Mario è un ragazzo sveglio, fin troppo. Ha una famiglia disgregata alle spalle, e ha trascorso buona parte della sua preadolescenza per strada, trascurando lo studio. Ha imparato presto a muoversi nel quartiere, soprattutto in compagnia di ragazzi più grandi di lui, che lo hanno “utilizzato” per operazioni di piccolo spaccio. L’anno scorso, durante le lezioni di educazione fisica, spesso fingeva di avere il raffreddore ed essere sprovvisto di fazzolettini per chiedere di ritirarsi nello spogliatoio, dove rovistava nei portafogli di alcuni compagni, prelevando denaro.
Un giorno, insospettito dai continui raffreddori di Mario, l’ho raggiunto nello spogliatoio cogliendolo in flagranza di reato, con un portafoglio aperto in mano, subito lasciato cadere. Senza che aprissi bocca mi ha implorato di non dirlo al preside. Ho acconsentito alla sua richiesta, a patto che iniziasse per lui un periodo di “messa alla prova”. Crescere è faticoso, per Mario in particolare, e lui sperava che qualcuno lo aiutasse a tracciare un percorso capace di consentirgli di raggiungere gli obiettivi.
Il patto tra noi due prevedeva che sarebbe stato lui a gestire la cassa per comprare i biglietti per le trasferte dei campionati sportivi studenteschi, e con i soldi di tutti, compresi i miei, avrebbe pagato anche le serate in pizzeria, in caso di vittoria. La mia decisione aveva sortito seri dubbi tra i ragazzi della squadra d’istituto di basket, che già vedevano svanire i loro risparmi affidati a Mario, più conosciuto come “manolesta”.
Nel corso dei mesi successivi non ho mai perso l’occasione di sottolineare innanzi ai compagni l’impegno di Mario, premessa indispensabile perché sentisse di essere stato perdonato, e i suoi compagni lo hanno ammirato per la fatica che ha fatto. Mario quest’anno ha sottoscritto un nuovo patto per la sua vita e la crescita: impegnarsi nello studio. Naturalmente, la nomina di “amministratore delegato” della classe gli è stata conferita di diritto.
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