di Enzo Mario Napolitano
e Luca Massimiliano Visconti
Q uesto numero di Yalla Italia nasce da un confronto aperto e franco con i redattori del giornale, l’islamista Paolo Branca e noi. Sul tavolo, il tema della relazione tra giovani musulmani e marketing: una relazione indubbiamente tutta da costruire.
Le difficoltà non mancano, e su entrambi i fronti. Gli uomini di marketing soffrono spesso di una mancata conoscenza del mondo islamico, per lo più percepito come chiuso, misterioso, fanatico e pericoloso. I consumatori musulmani, a loro volta, possono percepire il marketing come invasivo, omologante, contaminante e finalizzato a etichettare e sfruttare. Insomma, uno scontro tra stereotipate visioni della controparte.
Il risultato? I prodotti pensati da aziende italiane per musulmani sono pochissimi e praticamente sconosciuti, per lo più riconducibili all’alveo dei soli prodotti identitari (macellerie islamiche e negozi alimentari etnici). In prospettiva, tuttavia, si intravedono nuovi settori di sperimentazione, legati al bancario (islam banking) e alle grandi imprese mass-market, che in presenza di mercati spesso saturi hanno esigenza di intercettare segmenti vergini (si pensi a Vodafone con il piano tariffario “One Nation”).
Se il rischio percepito nel rivolgersi esplicitamente al “target islamico” risulta ancora diffuso, si iniziano anche a registrare fenomeni in controtendenza. Rassicurazioni arrivano dal mondo delle ricerche di mercato e persino da organizzazioni come l’Abi, che identifica i migranti come clienti «affidabili e attivi». Persino una Barilla, marchio simbolo della tradizione italiana, ha lanciato il Cous Cous Barilla presentato come «modo nuovo e originale, moderno e contemporaneo di mangiare», diventando main sponsor dell’undicesima edizione del Cous Cous Fest tenutosi a fine settembre 2007 a San Vito Lo Capo.
L’improvvisazione non è comunque destinata a durare. Con l’accendersi della competizione, alimentata dalla presa di coscienza delle specificità e del potenziale di questo mercato, le imprese dovranno attrezzarsi per gestire professionalmente questo segmento obiettivo. Del resto, l’economia islamica non si esaurisce nel consumo di carne o di kebab certificati halal. I precetti coranici trovano applicazione nel settore bancario e assicurativo, nel fashion, nel design, nell’architettura, nel turismo, nei servizi alla persona, nei servizi pubblici e in quelli professionali.
Per altro, la crisi economica non farà che accelerare il processo di apertura al mercato “etnico” e, al suo interno, a quello islamico. Un fenomeno già evidente nel resto d’Europa, dove la strategia avviata da grandi banche per conquistare il target musulmano ha portato a unità di business separate, in linea con le dichiarazioni di Geert Boussuyt, manager della Deutsche Bank: «In pratica ora ci sono due Deutsche Bank: una islamica e una non islamica».
Un pragmatismo sbeffeggiato da Trilussa nel lontano 1922 con la poesia intitolata La Fede in cui un banchiere decideva di investire «pè rifà la facciata d’una Chiesa e ripulì l’interno a ?na Moschea» e ringraziava degli utili dicendo un’orazione mezzo in ginocchio e mezzo a pecorone.
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