Cultura
Media civici contro l’epidemia di paura
C'è chi vede nell'ignoranza la causa e chi, invece, la concepisce come un effetto della paura. Ma nei sistemi complessi è sempre più difficile distinguere. Soprattutto oggi, dove gli apocalittici si sono perfettamente integrati nel sistema dell'informazione e hanno creato un "bisogno di panico" che trova sfogo nei dibattiti sull'epidemia. Una risposta importante a questa crisi nella crisi sta arrivando, però, dai media locali e dal presidio civico della comunicazione
di Marco Dotti
Solitamente, quando si dibatte di informazione, si apre per tutti un piccolo, grande dilemma destinato a rimanere puramente astratto. Salvo quelle rarissime circostanze – oggi ci troviamo in una di queste – in cui la realtà impone il proprio passo e un'inaspettata dose di concretezza: la paura è figlia dell'ignoranza o dell'infomazione?
Stati di ingnoranza: credersi "colti" non serve
La domanda è scontata, ma le risposte deludono. Soprattutto se servono unicamente a rassicurare chi le dà, come fossero vaccini per immunizzarsi dal contatto con il senso comune.
Un esempio di questo vaccino autosomministrato ci viene dagli anni Cinquanta: tra le pagine del suo Viaggio in Italia, dopo aver percorso la Penisola in lungo e in largo, un osservatore peraltro acuto e attento come Guido Piovene dice la sua sui mezzi di comunicazione.
Scrive Piovene: «accettando il principio demagogico di modellarli sugli intellettualmente deboli, ne dovremmo concludere che in democrazia, a causa dello sviluppo dell'istruzione, si devono avere soltanto film, trasmissioni, commedie, libri, giornali insipidi, vuoti, cretini o, che è lo stesso, edificanti. Che bisogna puntare sulla massima imbecillità. Che la società dev'essere portata sulla regola di uniformarsi all'imbecille».
Considerazioni del genere, benché ricorrenti, in queste ore non hanno alcun senso. Eppure continuiamo a sentirle.
Stati di paura: la "notiziabilità" genera panico
Tocca chiedersi: e se, invece, in determinate circostanze e in sistemi complessi e connessi come il nostro, la paura derivasse proprio dall'informazione? Ma anche i giornalisti, si sa, tendono a immunizzarsi e raramente pongono in questi termini la questione. Più comoda e rassicurante l'opzione-Piovene. Ricorre, in queste ore, un'espressione: "fa notizia". I sociologi, che giocano a saperla lunga, preferiscono dire la stessa cosa parlando di newsworthiness, "notiziabilità".
La notiziabilità, ovvero la presunta idoneità di un fatto a trasformarsi in notizia, è però un cavallo di Troia. Soprattutto oggi che gli apocalittici si sono perfettamente integrati, col ruolo di esperti, nel sistema dell'informazione e questa pratica del commento infinito rischia di generare un'involuzione anch'essa senza fine.
Questa involuzione del principio di notiziabilità ha prodotto il panico sociale in cui ci troviamo. Un panico che cresce nel momento stesso in cui viene raccontato. Il racconto del panico genera panico e, a sua volta, il racconto del racconto del panico genera altro panico.
Sul quotidiano il manifesto di mercoledì 26 febbraio un altro filosofo, Giorgio Agamben, ha messo in evidenza, tra altri forse più discutibili, i rischi legati alla presenza, innestata nella vita quotidiana e ordinaria, di una permanente disponibilità psichica e morale al panico. Un vero e proprio «stato di paura che in questi anni si è evidentemente diffuso nelle coscienze degli individui e che si traduce in un vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo, al quale l’epidemia offre ancora una volta il pretesto ideale»..
Se questo è il contesto, più informazione può forse significare meno ignoranza, ma di certo non significa meno paura.
La soluzione: i media civici
Emerge però, proprio in queste ore, anche un'altra realtà. Mentre la comunicazione istituzionale segue i propri canali, quella mainstream gioca al gioco al massacro della notiziabilità, una rete attiva sui territori comincia a crescere.
Abbiamo raccontato (qui) come proprio il blocco di questa rete civica in Cina abbia creato le condizioni affinché le autorità non si rendessero pienamente conto della gravità della situazione a Wuhan.
Al contrario, nelle zone del Nord Italia che, a oggi, sono interessate dai contagi una rete di informazione locale tradizionale e di comunicazione civica svolta soprattutto da associazioni e cittadini, tramite social network, sta
- creando le condizioni affinché il tessuto sociale non venga messo ancora più a repentaglio da una comunicazione orientata al panico e si ricompoga quel legame di fiducia che è la base di ogni "capitale sociale"
- dando forma embrionale a quei media civici (civic media)* che, secondo il MIT Center for Civic Media, si definiscono per la «forma di comunicazione capace di rafforzare i legami sociali all’interno di una comunità o creare un forte senso di impegno civico tra i membri della stessa comunità».
Casi interessanti di comunicazione civica vengono da due esperienze locali, in zone in questo momento sotto osservazione per l'emergenza coronavirus: Cremona e Brescia.
La qualità del lavoro del quotidiano La Provincia di Cremona ha spinto il Prefetto a riconoscerne, fuor di retorica, l'importanza civico-strategica svolta in questa fase di emergenza sanitaria, grazie alle «notizie diffuse in modo scientifico, quasi in tempo reale e in maniera comprensibile per la popolazione».
Dal canto suo, Nunzia Vallini, direttrice del Giornale di Brescia, ha invece, giustamente, ricordato che per sconfiggere la paura serve, prima di tutto, la «forza della coralità» e «al posto dell'oramai inutile caccia al paziente 0 o della moltiplicazione delle fake news» tutti, cittadini e associazioni in primo luogo, devono «dismettere i panni degli spettatori passivi vestendo l'abito degli attori propulsivi» che sanno presentarsi alla prova dei fatti.
Sembra che in queste esperienze locali e nelle molte reti, spontanee e o associative (ne daremo conto in un prossimo articolo), che si stanno formando sia in atto una tendenza, forse ancora scarsamente percepibile a livello nazionale, di empowerment civico: un tentativo di fare comunicazione di mutuo soccorso su fatti molto concreti, apparentemente minimi, ma di vitale importanza in un contesto di caos istituzionale e organizzativo, e che questa tendenza sia, di fatto, la vera risposta alla domanda: «la paura è figlia dell'ignoranza o dell'infomazione?». Certe risposte, si sa, possono arrivare solo scartando di lato. In questo caso, il lato è quello della società civile. Il resto è già noto: in panico, un apocalissi senza sbocchi. Il cortocircuito senza fine.
*Su questo tema, cfr. Luca De Biase, I media civici. Informazione di mutuo soccorso, Vita/Feltrinelli, Milano 2013.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.