Non profit

Maroni: idee per una svolta

"Le politiche sociali sono state sacrificate rispetto a lavoro e previdenza. Ma da gennaio me ne occuperò io personalmente".

di Riccardo Bonacina

Roberto Maroni sta traslocando. Il ministero del Welfare avrà una sua sede anche a Milano, lo aveva promesso, ed entro Natale ci sarà, e attiva. Il ministro è personalmente impegnato ad attrezzare i nuovi uffici, in via Gonzaga. Durante la nostra conversazione lancia qualche consiglio: «Questo appoggiatelo qui, quest?altro là» e, inevitabilmente, cerca qualche aiuto: «Ma dove avete messo la bozza di delega?». Insomma il Welfare è un vero cantiere.
Si lavora sulle strutture ministeriali, sulle pensioni, sulle politiche del lavoro, sul futuro del Terzo settore. Ma cosa ne uscirà? Che nuovo Stato sociale sta ridisegnando l?onorevole Maroni? è una domanda che inquieta. Per questo talloniamo Maroni da un po?, dapprima con una dura lettera aperta a lui indirizzata, poi con un appello ironico al governo Berlusconi dal titolo «Almeno fate cose liberiste», in cui chiedavamo almeno le deduzioni fiscali promesse al non profit. Allora ministro, l?anima sociale del governo che lei ha incarnato per tutta l?estate è andata in ferie?
Maroni: Altro che ferie! Qui non si stacca un attimo. Le iniziative di questi mesi del mio ministero confermano che l?anima sociale è viva. In tutte le nostre scelte ci siamo persino incaponiti nel difendere e sostenere le implicazioni sociali delle scelte che il governo stava facendo.
Vita: Abbiamo evitato un approccio prettamente economicista e finanziario al problema delle pensioni, abbiamo lottato perché questo tema non fosse affrontato solo come un problema di sostenibilità finanziaria, come sarebbe piaciuto al governatore della Bce o al nostro ministero dell?Economia. Per loro il ragionamento era semplice, tagliare le pensioni d?anzianità e risparmiare subito 6mila miliardi. Abbiamo detto no, ci siamo rifiutati di fare interventi con la falciatrice, abbiamo preso in considerazione anche le aspettative di gruppi sociali che non meritavano di essere penalizzati per decreto. Abbiamo fatto presente la complessità dei problemi: non tutti i lavori sono uguali e non tutti sono andati a lavorare verso i trent?anni. Ma soprattutto abbiamo messo al centro la possibilità per i cittadini di scegliere e d?essere protagonisti del loro futuro. Le sembra poco?
Vita: No, ma i temi sul tappeto sono tanti altri?
Maroni: Anche sulle politiche del lavoro abbiamo fatto un grande sforzo di riflessione e di ricerca, abbiamo prodotto un libro bianco che tutti hanno giudicato interessante. Abbiamo mediato tra le diverse forze sociali. Persino sul tabù articolo 18 siamo riusciti per la prima volta a ragionare senza rotture traumatiche. Pensi che Confindustria mi accusa di aver adottato politiche e misure «troppo deboli e caute», per i sindacati sono invece misure che «attentano alle garanzie dei lavoratori». Da parte mia, mettendo al centro il dialogo sociale, come metodo opposto alla concertazione ma capace di coinvolgimento di tutti gli attori, credo semplicemente di aver disegnato strumenti che invece di togliere garanzie ne diano anche a chi non ne ha nessuna.
Vita: Sin qui, magari non la si pensa allo stesso modo, ma si ragiona. Se invece guardiamo ad altri interventi, e mi riferisco alla delega sulla riforma del diritto societario, soprattutto per la parte che riguarda la cooperazione, e all?emendamento Tremonti sulle Fondazioni bancarie, sono sembrati veri e propri interventi a gamba tesa sulle aspirazioni e aspettative della società civile
Maroni: Vede, non sono provvedimenti del mio ministero. Non intervengo a gamba tesa, io. Il dialogo sociale è la mia legge.
Vita: D?accordo, ma ne avrete parlato in Consiglio dei ministri?
Maroni: Abbastanza. Sono interventi che esprimono l?opinione condivisa di mettere ordine, di avere un quadro di certezze sia sulla natura degli enti che sulle effettive capacità di rappresentanza. Quando su Vita sostenete che oggi oltre il 50 per cento dei consigli delle fondazioni bancarie sono espressioni della società civile, cosa intendete? Di quale società civile parlate? Non è che siano piuttosto espressioni di lobbies bene organizzate? Vede, almeno negli enti locali c?è gente eletta dal popolo, il criterio di rappresentanza è chiaro. Riguardo al merito del metodo usato per i due provvedimenti preferisco tacere.
Vita: Ok. Mi lasci sottolineare che però il dialogo sociale con i rappresentanti del Terzo settore non mi sembra molto vivo e intenso. Così come mi sembra difficile segnalare interventi significativi relativi al settore non profit?
Maroni: Una cosa riconosco: occorrerà che da gennaio mi occupi personalmente e più intensamente delle Politiche sociali che forse sono state un po? sacrificate, non nelle intenzioni, rispetto a lavoro e previdenza. Detto questo, e sottolineando il buon lavoro del sottosegretario Sestini, devo ricordare che abbiamo dato seguito alla realizzazione dell?Agenzia di controllo sulle onlus che si attendeva da quattro anni. Stiamo solo aspettando tre nomi di competenza di Tremonti e della Conferenza Stato-Regioni e poi il decreto di nomina sarà firmato, entro il 15 gennaio 2002. Do grande importanza alla nascita di questa Agenzia, sarà un vero snodo per approntare una vera e complessiva riforma, sia nelle norme che negli strumenti a supporto del Terzo settore italiano. Me lo immagino come una sorta di Csm del settore non profit a garanzia della funzione pubblica che esso svolge, un organismo che favorisca l?autoregolamentazione e che faccia da interfaccia tra Stato e privato sociale. C?è un grande bisogno di regole chiare, di chiari criteri di rappresentanza, di semplificazione: è questo il compito che affideremo all?Agenzia. Così da poter procedere ad una normativa fiscale che finalmente permetta di dedurre fiscalmente il 100 per cento delle donazioni alle realtà autenticamente non profit.
Vita: Questa è una notizia. Altre?
Maroni: Con il Forum (il dialogo c?è) abbiamo concordato di inserire un emendamento nel collegato alla Finanziaria 2002 dedicato al lavoro, riguardante l?impresa sociale, che mira a riconoscere proprio la produzione e l?erogazione di servizi alla persona o di rilievo pubblico e sociale che il Terzo settore già svolge in una zona normativa ancora grigia. Insomma, lavoriamo.

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