Progettare il futuro
Marginalità dei giovani, un altro sguardo è possibile
La marginalità dei giovani non riguarda solo le fasce in povertà economica e sociale, ma è trasversale e generazionale. La Diaconia Valdese con il convegno “Scrivere il futuro” si interroga su nuove modalità di approccio e intervento. Il fulcro? Smettere di parlare degli adolescenti, per parlare con loro
A Raquel brillano gli occhi quando racconta di come i professori abbiano visto un cambiamento reale nei ragazzini che frequentano il doposcuola a San Cristoforo. «Non hanno registrato solo un miglioramento scolastico in senso stretto, ma anche nel comportamento e nelle relazioni», sottolinea.
San Cristoforo è un quartiere di Catania, un luogo in cui «è normale» che ragazzini di dieci anni «siano coinvolti in pratiche illecite». Catania d’altronde – aggiunge Antonio – ha tre tristi primati a livello nazionale: una dispersione scolastica che viaggia attorno al 25%, un’incidenza della criminalità minorile che compete con quella di città di dimensioni ben maggiori, il numero di gravidanze tra adolescenti. Ma fermarsi alla denuncia e al lamento non basta. «San Cristoforo», prosegue Raquel, «è un quartiere molto stimolante, pieno di vita e potenzialità, non solo di negatività. Oggi siamo un presidio, grazie alla collaborazione fra tante realtà come WeWorld e Fondazione Stella Polaris».
Lo stesso accade a San Berillo, un altro quartiere simbolo dell’abbandono, segnato ancora oggi dai vuoti rimasti dopo che intere aree sono state rase al suolo, con gli abitanti «deportati». Usa proprio questo termine Luca, che lavora a Trame di Quartieri. I vuoti restano, come pure la prostituzione e lo spaccio, ma Palazzo De Gaetani oggi è luogo tangibile e concreto di una presenza. Lo stesso vale per Civico Zero, il centro diurno a bassa soglia di Save the Children dedicato alla protezione e alla promozione dell’integrazione dei minori stranieri non accompagnati. Per gli adolescenti sbarcati nei porti della Sicilia orientale, Catania è uno dei principali snodi. Da gennaio a giugno 2024, dice Niccolò, sono passati da qui 2.042 ragazzi, di cui 1.082 minori e 960 neomaggiorenni. Con tutte queste realtà Diaconia Valdese ha un rapporto stretto di collaborazione. Tutte queste esperienze sono state presentate nell’ambito dell’VIII Convegno dei Servizi Inclusione della Diaconia Valdese, dal titolo “Scrivere il futuro”.
Giovani tra marginalità e nuova partecipazione
«Cosa porta la Diaconia Valdese a proporre un convegno sulla prevenzione della marginalità sociale per la prevenzione delle nuove generazioni? Noi siamo marginali da circa 850 anni, è chiaro che trovarsi ai margini per scelta religiosa, sociale, culturale, personale, artistica è cosa diversa dall’essere esclusi per motivi economici e sociali, ma diciamo che sappiamo quanta energia e risorse la marginalità possa mettere in campo», ha detto Daniele Massa, presidente di Diaconia Valdese, aprendo l’evento. C’è una marginalità legata alla precarietà economica e sociale, ma c’è pure una marginalità dei giovani rispetto alla vita politica e sociale del Paese che si manifesta in modi diversi e che riguarda trasversalmente tutte le condizioni sociali, ha sottolineato il presidente: «Tuttavia si può leggere questa distanza anche dal punto di vista dei segnali positivi che in molti casi emergono, in quanto il non riconoscimento dei valori di questa società escludente da parte dei giovani porta in molti casi a rileggere e ripensare la società e le sue istituzioni da prospettive diverse, sviluppando nuove forme di partecipazione su temi come l’ambiente, il futuro del pianeta, le questioni di genere e i ritmi di vita. È fondamentale dare spazio e ascolto a queste richieste, trasformandole in soluzioni che affrontino le problematiche sociali in modo integrato mettendo in interconnessione istanze sociali avvertite, impropriamente, come separate».
La distanza dei giovani può essere letta anche in positivo, in quanto il non riconoscimento dei valori di questa società escludente li porta a rileggere e ripensare la società e le sue istituzioni da prospettive diverse, sviluppando nuove forme di partecipazione. È fondamentale dare spazio e ascolto a queste richieste
Daniele Massa
Apprendimento è partecipazione
Il tema della partecipazione e dell’attivazione dei giovani, così, ha fatto da fil rouge dell’intera giornata. Salvatore Patera, professore associato di Didattica e Pedagogia speciale presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma e autore del recentissimo Povertà educativa. Bisogni educativi interdetti e forme di esclusione (FrancoAngeli) ha evidenziato come «apprendimento e partecipazione vanno insieme»: troppo spesso diciamo che «l’apprendimento è individuale, mentre è di sociale», che l’apprendimento «è cognitivo, mentre è emotivo», che «avviene in maniera elettiva nella scuola, mentre avviene invece nella comunità». E ancora: «Noi che abbiamo dimenticato come si partecipa, pretendiamo di insegnarlo ai giovani».
Restituire spazi di partecipazione
Il pastore Francesco Sciotto, che ha moderato l’evento, spiega che «la finalità di questo appuntamento, come di tutto il nostro impegno diaconale, è quella di dare opportunità a chi si trova oggi in una condizione di svantaggio. La nostra idea di intervento sociale, come chiesa Valdese, è sempre quella di offrire un’opportunità, non di assistere e basta. In questo momento però ci rendiamo conto che – come tutto il resto della società – viviamo una difficoltà oggettiva nel trovare i linguaggi, le formule per farlo. Per questo, con le nuove generazioni, siamo in ricerca del comprendere come fare, in che modalità, attraverso quali tipi di intervento: ci serve un approccio al tema dell’educazione diverso da quello che finora in generale tutti insieme abbiamo affrontato. L’unica strada, invece di colpevolizzare le nuove generazioni o i poveri o le persone svantaggiate, mi pare debba essere quella di restituire loro spazi di partecipazione, di azione e di auto-empowerment. Ciò non toglie che mentre ci interroghiamo sul come fare, continuiamo a fare. La nostra storia di interventi sui territori, in questo come in altri ambiti, dà un’impronta chiara: occorre farlo insieme ad altri, perché abbiamo sempre da imparare».
In questo momento viviamo una difficoltà oggettiva nel trovare i linguaggi per dialogare con le nuove generazioni. Ci serve un approccio al tema dell’educazione diverso. Ciò non toglie che mentre ci interroghiamo sul come fare, continuiamo a fare
Francesco Sciotto
Loretta Malan, direttrice dell’Area Inclusione di Diaconia Valdese, a caldo afferma che «ci portiamo a casa la consapevolezza forte che è ora di muoversi e che assolutamente non dobbiamo più parlare “dei” giovani, ma dobbiamo parlare “con” i giovani. È un’idea di fondo che avevamo già nel momento in cui abbiamo pensato il convegno, ma che oggi è si è rafforzata. I giovani devono essere coinvolti nella progettazione, nelle politiche, devono avere spazio per dire i loro pensieri, per dire di cosa hanno bisogno e come vorrebbero la società del futuro, che è la loro. Tutto il mondo adulto deve veramente prendere questo come impegno, in particolare la comunità educante».
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