Famiglia
Mariana nel Paese dei bimbi fantasma
Nell'inferno della Moldavia un'ex attrice rumena e i suoi amici volontari ridanno vita e futuro a centinaia di ragazzi
?Welcome?, benvenuti in Moldavia. Ha la copertina blu, trenta pagine scarse e un nome per niente originale il settimanale che le hostess della Moldavia airline allungano ai passeggeri dei piccoli aerei da trenta posti diretti a Chisinau, capitale del Paese, insieme a giornali russi, rumeni e copie dell?International Herald Tribune stampate a Budapest. Ma ?Welcome?, che questo mese compie cinque anni e di lune ne ha viste quasi quante la giovanissima Repubblica di Moldavia divisasi da Mosca nel 1991, non è il solito giornalino pubblicitario. A riempirlo di notizie è Basa Press, la prima agenzia di stampa indipendente della Moldavia che il benvenuto nella più piccola e più popolata delle ex repubbliche sovietiche lo dà con un elenco di dati davvero allarmanti. «L?80% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà», recita il numero del 20 Agosto, «lo Stato non paga stipendi e pensioni da mesi, il Parlamento ha appena sospeso facilitazioni e sussidi sociali finora concessi a portatori di handicap, vittime della repressione politica e delle radiazioni di Chernobyl, nella capitale l?Aids miete 300 vittime ogni 100 mila abitanti e i bambini del Paese sono ormai una generazione fantasma». Una generazione che, in teoria, conta un milione e trecentomila rappresentanti. Ma solo in teoria, perché, in pratica…
Un popolo di piccoli clandestini
«Le strade sono piene di bambini che non sono mai stati registrati all?anagrafe e, dunque, ufficialmente non esistono», spiega Mariana Petersel. Un?attrice rumena di 52 anni che in Moldavia è arrivata per la prima volta in tournée nel 1993. Ma scioccata dai 15 mila orfani del Paese, i 25 mila bambini che vi nascono con un handicap fisco o mentale, i 12.725 minori abbandonati o venduti negli istituti e, soprattutto, i bambini di strada che nessuno conta, da Chisinau non si è più mossa.
Oggi, simbolo della lotta all?indifferenza e dell?aiuto ai bambini di strada, presiede ?Salvati Copiii?. Un?associazione affiliata a ?Save the children? che conta 4000 simpatizzanti e, con l?aiuto dell?italiana Aibi, ha costruito ?Casa Aschiuta?. Una grande casa famiglia in cui accoglie i minori che abitualmente il giorno lo passano facendo l?elemosina davanti al nuovissimo Mc Donald?s e la notte rannicchiati in un condotto dell?aria calda o in stazione. Bambini e bambine al di sotto dei 14 anni che non rientrano nelle statistiche governative ma condividono la sorte dei 54 mila minori moldavi con genitori disoccupati, alcolisti o tossicodipendenti: una strada senza uscita che, se si sopravvive oltre i 5 anni, passa per il racket dell?elemosina, istituti di accoglienza che in realtà sono carceri, alcool, prostituzione e di nuovo la strada. Una terribile spirale lungo cui Mariana e i cooperanti di Aibi, gli unici che per il momento riescono ad aiutare questi bambini ?visitando? quasi ogni giorno gli istituti della capitale e ricostruendo la storia e l?identità di chi non ha alcun documento, ha guidato ?Vita?.
Qui il sapone costa più della vodka
«Letteralmente ?centro di smistamento?, ma in pratica un carcere per i bambini di strada, circa tremila solo qui nella capitale», spiega Rita Anfossi. Che a 56 anni, come volontaria di Aibi, ha trascorso l?ultimo inverno a Chisinau e non si fa ingannare dalla ?ripulita? che i poliziotti hanno dato al pavimento del centro in occasione della nostra visita e dai sorrisi che il direttore di Triere sfodera davanti a flash e taccuini.
