Cultura
Massima sicurezza su un prato verde
Parte così la storia della cooperativa sociale Giotto di Padova, che dal 1986 si occupa del reinserimento nella vita lavorativa di ex detenuti e disabili.
di Redazione
Un gruppo di giovani laureati in agraria e un appalto che non viene assegnato. Parte così la storia della cooperativa sociale Giotto di Padova, che dal 1986 si occupa del reinserimento nella vita lavorativa di ex detenuti e disabili. «Volevamo partecipare a un appalto per la manutenzione del verde all’interno del carcere Due Palazzi di Padova», racconta il presidente Nicola Boscoletto. «Ma giorno dopo giorno, mese dopo mese, l’assegnazione slittava. Da qui l’idea: perché non coinvolgere i detenuti in questo lavoro?». Il risultato di quell’idea oggi è sotto gli occhi di tutti: il primo parco didattico all’interno di un carcere italiano di massima sicurezza, frutto dei corsi di formazione iniziati dalla Giotto in carcere. Si tratta di ottomila metri quadrati di verde, punteggiati da alberi e arbusti tipici di vari climi. I detenuti hanno scavato le linee della corrente elettrica, dell’acquedotto e degli scarichi, diserbato le cordonate, lavorato il terreno, piantumato alberi e arbusti, concimato e seminato il tappeto erboso, selezionato una quarantina di specie arboree e arbustive tra le più diffuse per familiarizzare gli allievi con le caratteristiche fondamentali delle piante.
«E pensare che proprio quell’area», continua Boscoletto « era stata indicata dalla stampa come l’esempio del degrado in cui vivevano i detenuti. Grazie a loro siamo riusciti a riconvertirla in quella che oggi possiamo definire una palestra in continua evoluzione per coloro che seguono i nostri corsi».
Boscoletto racconta anche le difficoltà per creare un parco vero e proprio, compatibile con i rigidi regolamenti carcerari. «Siamo certi che sia il parco, come alcune delle nostre attività all’interno e all’esterno del carcere, non sarebbero stati possibili senza una direzione del carcere illuminata come quella di Carmelo Cantone, che con noi ha scommesso su un’opera unica nel sistema carcerario italiano». E che è diventata il simbolo del lavoro che la Giotto svolge con i detenuti, soprattutto con quelli che possono godere del regime di semilibertà. «Dopo un periodo di formazione all’interno del carcere offriamo la possibilità del lavoro extramurario, cioè di lavorare all’esterno del carcere di giorno e poi rientrarvi di notte. Il lavoro consiste nella manutenzione del verde, in pratica della gamma di interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione in parchi pubblici e privati e aree verdi».
I dati fino a oggi dicono che la ricetta è vincente: sono ben 400 i detenuti che hanno frequentato i corsi, mentre 40 sono gli ex detenuti che hanno ormai trovato un’occupazione stabile. Cifre piccole ma purtroppo significative, visto che «in Veneto la situazione» come spiega Giovanni Tamburino, direttore dell’Ufficio studi e ricerche del Dap, Dipartimento amministrazione penitenziaria «nel ’98 su una popolazione carceraria di 2116 unità coloro che avevano la possibilità di lavorare erano solo 407, meno di un quinto. Dieci anni fa erano il 40 per cento. In termini assoluti le cifre di chi lavora rimangono le stesse, è la popolazione carceraria a essere più che raddoppiata nel giro di pochi anni».
La cooperativa “Giotto” inoltre non si rivolge solo ai detenuti ma anche a tutti i cosiddetti soggetti svantaggiati. «Lo scopo dei nostri corsi non è solo quello di insegnare un mestiere, ma soprattutto di suscitare un gusto per il lavoro» precisa Boscoletto «con una regola fondamentale: il lavoro in cooperativa non deve essere il termine di un percorso, ma un punto di partenza verso un impiego normale». Davide Nordio
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