Cultura

Media, migranti e terrorismo. Bilancio di un anno di notizie

In che modo hanno trattato il tema dell'immigrazione i media nel 2015? E come ha influenzato i cittadini questa rappresentazione? Sono le domande da cui parte "Notizie di confine", il Terzo Rapporto dell’Associazione Carta di Roma

di Vittorio Sammarco

In che modo hanno trattato il tema dell'immigrazione i media nel 2015? E come ha influenzato i cittadini questa rappresentazione? Sono le domande da cui parte "Notizie di confine", il Terzo Rapporto dell’Associazione Carta di Roma (il protocollo deontologico adottato nel 2008 dall’Ordine dei giornalisti e la Federazione della stampa proprio per trattare il tema dell’immigrazione in modo corretto), presentato oggi a Roma.

La risposta più sorprendente è positiva: nel 2015 esplode in modo straordinario la produzione delle notizie che riguardano l’immigrazione, ma nonostante ciò non cresce la paura dei cittadini italiani (lettori di stampa o spettatori dei Tg, che siano). È la conclusione più rilevante che mette all’angolo i cosiddetti “imprenditori della paura”, e dà un volto più umano al popolo dei fruitori di notizie che, subissati dalle informazioni, sembrano aver cambiato il paradigma di lettura del fenomeno immigratorio. Soprattutto se si confrontano i dati – hanno sottolineato i curatori Ilvo Diamanti (sociologo e direttore di Demos) e Paola Barretta, media analyst dell’Osservatorio di Pavia – con il biennio 2007-2008 quando, in seguito ad una martellante comunicazione politico-mediatica (in concomitanza con tre elezioni politiche), crebbero notizie, toni violenti ed effetti di paura sul tema dell’immigrazione.

Eppure questo è stato un anno delicato e di svolta. Mai come nel 2015 si è parlato tanto d’immigrazione: visibilità continua sia sulla carta stampata che in televisione (un incremento che va dal 70 al 180%), con un record di servizi nei Tg nazionali di prima serata 3347, il numero più alto registrato negli ultimi 11 anni. I quotidiani hanno dedicato all’argomento una media di 4/5 titoli al giorno in prima pagina, e i Tg circa 7 notizie per edizione. L’accoglienza è il tema attorno al quale ruota la maggior parte della cronaca dell’immigrazione (55%), seguito dagli sbarchi (24%) e da criminalità e sicurezza (23%). Sempre, però, rilevano i ricercatori, con un’enfasi narrativa “in chiave emergenziale, correlata ai flussi migratori, all’accoglienza nelle città italiane e agli eventuali rischi sanitari e (nelle ultime settimane per evidenti ragioni) agli attentati terroristici”.

Nei Tg (soprattutto Tg4 e Italia1, ma a volte anche gli altri principali) il tono della comunicazione diventa allarmistico e sensazionalistico soprattutto in concomitanza dei picchi di attenzione, con immagini di degrado, racconti di ‘migliaia’ di sbarchi sulle nostre coste e il problema della distribuzione degli aiuti (“a scapito degli italiani in difficoltà”).

Nei quotidiani il tono allarmistico dei titoli analizzati si attesta sul 47% dei casi, spesso evocazioni negative dell’”invasione dei migranti” e del timore di attentati; si sottolinea però la diminuzione della visibilità della criminalità comune associata all’immigrazione (presente nel 6% dei casi).

Cresce la voce degli immigrati: nelle prime ricerche di quegli anni duri (2007-2008) le testimonianze dirette non raggiungevano neppure l’1 per cento degli intervistati, nelle notizie che riguardavano l’immigrazione. Ora migranti e profughi sono rappresentati per il 7%, che sembrano pochi, ma sono più dei rappresentanti delle organizzazioni umanitarie, medici, esponenti delle forze dell’ordine, al 5%. Rimane da evidenziare l’atteggiamento fortemente pregiudizievole nei confronti dei Rom rappresentati al 65% solo in casi di relazione a fatti di criminalità.

Ma è proprio questa capacità di dare un volto, un corpo, un nome e la parola a chi vive situazioni di fuga, di disperazione e di esilio, che ha ricondotto lo spettatore/lettore italiano ad una visione meno ansiogena e più umanitaria e accogliente. La foto del piccolo Aylan sulle coste della Turchia, ha scosso molti, così come i muri, i fili spinati, le lunghe code di esodi fatte di padri e madri con i bimbi in braccio, hanno aperto una porta ad una riflessione meno di pancia e più accorta (contestualizzata…) del fenomeno.