Una mascherata che però non copre il forte odore di pipì, le chiazze d?umido e i muri scrostati del centro. Un make up sproporzionato che invece di nascondere crepe, sporcizia e squallore mette in risalto tutte le ?rughe? dell?istituto: lo sguardo perso nel vuoto e le lacrime dei suoi 15 ospiti rastrellati per strada dalla polizia che i principi, le astronavi spaziali piene di colori e i personaggi dei cartoni animati appesi al muro certo non possono averli disegnati perché non li hanno mai visti. Perché il mondo lo vedono da un angolo di strada o dagli spioncini delle celle di Triere, fuori un catenaccio fatto sparire per la nostra visita e dentro brande morbide come può esserlo un materasso di reti metalliche. Come la cella di isolamento in cui, da un giorno, sono rinchiusi due bambini di 10 e 11 anni. Isolamento? Ma perché, hanno rubato, ucciso o ferito qualcuno?
No, per i pidocchi, risponde il direttore. Pidocchi che in genere vanno via con uno shampo, ma non qui. Non dove un mix di acqua e sapone costa più della vodka, dall?inizio dell?99 per Triere sono già passati 700 bambini, il reddito familiare medio è di 50 mila lire al mese e negli Istituti come questo anche i poliziotti hanno fame e gli aiuti umanitari li portano a casa o sul mercato nero. Ne sanno qualcosa Mariana e Rita, che all?Istituto hanno portato letti e materassi in cui ora dorme la polizia e un videoregistratore donato dalla nazionale italiana di calcio che sembra sparito nel nulla. Doveva servire ai ragazzi dai 5 ai 16 anni che oggi vediamo seduti in classe. Tra loro c?è Jan che dall?Istituto è già entrato e uscito oltre 15 volte e i cui occhi cupi ti raccontano dei 209 minori alcolisti e dei 406 che fanno uso di droghe contati l?anno scorso nella capitale, ma anche chi, come Sergei, 8 o forse 10 anni, è arrivato in città da un paesino vicino a Chisinau per comprare delle patate da portare a casa. Piange raggomitolato su una sedia perché la polizia non gli crede, come a un vero carcerato gli ha tolto le stringhe dalle scarpe e lo ha rinchiuso qui. E la sua famiglia? «Abbiamo fatto di tutto per rintracciarla risponde il direttore». Ma ?fare? qui è un verbo che, sotto il dominio di Mosca, la gente ha dimenticato. E Mariana lo sa: firma una pila di fogli e Sergei lo porta a casa Aschiuta. Dove altri bambini lo accolgono e i genitori, raggiunti con una semplice telefonata, accorrono in poche ore. Per ritrovarlo erano andati dalla polizia e anche in televisione, ma qui nessuno fa, nessuno prende l?iniziativa.
Portali in istituto e lasciali morire…
In pratica a muoversi, a spezzare il torpore cui decenni di scuola, medicine, case e stipendi minimi ma garantiti hanno abituato, è solo chi, nelle grandi difficoltà, ai propri figli non è disposto a rinunciare.
Come Lucica, una donna minuta di 29 anni che ha messo al mondo due bambini con gravi difficoltà motorie e di sviluppo. «Praticamente incapaci di stare in piedi», racconta. Ai medici ha chiesto se la causa della malattia dei suoi piccoli fosse un parto difficile, Chernobyl, qualche infezione o problema genetico. Ma invano: «Portali in un Istituto e aspetta che muoiono», è stata l?unica diagnosi su cui tutti si sono trovati d?accordo. L?unico consiglio che oltre duemila famiglie con bambini disabili che in media non vivono oltre i 14 anni si sentono ripetere da quando Mosca ha chiuso i rubinetti e per essere curati in ospedale bisogna presentarsi con le lenzuola e i soldi per le medicine. Un consiglio a cui Lucica non ha creduto. Malic e Vasilica, i suoi bambini che oggi hanno 8 e 5 anni, lei li ha tenuti a casa. Un piccolo appartamento di Chisinau che nel grigio e nella disperazione di questa città da un anno è diventato il centro ?Speranta?. ?Casa speranza?, un punto di riferimento per le oltre 130 famiglie che hanno aderito all?Associazione di sostegno per i bambini con handicap fondata da Lucica nel 1997. E nel suo appartamento, sei stanze piene di calore, disegni, pupazzi e giovani volontarie che ai bambini insegnano l?inglese, a camminare e a parlare, hanno ricominciato a pensare che un futuro esista.
