Welfare
Mart, il museo che non ha barriere
Il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto è un luogo che non ha barriere architettoniche: «Vogliamo abbattere anche quelle culturali», dice Ornella Dossi referente dei progetti speciali - Area educazione, «per questo pensiamo ad un luogo inclusivo e proponiamo percorsi per persone con disabilità. Il nostro compito è creare una relazione, dire loro: “dovete visitare il museo. Qui potete stare bene”»
di Anna Spena
Smettiamola di pensare ai musei come dei “mostri sacri”. Non nascono con l’obiettivo di compiacere una classe colta di intellettuali ed esperti. Ma per essere aperti a tutti. Perché, è la bellezza ad essere di tutti. Quando nel 2002 il Mart, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, è stato aperto c’era già un progetto tracciato: «Accogliere le persone, tutte ed indistintamente perché quella che vogliamo portare avanti è l’idea di un museo inclusivo», dice Ornella Dossi, referente dei progetti speciali – Area educazione.
Quella del Mart è un struttura imponente, ariosa. A pensarla e realizzarla è stato l’architetto Mario Botta. «Qui non ci sono barriere architettoniche», spiega Ornella. «Però tutti i giorni proviamo ad abbatterne un’altra di barriera: quella culturale. A volte i musei vengono percepiti con una certa paura ed anche una sorta di pudore soprattutto quando si pensa che alle spalle non si abbia un bagaglio culturale “alto”. E la sensazione di inadeguatezza si amplifica se si è affetti da disabilità motorie, intellettive o sensoriali. Il nostro compito è creare una relazione, dire loro: “dovete visitare il museo. Qui potete stare bene”».
Le mani al posto degli occhi
Il Mart ha una collezione tattile permanente: «Ci sono quattro sculture», continua Ornella, «i due di bronzi, “Donna al Sole” e “Il Pugile” rispettivamente di Arturo Martini e Marino Marini; il Chiaro Scuro di Merz e Father and Sons Jonathan Monk». C’è un mediatore che accompagna il gruppo di persone cieche: «Gruppi piccoli», spiega Ornella. «Le statue ovviamente si possono toccare e il mediatore ha anche il compito di spiegare e raccontare il luogo in cui si trovano, affinché tutti possano avere la percezione di spazi grandi, ariosi, imponenti».
I gesti non bastano, c’è bisogno di tempo
Non pensiamo che per i sordi sia più semplice. «Anche loro hanno delle difficoltà che cerchiamo di alleggerire». Prima le visite guidate in lingua dei segni prevedevano un mediatore che esponeva e presentava la collezione e un interprete che traduceva. «Abbiamo capito che questo approccio non è funzionale: per un non udente ci vuole un tasso di concentrazione più elevato. Mentre guarda l’opera deve stare attento al traduttore. È troppo faticoso». Per questo motivo al museo stanno pensando ad un figura nuova, una persona che presenti direttamente la collezione in lingua dei segni in moda da diminuire i tempi ed avere un’esperienza più spontanea.
Percorsi d’arte
Per alcuni l’esperienza artistica non può essere occasionale. Ma ha bisogno di essere costruita, coltivata. «Succede spesso con le persone che hanno disabilità intellettiva», dice Ornella. «Quando arrivano hanno sempre un po’ di timore. Ma il segreto sta nell’empatia. Dobbiamo capire se la persona può essere subito coinvolta oppure ha bisogno di tempo. È importante riuscire a fotografare velocemente le dinamiche psicologiche». Quest’anno il museo ha coinvolto oltre 30 soggetti provenienti da tutto il Trentino e da Fuori Provincia: cooperative; associazioni; centri di salute mentale; case di riposo; enti pubblici; istituti socio-sanitari. Il numero delle persone che hanno frequentato progetti speciali ha superato le 3mila unità. Progetti specifici per i malati di Alzheimer e gli autistici. Persone con disabilità fisiche, motorie e sensoriali. «Tutto è possibile», dice Ornella. «Però è fondamentale istituire una prassi. Fare sempre gli stessi passaggi affinché loro possano acquistare sicurezza. Con loro non visitiamo solo la mostra ma facciamo dei veri laboratori dove sperimentiamo e consociamo il linguaggio artistico. C’è un momento in cui il lavoro che si fa con il colore e il pennello si trasferisce sulla tela, e così impariamo a conoscere la loro personalità. È anche un modo per raccontarci la loro storia». Ma perché questo avvenga è necessario che gli incontri siano continuativi. Bisogna creare una routine e poi lasciarsi andare.
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