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Maternità surrogata: una persona non può mai essere venduta né donata

Si torna a parlare di maternità surrogata, con due appuntamenti internazionali in corso a Roma. Un dialogo con il filosofo Alessio Musio che spiega le ragioni della Dichiarazione di Casablanca, che ne chiede l'abolizione universale. «Nella maternità surrogata il punto non è il contratto, ma il fatto che ciò che viene venduto o donato non è il servizio gestazionale: è sempre il figlio o la figlia. E possono essere venduti, comprati o donati solo gli oggetti, non le persone»

di Sara De Carli

Donna incinta

Da un lato c’è la «Conferenza internazionale per l’abolizione universale della maternità surrogata» organizzata alla Lumsa per venerdì 5 e sabato 6 aprile. Dall’altro c’è il convegno internazionale «Libertà e autodeterminazione nei percorsi di Gpa» organizzato dalle Famiglie arcobaleno e dall’associazione Coscioni, sempre per il 5 aprile. 

Da un lato c’è Olivia Maurel, nata da maternità surrogata e oggi impegnata per la sua abolizione, ricevuta da Papa Francesco a margine del convegno romano (è attesa invece per l’8 aprile la pubblicazione di Dignitas infinita, una nuova dichiarazione sul tema della dignità umana redatta dal Dicastero per la Dottrina della Fede). Dall’altra ci sono le sorelle Fiorella e Valentina Mennesson, anche loro nate da una gravidanza per altri e firmatarie di una lettera aperta inviata sempre al Papa per dire quanto i credenti che hanno scelto questo modello di famiglia meno tradizionale si sentano giudicate e stigmatizzate. 

Da un lato c’è chi parla di maternità surrogata e dall’altro chi usa la definizione gestazione per altri o gravidanza solidale e la scelta delle parole è già una esplicita presa di posizione. 

Sullo sfondo, la politica, con la Camera che a luglio 2023 ha già approvato il disegno di legge 824 (a prima firma di Carolina Varchi di Fratelli d’Italia) che renderebbe perseguibile il reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da cittadino italiano: la commissione giustizia del Senato sta avviando i lavori, con la previsione di un ciclo di audizioni.

Il gioco delle parti contrapposte, su un tema così delicato e eticamente sensibile, è fin troppo facile. Ma in realtà – spiega Alessio Musio, professore di Filosofia Morale all’Università Cattolica di Milano, autore di Baby boom. Critica della maternità surrogata  – «la battaglia culturale per l’abolizione della maternità surrogata non è una battaglia della destra contro la sinistra né l’ennesima riedizione di un infelice scontro tra conservatori e progressisti, ma un impegno ineludibile per la salvaguardia dell’umano».    

Cominciamo facendo un passo indietro. Che cos’è questa Dichiarazione di Casablanca con cui esattamente un anno fa 100 esperti di 75 nazionalità hanno chiesto un impegno per l’abolizione universale della maternità surrogata? 

Il documento arriva dopo la Carta di Parigi del 2016, promosso originariamente dalla sinistra femminista francese, che chiedeva anch’essa l’abolizione universale della maternità surrogata. Già in quel documento la maternità surrogata veniva definita come una «pratica sociale che cancella il valore intrinseco e la dignità degli esseri umani». E in effetti è importante sottolineare il fatto che si tratti di una pratica sociale e non di un gesto individuale. Contrariamente a molte rappresentazioni, non stiamo parlando del comportamento di pochi individui, ma di un fenomeno che coinvolge attori differenti e spesso dislocati in Paesi diversi: infatti, non ci sono solo i committenti e la madre surrogata, ma anche le company che si occupano del bio-business della surrogacy, con tutto il coté di medici, avvocati ecc che ne garantiscono con molta efficienza il funzionamento. Nella sua versione commerciale, anzi, il fenomeno è indiscutibilmente un mercato transazionale, anche se un discorso a parte si può fare del caso della maternità surrogata su base non commerciale. In ogni caso direi che è interessante il fatto che entrambi i documenti richiedano l’abolizione di tutti e due i tipi di maternità surrogata. 

Alessio Musio, ordinario di Filosofia morale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Essendo il tema transnazionale, a logica anche la risposta – se davvero si vuole darne una – deve essere tale. 

