Mondo
Marò nella trappola dei pirati
Crisi diplomatica fra India e Italia dopo il fermo dei marinai
Un caso diplomatico, una vicenda piena di punti oscuri: due marinai italiani fermati in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori, scambiati per pirati. E sullo sfondo il fenomeno della moderna pirateria sulle rotte di navigazione. Oggi è l’apertura dei giornali in edicola.
- In rassegna stampa anche:
- BENEDETTO XVI
- DONNE
- 5 PER MILLE
- MANAGEMENT
“I tre misteri del caso indiano”, apre così il CORRIERE DELLA SERA e spiega: “Diventa un caso internazionale l’arresto, a Kochi, in India, di due marò italiani del battaglione San Marco. Sono accusati dalle autorità locali di aver sparato ai pescatori morti mercoledì scorso a bordo del peschereccio St. Antony. I militari, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, erano in servizio antipirateria sulla petroliera Enrica Lexie. Sulla vicenda pesano tre misteri: l’orario dell’incidente, la posizione in cui si trovava la nostra nave e l’ipotesi di un’altra imbarcazione coinvolta. Alta tensione tra Italia e India”. I servizi alle pagine 2 e 3 e un commento di Dino Messina che parte in prima e prosegue a pagina 26: “Regole in mare e ritorno al Settecento”. Maurizo Caprara racconta quel poco che si sa dei fatti: “Gli italiani sostengono di aver sparato 20 colpi, in aria e in mare, per dissuadere dall’avvicinarsi alla petroliera una barca che in acque spesso battute da pirati non rispettava i segnali affinché stesse alla larga. Una versione indiana è che il peschereccio sarebbe stato raggiunto da 60 proiettili. Assistiti dal console generale a Mumbai Giampaolo Cutillo, gli italiani lamentano che sui pescatori, Gelastine, 45 anni, e Ajesh Binki, 25, non sono state eseguite autopsie per capire da quali colpi sono stati uccisi. Se le accuse indiane fossero vere, quanti hanno sparato si troverebbero per certi versi in posizioni simili a quelle dei soldati americani che per errore ammazzarono in Iraq Nicola Calipari a un posto di blocco. Ma adesso gli elementi sono pochi e contraddittori per permettere sentenze”. I nostri marinai fanno parte dei nuclei anticorsari, dei quali si sapeva veramente poco. Chiarisce il loro ruolo una scheda del CORRIERE: “Sulla petroliera Enrica Lexie sono imbarcati 6 fucilieri del Reggimento San Marco. Fanno parte dei Nuclei militari di protezione creati nell’ottobre scorso con un accordo fra il ministero della Difesa e Confitarma, la confederazione italiana degli amatori navali. Finora i marines italiani destinati a fronteggiare eventuali assalti dei pirati sono 60, divisi in 10 team di 6 militari ciascuno. Pochi se si considera che ogni anno transitano lungo le rotte a rischio quasi 2 mila navi mercantili italiane, circa 900 nelle acque del Corno d’Africa e più di mille affrontano la traversata dell’Oceano Indiano. La base dei nuclei antipirati è stata fissata a Gibuti dove 16 ufficiali ricevono le richieste di imbarcare i militari e fanno trovare le squadre pronte nei porti indicati dagli armatori. A bordo i militari si muovono in modo autonomo, non esiste fra loro e il comandante della nave nessun rapporto di subordinazione. I proprietari delle navi sono tenuti a pagare 500 euro al giorno per ciascun militare, soldi che la Marina impiega per addestrare nuovi gruppi”. Fiorenza Sarzanini a pagina 3: “Le raffiche, gli orari, la rotta. I punti oscuri della vicenda”. E Guido Olimpio completa il quadro: “Quel triangolo di mare a Oriente dove si perdono le navi” e scrive: “I mari caldi compresi tra l’India e la Somalia sono come un «Triangolo delle Bermude» orientale. Si può morire per una raffica di mitragliatrice, spazzati via da una tempesta o sparire in un giorni di calma piatta. Troppe le insidie. La più immediata e diretta è quella dei pirati somali. Una minaccia cronica diventata più aggressiva che ha portato alla presenza costante di una flottiglia internazionale. Oltre alla Nato, ci sono unità russe, cinesi, iraniane, sudcoreane e indiane. Ognuno ha le sue regole di ingaggio e i propri sistemi. Non sempre ortodossi”. E infine ecco il commento storico di Dino Messina a pagina 26: “La vicenda della petroliera «Enrica Lexie» è il frutto di una situazione internazionale che si è andata aggravando nell’ultimo decennio con l’esplosione della pirateria nelle acque attorno al Corno d’Africa figlia soprattutto dell’instabilità somala. Un’esplosione in questa fetta dell’Oceano indiano seguita alla repressione degli episodi di pirateria (si dice fossero stati 86 nel solo 2000) nello stretto di Malacca, quel canale lungo ottocento chilometri che divide l’Indonesia dalla penisola della Malesia e che è cruciale nel commercio internazionale. Non a caso Emilio Salgari aveva qui ambientato i suoi Pirati della Malesia. La pirateria prospera dove c’è commercio e scarso controllo. Uno dei periodi d’oro dicono gli storici fu nel decennio successivo al trattato di Utrecht (1713) quando Spagna, Francia e Inghilterra decisero congiuntamente di ridurre le proprie marine militari”.
