Non profit
Massimo Lapucci: «Inevitabile il confronto tra impresa sociale e fondazioni»
Intervista al Segretario Generale della Fondazione CRT sullo stato dell'arte dei modelli di gestione delle organizzazioni non profit e sull'internazionalizzazione delle fondazioni che sulla carta operano solo in certi territori.
Essere efficaci in contesti in continua evoluzione, problemi che richiedono approcci e soluzioni globali, definire bene la propria mission, trovare soluzioni innovative por formare partnership con istituzioni e stakeholder, valorizzare le risorse e ottimizzare gli investimenti. Non sono gli argomenti dell’ordine del giorno all’intero di un consiglio di amministrazione di una multinazionale. Sono ragionamenti e processi che anche i protagonisti del mondo non profit devono affrontare e implementare. Ne è convinto Massimo Lapucci (nella foto), Segretario Generale della Fondazione CRT, intervistato da Vita.it durante l'Assemblea Generale dello European Foundation Centre.
In alcuni workshop è emersa la necessità da parte del mondo non profit di provare a fare, per quanto riguarda i modelli gestionali, un parallelismo con il mondo profit. E’ la strada giusta?
È indubbio che anche le fondazioni come entità e come organizzazioni stabili hanno la necessità di essere più efficienti e di imparare a migliorarsi ispirandosi al mondo del business.. Noi non abbiamo degli azionisti a cui distribuire dividendi, ma abbiamo stakeholder ai quali distribuire valore, ai quali distribuire pubblica utilità. Ci tenevo, durante l'Assemblea Generale dell'EFC, a partecipare a una discussione dove si facesse un confronto tra la tradizione americana e quella europea per capire come i principi di chi ha iniziato da lontano ad efficentare il mondo delle imprese, possano esser riadattati a una missione non profit e possano essere utilizzati per analizzare lo stato dell’organizzazione e le tecniche gestionali delle fondazioni. Non c’è nessuno scandalo nel confrontare il mondo profit con le fondazioni. Le risorse, siano esse finanziarie, umane o di qualsiasi altro genere, devono essere gestite in modo efficiente. In altre parole bisogna confrontare delle teorie che storicamente sono state elaborate e concepite per il business, inteso come settore profit, provando ad adattarle alla gestione delle fondazioni.
Qual è lo stato dell’arte della Fondazione Crt?
Dal confronto che abbiamo fatto con altre organizzazioni siamo a buon punto. Nella gestione del patrimonio applichiamo le regole che sono normalmente previste per le società di capitali quotate pur non avendone l’obbligo. Ci siamo dotati di un modello organizzativo trasparente. Sul fronte delle erogazioni molto è stato fatto negli ultimi 2 – 3 anni. La Fondazione aderisce anche al recente accordo negoziale Acri- MEF, operando per bandi che funzionano se sono molto chiari: a partire da una chiara definizione del target di riferimento e dei criteri di selezione. La valutazione interna poi, deve essere fatta applicando dei criteri valutativi che vengono discussi in commissioni che in maniera collegiale sono chiamate a selezionare le migliori iniziative. Ecco, questo è già un grosso passo in avanti. Non abbiamo ancora finito, è un work in progress. Aver modificato pesantemente le modalità gestionali e di selezione dei beneficiari secondo me sta dando buoni risultati. Eliminate quelle iniziative che poco avevano dimostrato di saper andare avanti sulle proprie gambe, oggi selezioniamo i progetti di venture philanthropy, da un lato con un occhio al business plan e dall’altro direi con il cuore alla missione sociale, l’unione dei due deve guardare all’efficacia. Non ci può essere l’attenzione al capitale investito in un’iniziativa di venture philanthropy, senza un chiaro impatto sociale, ma al contempo non ci può essere un impatto sociale senza una chiara gestione efficiente e un ritorno senza rendimenti del capitale. La venture philnathropy e la parte di granting non sono approcci integrati opposti ma complementari. Nel progetto Enterpreneurs for Social Change, che portiamo avanti con le Nazioni Unite (UNAoC), utilizziamo perlopiù la modalità grant. Non siamo nella condizione di chiedere ai giovani di restituirci le risorse investite per il loro training. Tuttavia è prevista la possibilità di investire nelle imprese sociali più meritevoli, a quel punto vi è la possibilità di richiedere la restituzione del capitale investito in modo tale che possa essere utilizzato per chi verrà dopo.
Come si sta internazionalizzando una fondazione come la sua che è territorialmente attiva in Piemonte e Valle D’Aosta ?
La Fondazione ha incominciato il proprio progetto di internazionalizzazione 5-6 anni fa. Ora siamo nella fase di implementazione, non nei principi ma nella progettualità. E’ vero, la nostra è una Fondazione che copre principalmente il territorio del Piemonte e della Valle D’ Aosta. Però cos’è il territorio? Esso non è solo la regione di appartenenza, ma è innanzitutto la comunità dei beneficiari che sono oggi “globali”. Allora bisogna puntare sulle progettualità che vengono ad arricchire il nostro territorio in termini di competenze, risorse e di esperienze, ma che al tempo stesso consentano di rappresentare l’eccellenza espressa dal nostro territorio.Vi assicuro che ci sono tante eccellenze in Piemonte in campi noti che possono essere oggetto di interesse per altri. Incentivando altri a venire nel nostro territorio ed aiutiamo le nostre eccellenze ad andare fuori allora facciamo già internazionalizzazione.
Quali sono le lezioni più significative che ha appreso durante la conferenza dello European Foundation Centre?
Che è importante ridefinire la propria mission e il piano strategico. Ma anche che, come fondazione, dobbiamo imparare a comunicare meglio. Ci troviamo in un momento in cui spesso neppure i nostri beneficiari sono pronti a costituire quell’opinione pubblica che ci sostiene nei momenti in cui siamo in difficoltà. Invece occorre lavorare su una comunicazione rivolta ai beneficiari come primi sostenitori del ruolo delle fondazioni in una società dove la finanza pubblica si sta ritirando. Mancano qui quei meccanismi già avviati in altri paesi, meccanismi che possono contribuire a far confluire il capitale privato verso la filantropia, la pubblica utilità.
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