Famiglia
Marines tirati a lucido
Film. Troppo politically correct la guerra del Golfo di Mendes
Lascia insoddisfatti l?ultimo film di Sam Mendes. Ed è un peccato perché si tratta della prima (prematura?) riflessione sulla guerra del Golfo, condotta da un cineasta americano che nei confronti degli Stati Uniti non mostra né reverenza né arroganza. Mostra semmai una eccessiva sensibilità verso il politically correct: ragion sufficiente per connotare pensieri ed emozioni di un certo perbenismo che alla lunga tende ad appiattire ogni riflessione. Sicché le affermazioni direi tipiche – la guerra è inutile, l?uomo è potenzialmente cattivo, nessuno può dirsi immune dalle tendenze distruttive, in condizioni disumane chiunque perderebbe la sua umanità – indossano i panni dell?assioma. Eccole lì, impettite e asseverative. Tesi impomatate, con la cravatta e forse anche il doppiopetto per una pellicola che avrebbe potuto avere molte chances in più.
Perché Mendes è un regista che la macchina la sa usare bene e con una certa forza. Perché gli interpreti sono bravi (non il solo Jake Gyllenhaal). Perché la struttura narrativa di Jarhead è decisa, tripartita com?è in tre momenti anch?essi archetipici (proprio secondo il classicissimo Propp): la preparazione (l?allenamento alla guerra, negli Stati Uniti), la prova (la missione vera e propria), il ritorno (brevi flash sulla vita successiva).
Fasi connotate stilisticamente (e la migliore è la seconda, sia pure nella facile e prevedibile assimilazione tra il deserto di una guerra attesa e non guerreggiata e l?inferno), racchiuse in una cornice che suggerisce l?eterno ritorno (le medesime battute, con la voce off del protagonista, tornano all?inizio e alla fine). Come dire (e anche questa non è una tesi proprio originale): la storia si ripete a guardarla da lontano, le differenze le puoi scoprire solo nelle pieghe delle vicende.
Per raccontarci queste differenze, Mendes sceglie il filtro della memoria collettiva, rappresentata dai grandi classici bellici: Apocalypse now, Il cacciatore, Full Metal Jacket e persino M.A.S.H. (per i momenti dello ?svago? dei poveri marines). Non proprio citazioni (meglio: non solo), quanto soprattutto rimandi. Un meccanismo raffinato e interessante per misurare la distanza fra quelle guerre e Desert Storm, per suggerire il cambiamento nelle strategie belliche e ribadire il disagio di questi marines, ragazzoni carichi di muscoli, con barlumi di una nuova sensibilità, ma in preda a uno squilibrio fortissimo, esasperato, nei confronti del quale non mostrano alcuna capacità di controllo e alcuna autocoscienza.
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