LA REPUBBLICA apre sull’ipotesi fiscale (“Taglio delle tasse, Monti accelera”) e sceglie la fotonotizia per i Marò: “India, arrestati due militari italiani. «Situazione tesa e grave»”. Alle pagine 12 e 13 i servizi: una notte di trattative fittissime non ha portato a sciogliere il destino di due militari arrestati con l’accusa di aver ucciso due pescatori indiani. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono in stato di fermo con l’accusa di omicidio. «Un atto unilaterale senza base legale, visto che la giurisdizione sul caso è della magistratura italiana», replica la Farnesina. Lo scontro è avvenuto in acque internazionali. E poi tra le due versioni, l’italiana e l’indiana, ci sono moltissime differenze (ora, luogo, dinamica; secondo gli italiani il San Marco sarebbe stato avvicinato da un peschereccio con modalità tipicamente da pirati; i militari avrebbero sparato in acqua e il peschereccio si sarebbe allontanato). Una versione ribadita dal comandante Umberto Vitelli: dopo l’attacco dei pirati, sono «contattato dal comando Mrcc di Bombay (la loro guardia costiera), il quale tramite il secondo ufficiale di coperta indiano, mi comunicava di aver ricevuto informazione del sospetto attacco pirata e in conseguenza di aver catturato due barche, chiedeva di cambiare rotta e dirigere su Kochi».
IL GIORNALE dedica alle tensioni internazionali una pagina all’interno. “L’India vuole arrestare i nostri soldati” è il pezzo di Fausto Biloslavo che racconta, «due militari italiani della Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono finiti al centro di un gravissimo caso diplomatico internazionale che coinvolge l’India e il nostro Paese. I due marò, in missione contro gli assalti dei pirati alle navi italiane, sono accusati di omicidio. Secondo le autorità indiane avrebbero sparato ai pescatori morti mercoledì scorso a bordo del peschereccio St. Antony. I nostri militari parlano di venti colpi esplosi, le autorità indiane dicono che il peschereccio è stato raggiunto da 60 proiettili. Ma non è l’unico mistero: ci sono anche delle incongruenze sugli orari. La Farnesina ha ribadito che la decisione della polizia indiana di porre in stato di fermo i due marò è un gravissimo atto unilaterale, perché la nave, italiana, si trovava in acque internazionali (e a confermarlo c’è il satellite). Non è escluso, tra l’altro, che nell’incidente sia rimasta coinvolta un’altra imbarcazione. Ecco perché è decisiva l’autopsia sui corpi delle vittime, per accertare, innanzitutto, se i proiettili fatali sono stati esplosi dai due italiani. Ma l’India non vuole farla. Il ministro dell’Interno Paola Severino ha detto che, senza ombra di dubbio, “la giurisdizione è italiana”. L’India, però, non demorde». In taglio basso sempre Biloslavo firma anche “Autopsie, fori di proiettili e orari sbagliati: quante forzature nell’indagine della polizia”.
