Mondo
Matteo Renzi (di nuovo) in terra d’Africa
Missione africana (ritardata di 24 ore da Summit europeo sulla Grecia) in due tappe per il Presidente del Consiglio dal 14 al 15 luglio: prima in Etiopia per assistere alla Terza Conferenza internazionale per il finanziamento allo sviluppo e poi a Nairobi per incontrare le autorità keniote. La cooperazione allo sviluppo, la lotta contro il terrorismo e l’emergenza migrazioni al cuore della sua agenda politica. Quello di Matteo Renzi è il secondo tour in Africa, che VITA seguirà in prima linea.
Dopo il Mozambico, l’Angola e il Congo Brazzaville nel 2014, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi torna in Africa per quello che sarà la sua seconda missione africana in un anno. Un viaggio che stava per essere compromesso dal Summit europeo infinito sulla crisi greca. Etiopia e Kenya sono i due paesi in cui il Premier dovrebbe recarsi: il primo per assistere alla Terza Conferenza internazionale per il finanziamento allo sviluppo, il secondo per incontrare il Presidente keniota, Uhuru Kenyatta, e fare un discorso all'Università di Nairobi.
Indipendentemente dal probabile stravolgimento dell'agenda di questo tour, Cooperazione allo sviluppo, lotta al terrorismo e emergenza migrazioni sono i tre temi che stanno al cuore della politica africana di Renzi.
Dalla sua entrata in funzione a Palazzo Chigi, Renzi ha fatto dell’Africa una delle sue priorità in tema di politica estera. La minaccia incarnata dai terroristi islamici in Sahel e nel Corno d’Africa, e i flussi migratori che da queste stesse aree geografiche africane stanno alimentando le tragedie umane nel Mediterraneo confermano che la scelta del Presidente del Consiglio non è dovuta al caso. Ma al di là delle emergenze, l’Africa desta interesse anche per le enormi, quanto fragili opportunità di business che offre agli investitori italiani, soprattutto nel settore energetico. “L’Africa è il luogo per far ripartire la politica estera intesa come rapporti politici e economici”, aveva dichiarato Renzi a Maputo un anno fa durante la sua visita ufficiale in Mozambico. “La scoperta di gas di Eni fa capire come si può diversificare la politica energetica: invece di litigare solo su Southstream scegliamo l’Africa e gettiamo le condizioni per l’energia dei nostri figli”.
Secondo le ultime stime diffuse dalla Banca Africana di Sviluppo e dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) nel rapporto African Economic Outlook 2015, “la crescita del PIL in Africa dovrebbe consolidarsi nel 2015 a 4,5% e nel 2016 a 5% dopo due anni di espansione moderata”. Mentre nel report Doing Business pubblicato in ottobre 2014 dalla Banca Mondiale, si scopre che “cinque paesi africani fanno parte delle 10 economie più riformate al mondo nel 2013-2014”.
“Oggi l’Africa è il continente che attrae il maggior numero di investitori dopo il Nord America”, sottolinea il Vice Presidente della Banca Mondiale con delega all’Africa, Makhtar Diop. “La regione può vantarsi di aver attratto 60 milliardi di investimenti diretti stranieri nel 2014, una cifra record cinque volte superiore rispetto al 2000”.
La tappa etiope riassume bene le nuove ambizioni dell’Italia in Africa. Ad Addis Ababa, Matteo Renzi partecirà alla Terza conferenza internazionale sul finanziamento allo Sviluppo assieme al Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, l’Alto Rappresentante Ue per la politica estera, Federica Mogherini, e ministri per lo sviluppo. Quello di Addis è un appuntamento cruciale per definire le nuove risorse finanziarie che andranno ad alimentare le politiche di sviluppo da qui al 2030 e la nuova agenda degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile (SGDs) che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adoterrà in settembre per sostituirli agli Obietti del Millennio (MDGs). Per Renzi, la Conferenza di Addis Ababa sarà un’occasione per presentare la nuova riforma della cooperazione italiana allo sviluppo entrata in vigore nell’agosto 2014 e incontrare i vertici dell'Unione Africana "per accelerare insieme su cooperazione internazionale, anti-terrorismo e controllo dell'immigrazione".