Esatto. Un fenomeno economico globale deve necessariamente essere pensato, anche sul piano giuridico, con una logica di universalità. Basti pensare al fatto che in Ucraina, allo scoppio della guerra, le donne impegnate nella surrogacy, che cercavano, come tutti, di sfuggire alle bombe rifugiandosi all’estero, siano state forzatamente riportate a Kyïv per partorire nei bunker delle company del mercato gestazionale, perché altrimenti i bambini non avrebbero più potuto essere consegnati ai committenti risiedenti nei vari paesi europei. Per inciso e a scanso di equivoci, credo che proprio in questo momento sia importante osservare come la maternità surrogata sia accettata sul piano legale anche in Russia, mentre in Ucraina proprio a fronte dell’esperienza devastante della guerra si sta pensando a una sua messa al bando…

È importante sottolineare il fatto che si tratta di una pratica sociale e non di un gesto individuale. Contrariamente a molte rappresentazioni, non stiamo parlando del comportamento di pochi individui, ma di un fenomeno che coinvolge attori differenti e spesso dislocati in Paesi diversi

Alessio Musio

Nella presentazione della Dichiarazione di Casablanca si insiste molto sulla “trasversalità” dei primi 100 firmatari.

Ci sono tre sottolineature da fare. La prima è che la proposta arriva da persone – si legge sul documento – che hanno convinzioni e posizioni politiche o religiose differenti. Questo è molto interessante, ossia la possibilità che si sia affermato a livello globale nelle nostre società un consenso nel giudizio critico sulla maternità surrogata anche a fronte di posizioni politiche, etiche, religiose diverse. Nella Dichiarazione si insiste, anzi, nell’osservare come questo consenso accada tra persone “provenienti anche da paesi in conflitto tra loro”. Ci troviamo, cioè, al cospetto di una logica in cui la differenza non fa problema: una cosa non da poco in una società che vive sempre più di echo chambers in cui si rischia di non incontrarsi mai. Il secondo aspetto interessante è che a firmare il documento siano “donne, uomini, giovani, anziani, professori, professionisti”. Insomma, anche i firmatari sono espressione di un consenso per intersezione che sembra voler dare l’immagine plastica di un accordo condiviso nella società. Il terzo punto è la specificità della richiesta: la prospettiva, infatti, è abolizionista e non proibizionista. 

Che differenza fa?

Le battaglie proibizioniste finiscono sempre per scontrarsi con la pretesa rivendicazione da parte di qualcuno di una libertà o di un diritto, con chi lamenta di soffrire di una lesione della sua libertà. La logica abolizionista invece esclude tout court che si possa parlare di un diritto, anche solo immaginato. Quella dell’abolizione è la logica dell’azione contro la schiavitù, per fare un esempio, che fa apparire risibili simili rivendicazioni. 

La richiesta è abolizionista e non proibizionista. È diverso. La logica abolizionista invece esclude tout court che si possa parlare di un diritto, anche solo immaginato

Alessio Musio

Proviamo a commentare il testo della Dichiarazione di Casablanca, facendo alcune sottolineature?

Partirei dal soffermarmi sulla premessa dei firmatari. Che si dichiarano consapevoli di tre cose: «la sofferenza delle persone che non riescono ad avere figli; il carattere attrattivo delle tecnologie riproduttive; la questione internazionale di una protezione efficiente della dignità umana». In questa premessa si vede quella che definirei la preoccupazione e la consistenza ‘umanistica’ del testo. Il richiamo alla sofferenza delle coppie che desiderano un figlio e non riescono ad averlo è molto significativo: bisogna infatti sempre avere il giusto senso delle cose quando si fa una richiesta, essere consapevoli della posta in gioco. La sofferenza per un figlio desiderato che non arriva è una sorta di contraddizione esistenziale che non deve mai essere banalizzata. Fa riflettere anche il richiamo alla presunta attrattività delle tecnologie riproduttive, cui fa da contraltare nell’immaginario comune la narrazione dell’adozione come un iter tortuoso, lungo, ad ostacoli. La tecnologia invece sembra essere disponibile e offrire percorsi più semplici e immediati. In proposito, però, vorrei dire che la realtà del processo tecnologico sotteso alla maternità surrogata è ben diversa e tutt’altro che semplice: dalle stimolazioni ormonali estremamente invasive e rischiose che si fanno sul corpo della donna che mette a disposizione gli ovociti, ai trattamenti che servono per permettere l’impianto degli embrioni umani nell’utero della donna che fa la madre surrogata. L’impatto della tecnologia sul corpo, in particolare sul corpo femminile, non è per nulla neutro, il processo è lungo e tortuoso, e questo non va mai né dimenticato né taciuto. Peraltro, qui siamo di fronte a un intervento non giustificato dal punto di vista medico: un consumo di medicina che non ha nulla a che vedere con la categoria costituzionale del diritto alla salute. In questo a ben vedere non c’è molto di attrattivo…

Il senso generale della Dichiarazione di Casablanca sta nelll’affermare che non tutti i modi di generazione sono equivalenti e che ci sono delle forme generative che non sono all’altezza della dignità umana

Alessio Musio

Quindi arriviamo al fatto che serva una presa di posizione internazionale per la protezione della dignità umana. 