Le analisi di Ilvo Diamanti, professore di Analisi dell'Opinione pubblica all'Università di Urbino e direttore scientifico di Demos, provano a dare una spiegazione a questa sorta di modifica dell’interpretazione collettiva del fenomeno: «I media possono trasformare la realtà in un universo condiviso, possono alimentare il pregiudizio o possono cambiarlo in positivo», ha detto. «Il loro rapporto con la realtà non è neutrale, partecipano a definirla e le danno un nome. Partecipando a costruire o decostruire la realtà». Ma attenzione: «È una notizia, che gli immigrati facciano notizia? No, perché è una notizia che si autoimpone, perché gli immigrati non sono una costruzione ideale, ma una “realtà reale”. La costruzione “politica dell'immigrato” finalizzato al consenso è sempre legata ad immagini stigmatizzate, stereotipate e definite. Oggi non funziona più l’equazione immigrato=qualcosa (straniero, terrorista, delinquente…) nel momento in cui io trasformo un'identità molto complessa in uno stereotipo. La globalizzazione sta sottolineando che tutto ciò che avviene nel mondo può aver un impatto su di me, sul mio mondo, anche da Paesi lontani, sconosciuti. La globalizzazione diviene il mondo che ci sovrasta. E l’immigrato è esattamente il volto del mondo che mi sovrasta e mi crea problemi. Non esiste quindi un solo “sentimento” specifico da poter utilizzare. I media hanno giocato un ruolo rilevante, e ci si è dovuti rassegnare all'intensità dei sentimenti che stanno dietro a questo fenomeno preciso. La paura, sì, ma anche la pietas. Per questo l’imprenditore politico della paura ha avuto ancora meno successo di altri paesi».

Infine c’è il tema dei confini: “Noi abbiamo bisogno dei confini, che però noni mi facciano riconoscere necessariamente solo dei nemici. Io devo agire come se ci fossero confini, il massimo è il muro, perché senza confini non posso vivere. I confini sono importanti. Questo problema dell’assenza dei confini, di cui abbiamo bisogno, è un problema grosso perché ci accorgiamo oggi che sono sempre di meno e sempre meno utili. Non li vediamo più, non riusciamo a riconoscerli. Servirebbero a farci sentire più sicuri, ma da che? E il problema ci riporta alla questione della globalizzazione. Il mondo incombe su tutti i noi, e l'immigrazione non si può trattare allo stesso modo, come una realtà che non si può ideologizzare.”

«I sondaggi – conclude Diamanti – ci indicano che gli indici di preoccupazione, inquietudine, non sono cresciuti, anzi più bassi. Il problema è che oggi l'immigrazione produce sentimenti e inquietudini che viviamo tutti: lo spaesamento. Oggi è importante far dialogare immigrati mediali con immigrati reali, e porci il problema duplice: riconoscerli con i loro nomi per riconoscere noi stessi, perché se non possiamo riconoscere confini fisici, dobbiamo almeno riconoscere confini cognitivi, riconoscendo là complessità e trattandola come valore».

A questo punto torna con forza il ruolo e la professionalità di chi fa informazione.

Quella auspicata dalla Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, nel messaggio introduttivo di saluto: «Al mondo della comunicazione si richiede una interpretazione dei fatti veritiera e capace di raccontare senza stereotipi, che alimentano malessere e rabbia. Il nostro Paese ha abbassato le difese contro esternazioni violente e di odio, che inquinano il dibattito democratico e le istanze civili. Non può essere parità tra xenofobia e accoglienza tra razzismo e antirazzista. Occorre fornire non solo la rappresentazione veritiera della realtà, ma anche gli unici antidoti contro l’intolleranza: gli elementi per capire come sono fatti e come evolvono davvero i fenomeni».

E quella messa in luce dalla domanda finale di Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma «sebbene si stia assistendo ad un riconosciuto generale sforzo della categoria che va migliorando la qualità dell’informazione sul tema», afferma Bellu, «sottolineo che la Carta non è una lista di “Buoni consigli, semplici”, ma un vero e proprio Codice deontologico». «Ma se si assiste – conclude con severità – a violazioni sistematiche delle regole, e chi si chiama fuori da queste regole può ancora restare nell’Ordine dei giornalisti? Quali sanzioni, praticare? Domande che pongo all'Ordine e a tutti noi».

Chiaro riferimento a certi titoli apparsi dopo gli attentati di Parigi.

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