Cultura

Massimo Borghesi: domande sulla guerra in tempi estremi

Il dilemma sull’invio di armi all’Ucraina da parte dell’Italia e Ue è al centro di un confronto difficile e lacerante che attraversa la coscienza personale e collettiva. È necessario dare spazio ad un dialogo esigente capace di affrontare nodi complessi e finora in gran parte rimossi nel dibattito sociale e politico. L’intervista di Cittanuova al filosofo e saggista Massimo Borghesi, autore di “Jorge Mario Bergoglio, una biografia intellettuale”

di Carlo Cefaloni

Oltre a tattiche e strategie militari, gli occhi sono rivolti verso il Papa per capire il ruolo che può esercitare la Chiesa per agevolare l’apertura di vie diplomatiche in grado di arrivare a cessare il fuoco destinato altrimenti ad estendersi con conseguenze catastrofiche. Più in generale è inevitabile porsi delle domande sulla posizione dei cristiani dentro questa guerra in corso nel cuore dell’Europa.

Sono domande inevitabili che in questi giorni ci poniamo chiedendo il parere di diversi interlocutori. Questioni aperte che sono quindi all’origine di questo dialogo con Massimo Borghesi, professore ordinario di filosofia morale presso l’Università di Perugia, autore di numerosi e importanti saggi come “Jorge Mario Bergoglio, una biografia intellettuale” e “Francesco. La chiesa tra teologia teocon e «ospedale da campo»”.

Come si può leggere la citazione dell’articolo 11 della Costituzione italiana da parte di Francesco all’angelus di domenica 27 febbraio?
Non semplicemente come un richiamo scontato, da parte del Papa, alla pace contro la guerra ma innanzitutto come un richiamo al presidente russo e alla sua scellerata decisione di dichiarare guerra all’Ucraina. Il Papa ha detto: «Chi fa la guerra dimentica l’umanità, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere. Si affida alla logica diabolica e perversa delle armi e si distanzia dalla gente comune, che vuole la pace; e che in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra». In Ucraina la “gente comune” vuole pace. Anche in Russia la gran parte della popolazione vuole pace. I despoti fanno violenza anche ai propri popoli. Il nazionalismo è una patologia, della mente e dell’anima.

Nell’Angelus del 6 marzo il papa ha ribadito con forza il suo no alla guerra.
Si, il Papa ha detto testualmente, contro la propaganda di Putin, che nei media russi nega persino l’esistenza della guerra: «in Ucraina scorrono fiumi di sangue e di lacrime. Non si tratta solo di un’operazione militare, ma di guerra, che semina morte, distruzione e miseria. Le vittime sono sempre più numerose, così come le persone in fuga, specialmente mamme e bambini». Ha poi aggiunto: «La guerra è una pazzia! Fermatevi, per favore! Guardate questa crudeltà!».

Ci troviamo ora davanti al dilemma della declinazione della politica della nonviolenza attiva proposta dal papa nel messaggio per la pace del 2017 e rilanciata ad ogni occasione. Cosa vuol dire oggi a suo parere?
Il Papa ha chiesto che si fermino le armi e cessi la guerra. Lo chiede nella consapevolezza della enorme tragedia che si sta svolgendo nel cuore dell’Europa e nel presagio che ogni continuazione della guerra porterà solo ad aumentare eccidi e distruzioni nella martoriata terra ucraina. Francesco sa che il mondo dopo questa guerra non sarà più lo stesso, il fossato tra le nazioni si allarga, nuovi venti di guerra si preparano. Si avvera la profezia della terza guerra mondiale a pezzetti. Per questo il conflitto deve fermarsi il prima possibile e cedere il posto alla diplomazia. La Russia dovrà cedere su alcune sue pretese e il governo ucraino dovrà, giocoforza, concedere qualcosa. Occorre un mediatore all’altezza. Angela Merkel sarebbe perfetta.

Nel suo viaggio negli Usa nel 2015 , Francesco ha indicato come esempio da seguire Thomas Merton e Dorothy Day che hanno preso posizioni estreme contro la guerra, fino all’invito alla diserzione espresso dalla Day e da movimento dei catholic workers. Cosa vuol dire oggi? Anche Bonhoeffer era per la scelta nonviolenta dei cristiani ma di fronte ad Hitler decise di sostenere l’azione di forza per la sua rimozione.
Di fronte ad una invasione militare la resistenza armata è legittima. Lo prevede la dottrina sociale della Chiesa. Il coraggio dei giovani ucraini nell’opporsi all’invasore è indubbio. Ogni resistenza deve però misurare forze e risultati. Se non è in grado di fermare l’avversario sul terreno, se è destinata alla sconfitta, non deve prolungare l’agonia del proprio popolo ma scegliere coraggiosamente la via del negoziato. In Europa molti zelanti, politici e giornalisti, enfatizzano lo scontro sino alla fine nella speranza di indebolire la Russia. Giocano sulla pelle degli ucraini, li usano come armi contro Putin. Questo è puro cinismo. Se la via del negoziato è possibile allora deve essere adottata subito, prima della caduta di Odessa o di Kiev. Che senso ha prolungare una guerra che riempie l’Ucraina di macerie e la riduce ad un cimitero fumante? L’Europa deve esercitare la sua pressione sulla Russia per arrivare ad una soluzione di compromesso che salvi l’integrità territoriale della Ucraina la quale, pur non entrando nella Nato, potrà però far parte della UE. L’Occidente, e quindi anche l’America, deve muoversi subito non inviando ulteriori armi ma proponendo una soluzione negoziale reale in grado di mettere intorno al tavolo russi e ucraini e di bloccare all’istante l’avanzata delle truppe russe. Se l’Occidente invia armi come potrà mediare in sede di trattative? Chi sosterrà di fronte alla Russia l’integrità territoriale ucraina nell’ipotesi, prevedibile, della vittoria di Mosca?

(…)

L'intervista integrale su Cittanuova

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