«Arrestati i due marò, tensione India-Italia» è il titolo di apertura in prima pagina per LA STAMPA. Il lato giudiziario della vicenda è ricostruito nel «retroscena» di Francesco Grignetti: «La polizia indiana rifiuta autopsia e test dei proiettili». Innanzitutto il contesto: «un moto di popolo in Kerala dove 200 milioni di elettori voteranno tra qualche mese, una Sonia Ghandi al governo che non può permettersi di apparire minimamente sensibile alle sollecitazioni italiane, e persino un governo locale nel Kerala che è in polemica con il governo centrale ed è pronto a cavalcare l’indignazione popolare (il «chief minister» del Kerala, Oommen Chandy, ha proclamato a caldo: “Siamo di fronte ad un caso chiaro di crudele assassinio”». Tutto ciò fa della vicenda Enrica Lexie una faccenda complicata: «Gli italiani hanno sparato 20 colpi e su questo non ci può essere dubbio in quanto le munizioni dei nostri militari sono contate. Gli indiani dapprima hanno sostenuto che fossero stati sparati 60 colpi contro il loro peschereccio; ieri hanno aggiustato il tiro e conteggiano 16 fori di proiettile nello scafo e 4 colpi nei corpi degli sventurati pescatori. E allora – ha sostenuto la missione di dirigenti ministeriali italiani – ci si chiuda in un laboratorio e si controlli il tipo di proiettile che ha colpito il peschereccio. Invece no. Le autorità del Kerala ne fanno una questione di principio. Le loro prove non verranno condivise con la commissione d’inchiesta italiana che s’è precipitata a Kochi». C’è poi la questione dei corpi. «Le autorità italiane hanno chiesto fin dal primo istante, oltre all’esame del peschereccio, di procedere all’autopsia sui due cadaveri. Dovrebbe essere semplice stabilire se sono stati colpiti da munizioni del tipo italiano oppure no. Era, quello italiano, un invito che sapeva di sfida. Già, perché la Marina militare e il nostro governo credono alla parola dei due militari e quindi sono sicuri che da un’autopsia verrebbero le prove a discolpa. Ma anche questo accertamento, al momento, non viene accordato. Senza dare troppe spiegazioni, ma lasciando intendere che un accertamento medico-legale sarebbe considerato oltraggioso dal popolo, le autorità del Kerala finora hanno negato anche l’autopsia». Ecco perché, tre giorni dopo il fermo della nave italiana, «il governo italiano s’è reso conto che in India la realtà è molto più complicata di quanto s’immaginasse. “La situazione non è tranquillizzante”, dice la ministra della Giustizia, Paola Severino».
E inoltre sui giornali di oggi:
BENEDETTO XVI
CORRIERE DELLA SERA – Pagina dedicata al Concistoro, la 19, con bel commento di Luigi Accattoli: “«La Chiesa non esiste per se stessa, non è il punto d’arrivo». Lezione sui fondamentali, parte seconda. Dopo aver meditato sul senso della dignità cardinalizia, nel giorno del Concistoro, con relativo monito a «entrare nella logica del Vangelo» e «lasciare quella del potere e della gloria», Benedetto XVI ieri mattina è passato al senso della Chiesa, nella quale «tutto poggia sulla fede», e ha scandito: «Anche il diritto, anche l’autorità nella Chiesa poggiano sulla fede. La Chiesa non si autoregola, non dà a se stessa il proprio ordine, ma lo riceve dalla Parola di Dio». L’invito al rinnovamento e alla purificazione, ripetuto in questi giorni come nell’intero pontificato, è tanto più significativo in un periodo in cui tensioni, fughe di documenti e veleni s’addensano intorno al Vaticano”.
DONNE
LA REPUBBLICA – “Perché conviene investire sulle donne”. Se 6 italiane su 10 lavorassero, il Pil salirebbe del 7%; se ci fosse parità di reddito l’aumento sarebbe del 32%. Il lavoro femminile è un tesoretto da scoprire e sfruttare, la tanto desiderata fase due, dello sviluppo e della crescita, tanto a portata di mano che nessuno la vede… Tre donne, Daniela del Boca, Letizia Mencarini e Silvia Pasqua, studiose di demografia ed economia, lanciano l’idea di un pink new deal con tanto di decalogo (dagli incentivi fiscali per assunzioni ai servizi, dal credito d’imposta al congedo di paternità obbligatorio).
