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Martin Luther King: la lotta per i diritti civili passa dal reddito di base

Il 4 aprile del 1968, alle ore 18, a Memphis, veniva ucciso Martin Luther King jr. Oggi la sua idea che non ci sono diritti civili, se non si eliminano le disuguaglianze materiali ed economiche torna d'attualità. In particolare, le sue parole sul reddito di base universale

di Marco Dotti

La figura e l'opera di Martin Luther King jr., il più giovane fra i Nobel per la Pace – gli venne conferito, trentacinquenne, il 14 ottobre 1964 – appartengono a un tempo in cui la lotta per i diritti civili non si era ancora dissociata dalla lotta alle diseguaglianze economiche. Quali tragiche conseguenze abbia comportato questa dissociazione, oggi lo tocchiamo con mano. Il reverendo King non pensava che per combattere la povertà fra i neri fosse necessario, prima di tutto, trasformarli in classe media. Pensava, però, che non si danno diritti senza rimuovere l'ostacolo che, più di tutti, alimenta razzismo o rancore: la povertà.

Contro la povertà

Poco prima della sua morte, avvenuta il 4 aprile del 1968, alle ore 18, a Memphis, quando fu ucciso con un colpo di fucile alla testa sparato da un Remigton con mirino telescopico, il reverendo King aveva partecipato allo sciopero degli operai della nettezza urbana. E scriveva: «milioni di americani si stanno accorgendo che stiamo combattendo una guerra immorale che costa quasi 30 miliardi di dollari l’anno, che perpetuiamo il razzismo, che accettiamo di avere in casa 40 milioni di poveri in un periodo di sovrabbondante ricchezza materiale».

Lavoro e reddito di base

Guerra e conseguenti spese per gli armamenti, razzismo e povertà erano per King problemi drammaticamente connessi. Nel 1967 Martin Luther King Jr aveva iniziato a organizzare una "Campagna per poveri", nel tentativo di portare 3000 famiglie a Washington DC. Il suo impegno, nei giorni di Memphis, era tutto orientato su una questione che gli appariva sempre più cruciale: come affrontare e combattere la povertà diffusa?

King pensava di portare migliaia di famiglie a Washington dove si sarebbero accampati presso il National Mall finquando il Congresso non avesse approvato una legislazione per sradicare la piaga della povertà. Più che di utopia, quello di King con la sua Poor People's Campaing era un modello di azione civica concreta. ​ Credeva che i poveri potessero guidare un movimento che avrebbe rivoluzionato la società e avrebbe messo fine alla povertà. Se, osservava, l'unico vero rivoluzionario è un uomo che non ha nulla da perdere, allora in un Paese in cui ci sono milioni di poveri che hanno poco o niente da perdere ci sono milioni di rivoluzionari.

King era convinto che per raggiungere i propri obiettivi il movimento per i diritti civili dovesse portare al centro la lotta alla povertà. Per questo, nel 1966 si era trasferito in un sobborgo in periferia, vivendo in uno slum degradato: sperava di attirare l'attenzione sul problema. Le sue esperienze nel Sud, spiega Joshua F.J. Inwood, professore al Rock Ethics Institute dell'Università della Pennsylvania, lo avevano convinto che sradicare la povertà era importante per vincere la battaglia a lungo termine per i diritti civili e sociali.

«Noi poveri ci dirigeremo a Washington, determinati a rimanere lì fino a quando il legislativo e il governo non intraprenderanno azioni serie per il lavoro e per il reddito», avvertiva King. «Ci costruiremo una città all'interno di una città. Costruiremo una baraccopoli a Washington. Questo è quello che faremo. Costruiremo la nostra città e faremo vedere al mondo come dobbiamo vivere a casa. Costruiremo la nostra baraccopoli. Abbiamo già scelto luoghi per costruire la nostra città. E faremo uscire questo movimento da lì». Ma il reverendo venne assassinato il 4 aprile, prima che potesse mettersi alla testa della marcia contro la povertà.
Oggi, le parole di Martin Luther King sulla lotta alla povertà come cardine per quella sui diritti civili sono tornate d'attualità. Due sono le idee-chiave che King proponeva.

La prima è incentrata sul lavoro. La seconda, sul reddito di base. In particolare, nella visione di King, oltre al lavoro, il Governo dovrebbe impegnarsi per garantire un reddito di base nazionale, ovvero una somma minima di denaro per ogni americano, indipendentemente suo status professionale.

Non so ora che cosa accadrà. Abbiamo dei giorni difficili davanti a noi. Ma ora non importa. Perché sono stato sulla cima della montagna. E non mi interessa. […] Voglio solo fare il volere di Dio. E Dio mi ha permesso di salire sulla montagna. E di là ho guardato. E ho visto la Terra Promessa. Forse non ci arriverò insieme a voi. Ma voglio che questa sera voi sappiate che noi, come popolo, arriveremo alla Terra Promessa. E questa sera sono felice. Non ho paura di nulla. Non ho paura di alcun uomo

Martin Luther King, 3 aprile 1968

Nel suo discorso tenuto nel 1967 alla Stanford University, King sostenne che era giunto il momento di «garantire un reddito minimo annuale – e vivibile – per ogni famiglia americana». L'idea era offrire una garanzia che ogni cittadino arebbe stato in grado di vivere al di sopra della soglia di povertà.

Un'idea che oggi, osserva il professor Inwood, dinanzi alla povertà crescente merita di essere presa in considerazione. Gli fanno eco due economisti, Kalle Moene e Debraj Ray, del Centre for the Study of Equality, Social Organization and Performance dell'Università di Oslo, i quali ritengono una forma di reddito minimo di base possa far crescere produttività e consumi.

King fu assassinato prima che potesse presentare una proposta politica pienamente sviluppata. Sul suo epitaffio sta scritto: free at last. Finalmente libero.

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