Sostenibilità

Marketing e società miste: in Italia nasce la terza via

Come uscire dalla nicchia senza abbassare gli standard

di Maurizio Regosa

Piaccia o meno, il divorzio americano ha riportato alla luce interrogativi antichi. Come si fa a promuovere un’etica del commercio con un volume d’affari che non riesce a sostenerla? E si riesce ad allargare l’offerta mantenendo “stretti” i criteri con cui si definisce l’equità dei prodotti? Domande che oggi stanno suggerendo una via tutta italiana al fairtrade.

A noi piace solidale
Una via che non preclude, anzi, il rapporto con la grande distribuzione gestito anche nel Belpaese secondo due macro-impostazioni: quella secondo cui si certifica il prodotto e quella degli importatori, che alimentano un rapporto serrato con gli agricoltori e gli artigiani del Sud del mondo. Strade entrambe che consentono ai consumatori italiani di acquistare prodotti di qualità, essendo certi che nell’intera fase produttiva i lavoratori e l’ambiente sono stati rispettati. Una certezza che piace, del resto. Anche nel 2011, anno diremo complicato sul fronte dei consumi, il commercio equo e solidale ha registrato una «sostanziale tenuta», come conferma Alessandro Franceschini, presidente di Agices (l’associazione di categoria delle organizzazioni del commercio equo e solidale italiane che monitora il rispetto della Carta italiana dei criteri). Una tenuta che nel caso del Ctm altromercato (il consorzio di Botteghe del Mondo, i cui soci sono circa 130 fra cooperative e associazioni) si è spinta ad un incremento del 6,5% rispetto al 2010 e a un fatturato di quasi 37 milioni («quest’anno gli alimentari sono andati meglio dell’artigianato, probabilmente la crisi ha spinto i consumatori verso regali più utili»). Ancor più significativa l’affermazione di Fairtrade Italia, che gestisce il marchio di garanzia, uno dei più noti al pubblico e più apprezzati, consorzio costituito anch’esso da organismi di terzo settore come Legambiente, Arci, Acli, Banca Etica, Movimento Consumatori. «Sono 57 i milioni di euro di prodotti venduti nell’anno appena concluso», puntualizza il direttore Paolo Pastore, «circa il 15% in più rispetto all’anno prima».

Volontari in movimento
«Uno degli elementi più caratteristici è il movimentismo: da noi il commercio equo e solidale», spiega Franceschini, «ha da sempre una forte connotazione volontaristica». La ricetta italiana poi si arricchisce di altri ingredienti strategici. C’è il coinvolgimento della pubblica amministrazione negli acquisti solidali, un modo per allargare il mercato e favorire una presa di consapevolezza maggiormente diffusa (al momento sono una quarantina i Comuni: www.cittaequosolidali.it). C’è la scelta di accorciare la filiera: eliminando i passaggi si garantisce una giusta remunerazione. Ma soprattutto c’è il crescere di relazioni propriamente societarie: «Aumenta il numero di

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.