Mondo

Matteo, quali risorse per lo sviluppo dell’Africa?

di Marco De Ponte

La Terza conferenza internazionale sulla Finanza per lo Sviluppo sta arrivando a una conclusione. Ieri il premier Renzi è arrivato ad Addis Abeba: seconda tappa africana da quando è diventato Presidente del Consiglio. La discussione è cruciale: sia per i paesi cosiddetti ricchi che quelli poveri. Come si finanzierà lo sviluppo nei prossimi 20 anni? E che decisioni verranno prese, in vista della conferenza di New York a settembre, dove verranno discussi i nuovi Obiettivi per lo sviluppo sostenibile?

Tra gli elementi chiave c’è la questione della riforma del sistema fiscale globale: ci si chiede da tempo con quali sistemi si possa mettere fine all’evasione fiscale, quello che in gergo si chiama tax dodging, e che fa si che i paesi poveri perdano circa 100 miliardi di dollari l’anno a causa delle pratiche finanziarie adottate dalle grandi multinazionali. Risorse, che se restassero in questi paesi già impoveriti, anziché andare a foraggiare i paradisi fiscali, potrebbero essere usate per combattere la povertà: costruire scuole, ospedali, infrastrutture. Per ora, la sensazione per chi segue da vicino il Vertice è che i Paesi G77 saranno costretti ad accettare un accordo ingiusto, che rafforzerà – anziché diminuire – le disuguaglianze tra ricchi e poveri.

Ci sono alcuni aspetti chiave che, come organizzazione della società civile, ActionAid ha messo in luce con chiarezza in vista del Vertice; prima questione centrale, che a tutt’oggi non sembra avanzare nei negoziati, è quella dell’istituzione di un comitato intergovernativo che regoli il sistema fiscale internazionale. Una proposta sottoscritta anche da ActionAid: evasione e elusione fiscale da parte delle multinazionali sono oggi possibili perché gli standard del sistema di tassazione globale vengono decisi quasi esclusivamente da OECD, che rappresenta 34 paesi, per lo più “in buona salute”. I paesi più poveri sono completamente esclusi da ogni potere decisionale.

In merito ai paesi poveri, in particolare africani, il Premier Matteo Renzi ha sottolineato come l’Italia possa fare da ponte tra Europa e Africa, e la necessità di una diversa visione che faccia di più sul versante cooperazione, con un legame forte alla questione migrazioni. Viene da dire, bene avanti così. Perché appunto le ragioni che motivano migliaia di persone a rischiare la vita non si ritrovano solo nell’ultima scelta forzata di prendere il mare. Ma nelle cause strutturali che le obbligano a partire.

Renzi, ha ricordato che esiste una nuova legge della cooperazione, ma ahinoi le risorse economiche italiane sono ben lontane da quelle che caratterizzano altre cooperazioni (siamo ancora lontani dalla media dei Paesi DAC e dalla UE, siamo allo 0,16% della ricchezza nazionale del 2013). Secondo quanto riportato nel Documento di Economia e Finanza dell’aprile 2014 – il primo del Governo Renzi – per quanto riguarda l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo l’Italia confermava i suoi impegni, ovvero ribadiva “la conferma di un progressivo incremento, su base annuale, pari almeno al 10% degli stanziamenti previsti dalla legge n. 49 del 1987, sulla base delle leggi di bilancio 2014”.

In pratica però nel Disegno di Legge (Legge di Stabilità 2015) presentato dal Ministro Padoan alla Camera dei Deputati lo scorso 23 ottobre, le risorse per il 2015 sono quasi le stesse del 2014: 180 milioni sulla 49/87 più 60 milioni per il 2015 del fondo rotativo allocati con la precedente Legge di Bilancio. Si riscontra quindi un’evidente incoerenza tra il documento di programmazione economica dell’aprile 2014 e le risorse allocate dalla Legge di Stabilità 2015. Se il Governo Renzi avesse voluto rispettare gli impegni presi – non solo per una questione di coerenza “nazionale”, ma anche per proseguire nell’impegno al riallineamento graduale dell’Italia agli standard internazionali dei Paesi donatori OCSE/DAC nel rapporto tra Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) e Prodotto Nazionale Lordo (PNL) -avrebbe dovuto allocare nella Legge di Stabilità almeno 265,1 milioni di Euro.

Ieri il Premier ha dichiarato che l’obiettivo è diventare quarti (del G7) nel 2017 in termini di risorse destinate alla cooperazione. Staremo a vedere. Se vuole arrivare al quarto posto dovrà fare i conti con le performance degli altri paesi: in termini percentuali dovrà cercare di fare meglio di Giappone, Canada e Stati Uniti. Attendiamo, come promesso, la concretizzazione di questo impegno a partire dalla prossima legge di stabilità.

Infine, non è solo un problema di quantità. La cooperazione italiana e quella internazionale si sono aperte al settore privato. Diciamo, perché no? L’importante è che avvenga senza distogliere le poche risorse disponibili per la cooperazione e mettendo al centro la giustizia sociale. Il nodo del partenariato pubblico/privato è cruciale, ma non è ancora chiaro come il settore privato potrà essere davvero trasparente e accountable verso coloro che vivono in povertà. Per ActionAid è necessario assicurare la massima trasparenza e la responsabilità delle aziende che operano come soggetti della cooperazione italiana.

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