La maternità surrogata contribuisce alla mercificazione delle donne e dei bambini: questo è il cuore della questione posta dalla Dichiarazione. Il problema della maternità surrogata non è, infatti, soltanto il nascere per contratto: la dimensione contrattuale è la veste istituzionale della surrogacy. Il proprium della maternità surrogata è, invece, la scomposizione del processo del materno: grazie alla tecnologia si può scomporre in tre ciò che per secoli è avvenuto nel corpo di un’unica madre. Qui invece abbiamo la madre genetica (chi dona o vende l’ovocita), la madre che fa la gestazione e il parto e la madre sociale. Chi di queste tre chi è la vera madre? La domanda, difficile per lo studioso, diventa ancora più complessa per il bambino che prima o poi sarà portato a porsela in una forma più personale e drammatica: “chi è (tra loro) mia madre?”. 

Se la dignità umana è messa a rischio dalla mercificazione della donna e del bambino, questa obiezione però non dovrebbe valere per la maternità surrogata altruistica. 

Vale lo stesso. Lo capiamo pensando a chi è il protagonista della pratica: il figlio o la figlia che perde il legame con madre che lo ha messo al mondo. Qui fra l’altro emerge la differenza potentissima, dal punto di vista etico, con l’adozione: l’adozione – come è stato notato – è il rimedio a un abbandono, mentre la maternità surrogata è l’istituzione di un abbandono. In ogni caso la questione è che in realtà nessuno può dire davvero che in una pratica di maternità surrogata ciò che viene a essere venduto o donato sia il servizio gestazionale e non il bambino: ciò che è venduto o donato, infatti, è sempre il figlio o la figlia. E il punto è che una persona non può mai essere venduta/comprata ma neanche donata. A poter essere venduti, comprati o donati sono solo gli oggetti, non le persone. La pratica della maternità surrogata – a maggior ragione se legittimata giuridicamente – mette in crisi la distinzione tra persone e cose e questo per le ragioni dette vale anche nelle forme di surrogacy, comunque estremamente rare, che sono davvero altruistiche. 

Questo mi pare un punto dirimente. Perché l’oggetto del contratto non è la gestazione?

Io posso fare un contratto per qualunque prestazione – sportiva, artistica, intellettuale… – ma il punto è che in realtà non esiste nessun servizio gestazionale senza la presenza effettiva di un bambino o di una bambina, tanto che la placenta è co-costruita dal corpo della mamma e del bambino. La gestazione è certamente una capacità intrinseca del corpo della donna, ma è resa possibile solo dalla presenza effettiva del figlio. Per questo, anche se non lo si vuole ammettere, ciò che viene donato/venduto è il bambino. Da qui la Dichiarazione di Casablanca fa discendere giustamente l’affermazione che c’è sempre una cosificazione della donna e dei bambini, in qualsiasi forma di maternità surrogata. Preciso che dire che il figlio è trattato come una cosa non vuol dire che il figlio sia una cosa. I figli sono figli, sempre. Il problema di trattare le persone come le cose nasce proprio dal fatto che non sono cose… 

Le persone possono decidere di donare e di donarsi ma non possono essere donate

Alessio Musio

Torniamo però un momento alla surrogacy altruistica.

Nessuno può avere nulla in contrario rispetto al fatto che una donna voglia donare qualcosa di sé, in un’ottica solidaristica, a una o più persone cui si sente legata, ma il punto è che le persone possono decidere di donare e di donarsi ma non possono essere donate. Il senso generale della Dichiarazione di Casablanca sta nel dire che non tutti i modi di generazione sono equivalenti e ci sono delle forme generative che non sono all’altezza della dignità umana. È solo in una logica produttivistica – che infatti non è quella della generazione – che il modo in cui è realizzato un prodotto è indifferente rispetto al prodotto stesso.  

Foto di Cassidy Rowell su Unsplash

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