Un futuro che, tuttavia, al di fuori di questa casa piena di amore, ha i muri scrostati, le cucine sporche, l?odore acre di pipì, la desolazione, gli sciami di mosche e il silenzio spettrale dell?Istituto di Hincesti. Una colata di cemento dimenticato dal mondo a 20 chilometri da Chisinau che oggi ospita 203 donne dai 4 ai 43 anni. Tutte rasate a zero, tutte portatrici di handicap mentale, tutte con un sorriso vago e disarmante, tutte con un?età e perfino una sessualità indefinita e, quasi tutte, sterilizzate. Purtroppo, o per fortuna, anche loro tutte agghindate e preparate per la nostra visita. Perché così vogliono Timofei Cibotaru e Ludmila Nicolai Cretsu. Il direttore dell?istituto che continua a ripetere di non ricevere lo stipendio da sette mesi e, con il supporto di Ludmila, unica dottoressa per 203 ragazze, senza alcun imbarazzo ci urla in faccia i tristi record del suo istituto: 12 mila Lei di debito con i produttori di latte della zona, 4 educatori in tutto, sette morti dall?inizio dell?anno e una dieta, che dice, prevede carne per 9 giorni al mese. A preoccuparlo è soprattutto l?aver passato gli ultimi 4 anni senza riscaldamento. Lui, e non le piccole ospiti del centro che oggi recitano poesie agitando delle marionette di peluche. Lui, e non le bambine che Mariane e i cooperanti di Aibi hanno sempre visto nude e coperte di escrementi a fare le pulizie o a ciondolare la testa in un angolo. Lui, e non gli esserini deformati, coperti di mosche e con le ossa a vista che nel seminterrato dell?istituto, dove l?odore di pipì rende l?aria irrespirabile, digrignano i denti e ululano. «In un?ora», dice Ludmila Nicolai, che è grossa come un armadio e impartisce ordini come un generale delle SS, «vengono nutrite 18 persone». Per capire che non tutte mangiano tre volte al giorno bastano due calcoli. Basta guardare le loro facce scavate o scendere nelle cucine luride e assaggiare cosa mangeranno questa sera: «Niente zucchero, sale, vitamine o proteine», commenta Janluc Cordudal. Un medico francese di ?Pediatri senza frontiere? che fissa incredulo il sacco di pasta andata a male e insufficiente anche per cento persone e l?acqua marrone in cui verrà cotta. Il senso di impotenza che ti assale, a Hincesti, supera qualunque altra emozione. Per fortuna che loro, le bambine, non se ne rendono conto ti viene da pensare. Ma solo in teoria, perché, basta guardarsi in giro per capire che qui c?è anche qualcuno a cui il cervello funziona benissimo. Come Oksana, 15 anni e un corpo minuto da bimba di 10 anni. Da bimba venduta dalla mamma alla dottoressa Ludmila. Mariane oggi la porta a casa Aschiuta, dove Osaka verrà curata e forse racconterà di come è stata sterilizzata. Per entrare in un posto dove, in teoria, non c?è possibilità di rimanere incinta o subire violenze.
Ma solo in teoria, perché, in pratica……
Ecco come aiutarli
– Sostegno a distanza individuale: con 50 mila lire mensili è possibile sostenere una delle 176 famiglie moldave che Aibi seleziona e di cui monitora le modalità di impiego degli aiuti giunti dall?Italia .
– Sostegno al centro di Aschiuta: con 50 mila lire mensili è possibile sostenere la casa in cui Mariana accoglie i bambini di strada e partecipare alla costruzione di altre 5 centri come questo a Chisinau
– Sostegno al centro Speranta: con 50 mila lire al mese è possibile allargare il centro per il recupero neuromotorio di minori portatori di handicap fondato da Lucica e aprirne altri simili a Chisinau.
Per scegliere il tipo di sostegno che preferite e ottenere maggiori informazioni sulle modalità di sottoscrizione, potete contattare Aibi. Associazione Amici dei Bambini, via per Melegnano 10, frazione di Mezzano, 20098 S. Giuliano Milanese (Mi). Tel. 0298232102, Fax 0298232611
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