Su questo anche Marco Bertotto di MSF mette i puntini sulle i, sottolineando che, chi lavora in mare, sa che le operazioni di soccorso seguono un decalogo di regole ben precise: “La nostra prima regola è che agiamo sempre sotto indicazioni del Centro di Coordinamento della Guardia Costiera. Le operazioni avvengono sempre in acque non territoriali (quindi a 12 miglia dalla costa n.d.r.). La cosa da tenere presente è che il porto più vicino, non corrisponde sempre al porto più sicuro. Le persone che vengono tratte in salvo in queste operazioni sono migranti e richiedenti asilo, bisogna considerare quale porto possa garantire loro una sicurezza. In questo caso è necessario integrare il diritto internazionale marittimo con il diritto dei rifugiati.” Continua Bertotto. “Non siamo mai entrati in acque libiche. Certo è che rimaniamo dove, storicamente, i gommoni rischiano maggiormente di affondare. La tratta che sta tra le 20 e le 25 miglia dalle coste libiche è uno dei punti più critici.”
E MSF ha una risposta anche per le insinuazioni di collusione tra le Ong che operano in mare e i trafficanti di esseri umani, sempre sollevati dalla procura di Catania. “Le operazioni di salvataggio vengono attivate o per degli avvistamenti diretti fatti in mare o per una comunicazione del Centro di Coordinamento della Guardia Costiera. Le chiamate di Sos provengono dai soggetti più vari, dalle persone sui gommoni, dalle famiglie che si trovano a terra, già in Italia, e che ricevono la richiesta d’aiuto, e non si può escludere che a volte provengano dagli stessi scafisti, un po’ come il piromane che poi chiama i vigili del fuoco, ciò che però escludo è che si tratti di un’attività premeditata di coordinamento tra i trafficanti di esseri umani e chi porta i soccorsi. Tutte queste accuse sembrano quasi una strategia per cercare di nascondere il fallimento delle politiche di respingimento fatte di muri e fili spinati che non sono riuscite a frenare i flussi. Su questo mi chiedo se i veri complici siamo noi Ong oppure l’Europa.”
Foto: David Ramos/Getty Images
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