Dentro l'emergenza

Marocco, Rizzi (Soleterre): al lavoro per alleviare i traumi dei più piccoli

Il presidente della Fondazione che si occupa delle cure ai bambini oncologici ha raggiunto le zone terremotate e si è messo subito all’opera presso l’Ospedale di Marrakech e nella Casa di accoglienza della sua organizzazione, già operativa da alcuni anni. VITA ha raccolto la sua testimonianza

di Nicola Varcasia

Dal Marocco, zone terremotate

Raggiungiamo Damiano Rizzi, presidente della fondazione Soleterre, psicologo, al termine del suo secondo giorno in Marocco. Sono ore in cui continua a capitare di tutto, dopo la catastrofe di venerdì scorso, quando la scossa di terremoto magnitudo 6.8, con epicentro a una settantina di chilometri da Marrakech, ha causato la morte accertata di quasi tremila persone, con un bilancio delle vittime e dei feriti, oltre che dei danni, ancora in evoluzione.

I lettori di VITA già conoscono l’impegno dell’organizzazione italiana per i bambini oncologici. La casa di fondazione Soleterre a Marrakech, dove Rizzi è giunto non appena gli è stato possibile, già da alcuni anni accoglie bambini malati di cancro e pazienti adulti in cura presso l’oncologia pediatrica dell’Ospedale di Marrakech, punto di riferimento per il centro-sud del Marocco, zona nella quale vivono circa un terzo degli abitanti del Paese.

Di cosa si sta occupando in queste ore?

Da oggi sarò nella pediatria dell’ospedale per svolgere il mio lavoro di psicologo clinico, assieme a una collega marocchina di Soleterre e con la psicologa dell’ospedale. Poi andremo in alcuni villaggi a vedere che cosa sta succedendo ai piccoli pazienti. Si sviluppano situazioni nuove ogni ora.

Quanti bambini ci sono nella Casa?

Nella casa di accoglienza mediamente ci sono quindici bambini, ma da giorni ne continuano ad arrivare molti di più e per parecchi di loro, che hanno perso tutto, la casa di accoglienza è diventata la loro casa.

Che situazione ha trovato nella pediatria dell’ospedale?

Piuttosto grave. Ci sono bambini di pochi mesi con gli arti rotti, bambini più grandi molto traumatizzati dal punto di vista psicologico. Altri hanno patito menomazioni fisiche importanti, molti di loro hanno perso i genitori. Come è noto, l’ospedale di Marrakech si prende cura un po’ di tutto il sud del Paese che è una delle aree più povere del Marocco. Per fortuna qui c’è uno staff che lavora da tempo.

Come si svolge il vostro lavoro in questa emergenza?

Il mio contributo è quello di installare un’equipe di psicologi clinici che possa lavorare per la cura dei traumi. È importante intervenire subito, motivo per cui abbiamo provato ad arrivare il prima possibile, per evitare che si creino condizioni ancora più complicate.

Mancano figure come le vostre?

Come ogni ospedale, anche qui in Italia è così, ogni struttura ha uno al massimo due specialisti e per questo ed è importante che si muovano le organizzazioni specializzate in questo lavoro specifico per dare supporto. Aumentando il numero dei bambini bisognosi, bisogna aumentare anche il numero di specialisti pronti a intervenire.

Le cure oncologiche sono continuate?

Stiamo curando regolarmente i bambini, il problema grave è per i bambini bloccati nei villaggi, che non possono curarsi, per questo li stiamo andando a prendere. Ieri sono arrivati i primi, è stata una giornata bella da questo punto di vista.

Quanti ne potrete recuperare?


La cosa importante è rintracciarli tutti, per verificare che stiano assumendo i farmaci e cercare di far arrivare quelli che devono fare la chemioterapia adesso.

Come li recuperate?

L’operazione di recupero avviene in modi diversi. Chi si può muovere da solo sta già provando a recarsi direttamente in ospedale. Ma qualcuno di loro non ha più nessuno che li possa accompagnare. Ad una prima ricognizione, siamo nell’ordine di una cinquantina di bambini da andare a recuperare.

Come stanno i bambini ospiti della Casa di accoglienza?

Per chi ha perso la propria casa, la Casa di accoglienza diventa la possibilità di avere un luogo, nell’attesa di capire che cosa succederà. Ad esempio, se il governo progetterà una ricostruzione delle case, come è immaginabile. Adesso è presto per questi piani. Sta ancora succedendo di tutto.

Cosa pensa della macchina dei soccorsi per quello che ha visto?

Si parla poco di come il Marocco si stia attivando. C’è un grande movimento interno di solidarietà, di carovane di camion che partono verso le zone terremotate con aiuti, anche da parte delle grandi catene nazionali e multinazionali. Il Marocco è un Paese a due velocità. Una parte è veramente ben agganciata e la difficoltà che può incontrare la macchina dei soccorsi marocchina non è così differente risetto ad altre situazioni.  

Cosa bisognerebbe fare?

Il tema è più ampio, non riguarda solo il Marocco. Gli stati, in tempi non di emergenza, dovrebbero avere degli accordi e individuare dei criteri di prevenzione e regole per gli interventi. Ma penso che si arriverà a quel punto. Basti vedere in questi giorni, con un disastro dopo l’altro. Diventa complicato quando tutti vogliono arrivare e fare il loro pezzo senza un coordinamento.

Che il Marocco abbia limitato gli aiuti esterni non è necessariamente una cattiva notizia.

In questo caso non è indice di una chiusura, quanto di un certo grado di capacità. Il fatto che uno stato si organizzi e decida chi sul proprio territorio debba intervenire, probabilmente anche in base ad accordi di altra natura e di affinità già sperimentate, non è negativo. Chi conosce quelle aree sa che sono difficili da raggiungere in ogni caso, parliamo di piccoli paesi situati sulla catena montuosa dell’Atlante con alti livelli di altitudine e di isolamento da parte di molti villaggi. Ci sono anche barriere linguistiche.

Perciò è fondamentale agganciarsi a ciò che c’è, come avete fatto voi.

C’è un atteggiamento tipico del mondo occidentale che, come vuole esportare la democrazia, così vuole esportare anche gli aiuti, per cui va sempre tutto bene purché sia una certa parte ad agire. Ma non è proprio così, ci sono culture diverse, bisogna sapersi muovere, il Marocco non è un Paese uguale all’Europa, ma non è neanche uguale all’Africa. C’è l’idea di base di tirare fuori le persone dalle macerie, ma è un po’ poco.

Di che cosa c’è bisogno?

La raccolta fondi è importante, soprattutto quando, tra un po’, i media si dimenticheranno del Marocco. Ma il bisogno dei farmaci rimarrà, ci sono interi nuclei familiari che hanno bisogno di supporto e di medicine: l’acquisto dei medicinali presenta varie criticità anche fuori dall’emergenza presenta. Il sistema sanitario marocchino è un misto tra pubblico e privato, per cui molto spesso le famiglie devono acquistare farmaci che non sono nemmeno presenti sul territorio nazionale. C’è una serie di bisogni e, proprio qui da Marrakech, ringrazio chi si impegnerà a tenere viva l’attenzione.

Nel periodo ottobre -dicembre 2022 nella Casa di accoglienza di Soleterre sono stati ospitati 85 ospiti (50 pazienti e 35 accompagnatori). Nei primi sei mesi del 2023 gli ospiti sono stati 491 (di cui 264 pazienti e 228 accompagnatori).

La raccolta fondi di Soleterre destinata agli aiuti per il Marocco: https://dona.soleterre.org/marocco/

Tutte le foto sono state fornite dall’ufficio stampa di Soleterre.

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