La cooperazione allo sviluppo è sempre stata definita dal Premier uno strumento importante per lottare contro la povertà, e quindi da un lato frenare le partenze dei migranti africani verso l’Europa e tagliare l’erba sotto i piedi ai terrosti. La partita non si annuncia facile in quanto le dimissioni recenti di Lapo Pistelli rischiano di provocare ulteriori ritardi nell’attuazione della legge 125/2014 e alla nascita della nuovo Agenzia per lo sviluppo. Per il portavoce di CONCORD Italia, Francesco Petrelli, è importante che “il Governo proceda rapidamente alla nomina del Viceministro alla Cooperazione Internazionale,evitando una ‘vacatio’ non utile all’attuazione della nuova legge”. Inoltre, preoccupano la società civile le stime relative agli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) menzionate nel Documento di economia e finanza (Def) 2015. Sebbene in lieve aumento tra il 2012 (0,12%) e il 2014 (0,16%), il governo ha annunciato di voler perseguire il percorso di riallineamento agli standard internazionali di spesa per il triennio 2016-2018, prevedendo una percentuale dello 0,18% nel 2016, dello 0,21% nel 2017 e dello 0,24% nel 2018. “Tale percorso porterà nel 2020 a raggiungere l'obiettivo dello 0,30 per cento, anche tenuto conto dei negoziati attualmente in corso per la definizione della nuova Agenda per lo sviluppo sostenibile, nella prospettiva del raggiungimento, da parte dell'Unione Europea nel suo complesso, dell'obiettivo dello 0,7 per cento”.
Ma gli aiuti allo sviluppo, destinati tra l'altro a cambiare radicalmente con l'apertura prevista dalla riforma al settore privato, non bastano per sradicare il terrorismo e ridurre i canditati africani all’emigrazione, due fronti apertissimi su cui l’Italia si sta impegnando in Africa orientale attraverso il Processo di Khartoum lanciato nel novembre scorso a Roma e il lavoro di intelligence portato avanti con altre potenze occidentali per sradicare la minaccia terroristica che dall’Egitto (vedi l’attentato perpetrato ieri al Cairo contro il consolato italiano) si espande fino alla Somalia, passando per il Kenya (regolarmente colpito dagli Shabaab) e l’Etiopia.
Agli occhi di Matteo Renzi, gli investimenti e il settore privato italiano hanno un ruolo importantissimo da giocare, anche in chiave di opportunità di business per l’Italia. Agenda permettendo, la visita annunciata del Presidente del Consiglio il 13 luglio a una delle due dighe per impianti idroelettrici (la Grand Renaissance Dam e la Gilgel Gibe III) che la Salini sta costruendo in Etiopia, non è casuale. Ma anche lì, l’Italia ha ancora molto da fare. Come sottolineato dal rapporto dell’ISPI nel dicembre 2013, “sul piano delle relazioni economico-commerciali, gli investimenti diretti esteri italiani in Africa subsahariana sono cresciuti da 21,2 milioni di dollari nel 2000 a 638,5 milioni di dollari nel 2011. Il valore degli scambi commerciali tra Italia e Africa subsahariana è invece pari a 13,6 miliardi di euro, ovvero all’1,8% dell’interscambio commerciale italiano. Quelle con l’Africa subsahariana sono dunque quote di commercio estremamente limitate e marginali, particolarmente basse se si considera la relativa vicinanza geografica dell’Italia con la regione”. Più di recente, in un incontro organizzato da Linkiesta, Federico Sutti, managing director Europa e Africa di DLA Piper Global Law Firm, ha ricordato che “Su oltre 135 miliardi di investimenti esteri in Africa tra il 2011 e il 2014, il 7% viene dal Nord America, il 23% dall’Europa, il 26% dall’Asia del Pacifico, il 28% dai Paesi del Golfo”. E l’Italia? “L’Italia investe mediamente 2,5 miliardi, contro i 14 miliardi della Francia”.
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