Mater Terribilis

di Simona Chiapparo

 

Le cronache quotidiane diluiscono le microstorie del paese reale nel caos dell’informazione e nell’indifferenza collettiva. Napoli e le altre periferie italiane: vicende tragiche di figli che muoiono, per colpa o per fatalità, e di madri le quali danno al proprio dolore “la forma di parole abusate” che -come canta Giovanni Lindo Ferretti – dovremmo prometterci di non pronunciare mai più.

Un salto nel vuoto da un’impalcatura alta sei metri, in una prospettiva marcatamente antinomica al  “Saut dans le vide” dell’artista performer Yves Klein, ha causato – nel pomeriggio del 20 Settembre 2014 – la morte di un operario in uno dei cantieri delle nuove fermate metropolitane di Napoli. 

I media divulgano la notizia; le istituzioni manifestano un formale cordoglio; i sindacati esprimono pareri; la procura indaga.

Ma, all’indomani dell’incidente, in tutti i cantieri della città, nessuna manifestazione di popolare indignazione, nessuna protesta, nessuno sciopero. I lavori proseguono, come animati da una operosità che si potrebbe intendere quale espressione di una dedizione professionale e di una coscienza civile e popolare che, seppur indignata, riesce a calibrare le proprie reazioni.

Eppure, circa due settimane prima, in una delle tante anonime notti di un quartiere della periferia urbana, tre ragazzi in corsa su uno scooter non si fermano all’alt dei carabinieri e un proiettile esploso uccide uno dei tre. L’evento scatena una immediata reazione popolare, i media si avventano sulla notizia. Pochi giorni dopo, uno dei tanti cortei spontanei arriva presso una delle Caserme della zona centrale e costringe un Comandante Provinciale dell’Arma a togliere il cappello come gesto di cordoglio per il minorenne morto.

La storia dell’ operaio di quarantuno anni, morto per la caduta dall’impalcatura e la storia dello studente  diciassettenne, ferito a morte da un carabiniere, sembrerebbero non avere niente in comune. Forse è più semplice reagire ad un carabiniere che, in una “tragica notte di periferia” spara e uccide un ragazzo, in uno dei tanti quartieri disastrati di Napoli (e di altre malandate città italiane) rappresentati e abusati dai media, in nome di una visione manichea che contrappone Stato e anti-Stato, società civile e casta, autoctoni ed extracomunitari. Risulta magari difficile partecipare e reagire, palesemente e in modo inequivocabile, all’incidente che, un sabato pomeriggio qualsiasi, uccide un uomo mentre sta lavorando.

In uno scenario nazionale di precariato non solo lavorativo, l’esercizio di lucidità può essere sostenuto soltanto in modo intermittente o quando diviene inevitabilmente necessario.

Negli ultimi giorni, spazi televisivi e  social networks sono coinvolti nel dibattito sul testo base sulla riforma del lavoro, seduttivamente definito Jobs Act, e si riattiva la mediatica contrapposizione tra governo e sindacati che programmanouna pubblica espressione di dolore per altre quattro morti sul lavoro avvenute lo scorso 22 Settembre, presso un’azienda per lo smaltimento dei rifiuti speciali in provincia di Rovigo. Le morti sui luoghi di lavoro sono una vera e propria piaga sociale in Italia, ma questo non basta per suscitare l’immediata e organizzata reazione di altri cittadini che continuano a lavorare, nella più totale assenza dei minimi requisiti di sicurezza. Non basta a provocare lo sdegno pubblico delle madri che sanno in quali condizioni di pericolo i figli – i figli propri e i figli di altri madri –lavorino ma che, nella generale assuefazione a quelle logiche dell’incertezza imposte dalla attuale era bio-capitalistica, non possono pubblicamente insorgere.

Perché sei solo? Dove sono i compagni, quelli con cui sei partito per cercare fatica? (…) Dov’è? Dov’ è la gente di questo paese? che ha lasciato un figlio in preda ai lupi … morire così … Si può morire ancora così coperti dal ferro traditore?” recita Antonella Romano, sul testo drammaturgico “Mater Dolorosa” di Massimo Andrei. E’ la video-installazione “La Sposa Madre” – coraggiosamente realizzata nel 2013 dall’artista Roxy in the box nella Cappella San Severo di Napoli (http://www.roxyinthebox.it/portfolio/prova-installazione/) – dove il dolore di una madre, per la morte sul lavoro del proprio figlio, viene simbolicamente innestato sulla rappresentazione della sofferenza del corpo morto del Cristo.

 

 

Nelle dimensioni info-mediatiche di trincea contro lo Stato e le forze dell’ordine, in uno dei tanti quartieri di periferia, la morte di un figlio sotto i colpi di un carabiniere sembra distinguersi dalle morti di altri figli uccisi dalle faide interne alla criminalità organizzata. Perché non è accettabile che i propri figli siano uccisi da chi dovrebbe garantire l’ordine e la sicurezza. Ma forse si è costretti ad accettare la morte dei figli sui luoghi di lavoro, in questo nostro paese che ha smarrito il senso della pietà, o della vergogna. Lo stesso identico paese, infondo, che ispirò Pasolini per la sua dolorosa “Ballata delle madri”, la cui terribile chiusura continua, tragicamente, a descrivere tutti noi.

Ecco, vili, mediocri, servi,
feroci, le vostre povere madri!
Che non hanno vergogna a sapervi
– nel vostro odio – addirittura superbi,
se non è questa che una valle di lacrime.
È così che vi appartiene questo mondo:
fatti fratelli nelle opposte passioni,
o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo
a essere diversi: a rispondere
del selvaggio dolore di esser uomini.
” 

 

 

 

 

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