5 PER MILLE
IL SOLE 24 ORE – “Scelta al buio per la cultura” è il titolo di apertura della pagina dedicata al non profit sulla questione della destinazione alla cultura già sollevata a suo tempo da Vita. «Rischia di tradursi in beffa la maggiore novità del 5 per mille edizione 2012. La prima delle manovre di finanza pubblica varate nell’estate scorsa (Dl 98/11, articolo 23, comma 46) aveva previsto che, tra le finalità cui il contribuente può destinare la propria quota dell’Irpef, da quest’anno ci siano anche le attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici. Il provvedimento era stato accolto da un coro di consensi, non solo – come è ovvio – da parte delle organizzazioni interessate, ma anche da tutti coloro che hanno a cuore, in un Paese così ricco di giacimenti culturali, lo sviluppo di modalità di finanziamento dirette ed efficaci per la loro tutela. Ora la modulistica per le dichiarazioni dei redditi del 2012 ha recepito la novità, introducendo nel riquadro per la destinazione del 5 per mille, accanto alle organizzazioni di volontariato, alla ricerca scientifica e universitaria, a quella sanitaria, ai Comuni e alle associazioni sportive dilettantistiche anche una casella sul sostegno ai beni culturali e paesaggistici. Con un particolare non da poco: c’è solo la riga per la firma del contribuente, ma non lo spazio per indicare il codice fiscale dell’ente beneficiario, ragion per cui il 5 per mille non potrà che finire allo Stato, il quale a sua volta, con proprio provvedimento, deciderà tra quanti e quali organismi andrà divisa la somma optata». Nel box si parla degli elenchi 2010 “Gli importi del 2010 rimangono un mistero” a firma di Carlo Mazzini: «Mentre si avvicina l’apertura delle danze per il 5 per mille edizione 2012, cresce tra gli enti l’attesa dei risultati (e dei rimborsi) per il 2010, ancora avvolti nel mistero. Il Dpcm che regolava il funzionamento dell’edizione 2010 fissava la pubblicazione degli importi dettagliati per singolo ente entro il 31 marzo 2011, ma ad undici mesi da quel termine – che si considerava perentorio – gli elenchi non sono ancora stati divulgati. Le organizzazioni che si sono iscritte quasi due anni fa sono quindi ancora in attesa dei dati relativi ai numeri dei contribuenti che le hanno scelte, apponendo codice fiscale dell’ente e firma in uno dei riquadri. E le scelte, come è noto, portano con sé gli importi, comprensivi anche delle somme relative alle scelte generiche proporzionali al numero di preferenze espresse. Questi numeri sono particolarmente importanti per alcune ragioni. Innanzitutto, visto anche la crisi di liquidità causata dalla diminuzione delle donazioni, gli enti si augurano di incassarle in un tempo minore rispetto a quanto successo nelle edizioni precedenti, quando dovettero aspettare almeno sei mesi tra la pubblicazione degli elenchi sul sito dell’Agenzia delle Entrate e l’accreditamento sul proprio conto corrente. Alcune organizzazioni, soprattutto le più grandi, negli anni scorsi hanno dovuto fare ricorso ad anticipazioni bancarie, forti del credito che potevano vantare nei confronti dello Stato. Inoltre, alla luce dei chiarimenti forniti nell’autunno scorso dal ministero del Lavoro e politiche sociali, sono ammissibili nella rendicontazione i costi sostenuti proprio dalla data della pubblicazione degli elenchi da parte dell’Agenzia delle Entrate e precedentemente all’incasso del 5 per mille medesimo, fermo restando l’obbligo di rendicontare entro il termine massimo di un anno a partire dalla data di accreditamento».
MANAGEMENT
ITALIA OGGI – Il diversity management inizia a prendere piede anche in Italia. Secondo il pezzo “La diversità sviluppa il business” le imprese si sono rese conto che valorizzare le differenze tra le persone può rilevarsi una strategia vincente. «Con un ritorno anche sul profitto e sulla riduzione dei costi aziendali».
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