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Mario Giro: “La crisi umanitaria del Lago Ciad ci riguarda”

30 milioni di euro. E’ quanto l’Italia si è impegnata a mettere sul tavolo nei prossimi tre anni per far fronte a una delle crisi umanitarie più gravi al mondo. Quella del Lago Ciad sta colpendo quasi 11 milioni di persone. Alla Conferenza dei donatori di Oslo, c’era il vice ministro degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, Mario Giro, che ci spiega perché da questa crisi non ci si può tirare indietro.

di Joshua Massarenti

Su 1,5 miliardi di dollari necessari per rispondere alla crisi del Lago Ciad nel 2017, la Comunità internazionale ha risposto con impegni pari a 672 milioni di dollari tra il 2017 e il 2019, di cui 458 milioni per quest'anno. Il vice segretario generale agli affari umanitari delle Nazioni Unite, Stephen O’Brien, ha giudicato la risposta “molto incoraggiante”. Alla luce del divario tra i bisogni e gli impegni, quali sono i motivi di tale ottimismo?

O’Brien ha riassunto i risultati ottenuti alla conferenza con una battuta che riassume bene il successo di questa iniziativa: “In una mattinata, abbiamo raccolto un terzo dei fondi richiesti”. Quindi non sarei così pessimista. Anzi, la Comunità internazionale si sta muovendo bene. E c’è ancora tempo per raccogliere tutti i finanziamenti necessari per rispondere a una delle crisi umanitarie più gravi e – me lo lasci dire – ignorate al mondo. L’Italia ovviamente non si è tirata e sta rispondendo presente.

Il governo italiano si è impegnato a mettere sul piatto 30 milioni di euro. In che modo i fondi italiani andranno ad inserirsi negli aiuti complessivi annunciati ad Oslo?

L’Italia ha già operato nel 2016 con fondi pari a 8,3 milioni di euro, di cui due milioni che abbiamo destinato alle organizzazioni internazionali e il resto ai quattro paesi che si affacciano al Lago Ciad, ovvero Niger, Nigeria, Camerun e Ciad. Sono previste le stesse proporzioni per i 30 milioni che andremo ad erogare.

E’ prevista una missione governativa?

Mi recherò in Ciad, l’unico paese della sotto-regione in cui non ho effettuato una visita ufficiale.

L’Italia ha già operato nel 2016 con fondi pari a 8,3 milioni di euro, di cui due milioni che abbiamo destinato alle organizzazioni internazionali e il resto ai quattro paesi che si affacciano al Lago Ciad, ovvero Niger, Nigeria, Camerun e Ciad.


Tra i donatori, due governi hanno risposto assente per ora: l’amministrazione Trump e il Regno Unito. Nei corridoi della Conferenza di Oslo che sentimenti prevalevano: fiducia o timore?

Più che di fiducia e di timori, parlerei di comunicazione. Questa crisi va comunicata bene all’opinione pubblica, anche perché oltre al dramma umanitario attualmente in corso, in ballo ci sono questioni di sicurezza molto serie e il rischio di nuovi flussi migratori che colpiranno prima di tutto i paesi africani. Bisogna riconoscere gi sforzi enormi forniti dai governi della sotto-regione che hanno svolto una grande parte del lavoro, sia nella lotta contro Boko Haram che sul piano umanitario. La Nigeria, tanto per dare un esempio, ha speso negli ultimi anni più di un miliardo di euro. Sforzi importanti sono forniti anche dal Camerun, anche se pochi ne parlano. Insomma, la Comunità internazionale non sta intervendo in un’area dove non si è fatto nulla. Anzi, i paesi africani mantengono la leadership su una crisi che ci deve proccupare.

Le ong parlano invece di “una crisi dissimulata dal governo nigeriano”, che non ha voluto riconoscere che parte della sua popolazione è a rischio fame. Come spiega il ritardo con il quale la Comunità internazionale ha reagito ad una crisi che era secondo alcuni sotto gli occhi di tutti? Il vice direttore di USAID, Matthew Nims, parla di “una colpa collettiva”…

Lo ripeto, i Paesi africani sono fortemente impegnati nella crisi del Lago Ciad. Oltre al fatto che la Nigeria sia stato co-organizzatore della Conferenza, ad Oslo il ministro degli Esteri nigeriano, Geoffrey Onyeama, non ha assolutamente sminuito la valenza di questa crisi. Anzi, mi è sembrato una personalità molto lucida, in grado di distinguire in modo chiaro quello che la Nigeria può fare e i bisogni di cui necessita per far fronte ad una tragedia umanitaria che colpisce quasi sei milioni di persone nel nord-est del paese.

Temo la “donors’ fatigue”, la stanchezza dei donatori. C’è un accumulo di crisi umanitarie che rischiano di mettere il Lago Ciad in secondo piano. Oltre alla Norvegia che va salutata per aver organizzato la conferenza di Oslo, bisogna riconoscere gi sforzi enormi forniti dai governi africani della sotto-regione.

Dopo gli annunci, bisognerà passare ai fatti. Tra questi, si pone il problema di consegnare gli aiuti in un’area colpita da un’insicurezza molto diffusa. Secondo Medici senza frontiere, “anche prendendo rischi, l’accesso alle popolazioni più vulnerabili rimane molto difficile, se non impossibile”…

E’ un problema. Tuttavia, ad Oslo ci è stato confermato che la situazione si sta stabilizzando. Il governatore dello Stato del Borno (nordest della Nigeria, ndr) ci ha spiegato ad esempio che possono avere accesso a quasi tutta la popolazione locale. Boko Haram, è bene ricordarlo, è ormai spaccato in più milizie e la sua forza militare si è indebolita. Purtroppo, ci sono ancora attacchi kamikaze contro i civili, che vanno protetti.

Oltre la sicurezza, quali altri problemi teme?

La “donors’ fatigue”, la stanchezza dei donatori. C’è un accumulo di crisi umanitarie che rischiano di mettere il Lago Ciad in secondo piano. Per questo il governo norvegese andrebbe ringraziato.

Infatti in questo periodo c’è un’altra crisi umanitaria che sta minacciando oltre 20 milioni di persone in Africa dell’Est, di cui quasi 3 milioni in Somalia e 4,9 milioni in Sud Sudan. Su questi fronti, l’Italia cosa fa?

L’Italia c’è, assieme ad altri paesi naturalmente. La situazione in questa regione è molto grave, ma ad Oslo il vice segretario di OCHA, Stephen O’Brien, ci ha anche sottolineato che per la prima volta l’ONU sta intervendo in modo preventivo affinché la crisi non si trasformi in un ecatombe.

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