Mondo

Medio Oriente, che fare? Meno armi più realismo

A colloquio con Giulio Andreotti

di Riccardo Bonacina

A 83 anni, non è ancora stanco di tessere la tela politica e diplomatica in nome della pace. È stato Giulio Andreotti, infatti, ancora lui, a fare da tramite nella trattativa per l?esilio dei 13 asserragliati nella basilica della Natività a Betlemme. A lui infatti si è rivolto Ernesto Olivero del Sermig appena ricevuta la richiesta di ospitare i palestinesi a Torino, e sempre Andreotti ne ha parlato per primo con il ministro Claudio Scajola. Mentre scriviamo, la vertenza non è ancora risolta. Ma lui dice, «si era finalmente aperto uno spiraglio e l?Italia non si può sottrarre dal dare una mano».
Vita: In queste ore, dopo 35 giorni, forse una soluzione alla crisi della Basilica della Natività. Ma ancora non si vede la fine della crisi tra palestinesi e israeliani. E la sensazione è che i governi e gli organismi internazionali non riescano a farsi carico del problema. Perché?
Giulio Andreotti: La strada giusta è quella che l?Unione europea indicò già nell?80: mettetevi intorno a un tavolo e dialogate. Anche l?Onu cercò di fare la sua parte, nel 1982 l?Assemblea generale si trasferì a Ginevra per ascoltare Yasser Arafat, cui gli Usa negarono il visto in quanto ?terrorista?. Nel 1993, seppur con 13 anni di ritardo, la pace sembrava a un passo, con la stretta di mano tra Rabin e Arafat a Camp David, ma poi vi fu l?attentato di un estremista ebraico. Ma le contraddizioni c?erano già: invece della nascita dello Stato palestinese si scelse la via dell?Autorità con conseguenti divisioni in casa palestinese. Divisioni che si sono poi pagate. Non si può scordare neppure la politica dei nuovi insediamenti e l?arrivo dei coloni che non poteva che inasprire il conflitto.
Vita: Che fare, quindi?
Andreotti: Innanzitutto, occorre essere realisti. Oggi, o sei per gli israeliani o sei per i palestinesi. Ma non è così, è un?alternativa finta, stupida e dannosa; si deve essere per e con tutti e due, perché quei popoli devono convivere. Alla convivenza non c?è alternativa, è l?unico punto certo e reale. Di concreto bisognerebbe ricominciare dalle piccole cose, chiedere ai palestinesi di aiutare con un piccolo programma il rientro dei profughi in Libano. Agli israeliani, invece, chiedere di cancellare un paio di insediamenti perché ognuno dei vari presidenti, anche quelli che hanno fatto proposte stupende, hanno creato nuovi insediamenti. Sono cose banali, ma possono essere segnali per ricominciare.
Vita: Piccole cose che difficilmente vedranno la luce per un?iniziativa interna. Bisogna imporle?
Andreotti: La pressione c?è, in particolare da Onu e Unione europea. Gli stessi americani, con le loro contraddizioni, qualcosa fanno. Non va scordato che dopo la Guerra del Golfo, gli americani dissero che avrebbero posto mano al problema palestinese, non fosse altro che per tenersi buoni gli Stati arabi. Sono passati dieci anni e cosa è successo? Cosa hanno fatto gli Usa? Molto poco. Io continuo a pensare che non esista qualcuno così folle da pensare di buttare a mare o i palestinesi o gli israeliani. Logica vuole che a un certo momento si arrivi a una forma di convivenza.
Vita: Considerando la scarsa credibilità di cui gode la Ue presso gli israeliani e le fatiche dell?Onu, chi potrà invitare le due parti a un tavolo? Chi potrà loro imporre di ricominciare? Forse gli Usa e la Cia come sembra in queste ore? O la Nato?
Andreotti: Sulla Nato lasciatemi dire che le alleanze militari e politiche si fanno contro qualcuno. Oggi, contro chi è la Nato? Non contro la Russia, che anzi viene invitata ad associarsi a essa. La logica avrebbe voluto che la Nato, una volta caduto il Muro di Berlino, si sciogliesse ?per raggiunto fine sociale?? Oggi, dunque, bisogna stare attenti affinché la nuova Alleanza atlantica non si trasformi in un?Alleanza del Nord del mondo contro il Sud o, peggio ancora, intervenga nel (presunto) scontro tra Islam e Cristianità.
Vita: Si arriverà a un accordo quando Sharon e Arafat si saranno ritirati?
Andreotti: Non credo sia un problema di persone. D?altra parte sono mesi che si demonizza Arafat ma poi non si trova un altro interlocutore. E anche nei confronti di Sharon bisogna stare attenti: io non farei vacanze con lui, ma è stato eletto dal popolo. Non attacchiamoci ai pretesti.
Vita: L?Afghanistan, il Medio Oriente, all?orizzonte la Somalia e l?Iraq. Lo scenario è quello di una guerra globale?
Andreotti: Bisognerebbe ricominciare dalla riduzione degli armamenti. Perché nessuno ne parla più? Perché quel processo di riduzione delle armi nucleari inaugurato da Reagan e Gorbaciov è stato abbandonato? Dietro la corsa agli armamenti vi sono interessi enormi: questa è la verità che dimostra la storia di tutto il Novecento, come spiega brillantemente il professor Guarino in un recente saggio che ho letto e che consiglio. La corsa agli armamenti coincide sempre con le grandi crisi economiche mondiali: è stato vero per Germania, Gran Bretagna e Francia nella Prima guerra mondiale, di nuovo per quei Paesi e per gli Usa nella Seconda, è stato vero nel dopoguerra. Ed è vero anche per la guerra nel Golfo, in Kosovo e in Afghanistan. Lo sviluppo industriale delle potenze mondiali è legato alla produzione bellica. Questo è il problema. Questo nodo va sciolto, va spezzato.

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