Famiglia

Masslo non c’è più, ma ha sconfitto chi l’ha ucciso

Lo ammazzarono nell’agosto dell’89. Lavorava raccogliendo pomodori ed era sfuggito all’apartheid. Nel suo nome è nata un’opera che ha aiutato tutti quelli come lui.

di Nadia Verdile

L?associazione di volontariato ?Jerry Essan Masslo? nacque nel 1989, sulla scia dell’indignazione e dell’emotività. Jerry era fuggito dalI’apartheid per morire, vittima di una rapina, in un rudere nelle campagne di Villa Literno, provincia di Caserta. Questa, in estrema sintesi, la triste vicenda del giovane uomo che al primo posto nella sua vita aveva messo la dignità e il desiderio di libertà. Era l’agosto dell?89. Fu ucciso una notte, dopo una giornata di massacrante lavoro nelle campagne a raccogliere pomodori: svegliato dai rumori dei rapinatori reagì e fu freddato dai colpi di pistola. Divenne un eroe, un esempio del disagio, della disperazione e del pericolo in cui vivevano centinaia di giovani uomini provenienti dall’Africa, che vivevano in casolari abbandonati, nella deprivazione più assoluta. Il suo funerale fu solenne come pochi altri. In strada la società civile, gente di ogni estrazione sociale perché anche in una terra dove la convivenza con la camorra è la norma un omicidio così assurdo, ai danni di un poverocristo, non se lo spiegava nessuno. Ad ottobre, un gruppo di medici di sinistra, che in quegli anni rivedeva la sua posizione nei confronti del volontariato, da sempre accusato di essere un alibi per lo Stato, si organizza e dà vita all’Associazione ?Jerry Essan Masslo?, con l?intenzione di operare per il bene degli stranieri sul territorio e di ricordare nel tempo la figura di un uomo ucciso senza un perché. C?erano Renato Natale (ancora oggi anima indiscussa del volontariato locale e presidente della stessa associazione), Armando Del Prete, Angela Ruggiero, Nunzio Maisto, Mario Pellegrino. Crearono un ambulatorio medico a Villa Literno, nei locali messi a disposizione dall’amministrazione comunale . «Il nostro progetto», spiega Renato Natale, «era fornire assistenza medica agli stranieri presenti in modo consistente sul territorio, ma non decollò subito. Era poco pubblicizzato e conosciuto. Intanto nasceva il primo campo di accoglienza per gli immigrati nel territorio di Villa Literno. Qui spostammo l’ambulatorio, che divenne il vero punto di riferimento per quanti vi vivevano. Nel tristemente famoso ?Ghetto?, vivevano più di 2.000 uomini, con una loro organizzazione, anche amministrativa, piccole botteghe, una moschea, uno spaccato dell’Africa lontana». In quel periodo presso l’ambulatorio si raggiungevano le 6.000 prestazioni annue. Poi, dopo l?incendio del ghetto, l?ambulatorio trovò ospitalità presso la parrocchia Santa Maria del Mare di cui era parroco don Antonio Palazzo, uno dei pionieri dell?ospitalità e dell?accoglienza ai cittadini stranieri. La parrocchia insiste sul territorio di Castelvolturno, un comune limitrofo a Villa Literno. «Qui ogni martedì e giovedì», continua Natale, «file lunghissime di stranieri attendevano di essere visitati, qualche volta operati da noi medici che vi prestavamo servizio. Poi fummo costretti ad andar via. Le pressioni della gente del posto che non gradiva la nostra presenza ci fecero cercare altrove ospitalità. La trovammo nello stesso comune presso il ?Centro Fernandez?. Da allora oltre alle visite e ai piccoli interventi, stiamo portando avanti interessanti progetti di prevenzione, attraverso screening che consentono di monitorare le patologie presenti e intervenire con le opportune terapie. Di grande efficacia il lavoro che stiamo realizzando sulle prostitute e sui tossicodipendenti». Quando tre anni fa la camorra decise che gli immigrati dovevano lasciare Casal di Principe, paese al confine con Villa Literno e luogo in cui l’associazione opera concretamente essendovi anche l’ambulatorio di Renato Natale, la popolazione scese silenziosamente in piazza a salutare la gente che partiva, scene commoventi: «La camorra aveva costretto i padroni delle case dove vivevano gli extracomunitari a cacciarli via» dice oggi Natale. Fu allora che i volontari manifestarono. Silenziosamente. «Ricordo la piccola Rita, figlia di una coppia senegalese che, nata a Casal di Principe, aveva scritto una letterina di addio e di ringraziamento a noi tutti, suoi amici. Capimmo che non potevamo mollare, darla vinta alla camorra. Mi feci avanti e offrii la disponibilità della mia casa a Rita e alla sua famiglia. Come me fecero altrettanto i sacerdoti della città, altre persone semplici, tanta gente indignata. Scesero in campo gli imprenditori che non volevano rinunciare all’apporto che i lavoratori stranieri davano all?economia del nostro territorio. Fu una bella vittoria, allora più che mai ci parve che Jerry non fosse morto invano» .


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