Welfare

Maremoto: gli aiuti ai raggi X

Uno Stato che effettua raccolta fondi, il ruolo delle Ong, l'idea di Kofi Annan, la corsa delle aziende. Questo e altro su VITA in edicola. In anteprima, l'editoriale di Giuseppe Frangi

di Giuseppe Frangi

Quanti soldi arriveranno a lui? La domanda della copertina di Vita non profit magazine di questa settimana in edicola è la domanda cruciale per il destino di tante popolazioni colpite dall?apocalittico maremoto del 26 dicembre. Una domanda su cui pesano alcune pesantissime incognite. Proviamo a passarle in rassegna. L?impegno degli Stati. L?Italia non ha certamente brillato con lo stanziamento di 72 milioni di euro. Più o meno un decimo di quanto stanziato da Australia e Germania e la metà della Norvegia. Ci si può consolare con il fatto che Spagna, Francia e Svezia si sono rivelate più avare di noi, ma non è questo il punto. Il punto è un altro, è quello che il presidente della Commissione europea, Manuel Barroso ha un po? platealmenete buttato in faccia ai suoi colleghi: «La sfida è che le promesse fatte diventino moneta sonante». I Paesi europei complessivamente si sono impegnati per 1,5 miliardi di euro. Ma non è affatto scontato che quei fondi si trasformino da parole in aiuti. A Bam, la storica cittadina iraniana colpita da un disastroso terremoto a fine 2003, sull?1,1 miliardi di dollari promessi dalla comunità internazionale, ne hanno visti poco più di 17 milioni. Honduras e Nicaragua stanno ancora aspettando i due terzi degli 8,7 miliardi di dollari promessi dopo l?uragano Mitch, nel lontano 1998. Quindi il gran mulinare di numeri di cui oggi tanti si riempiono la bocca, è bene che si trasformino in aiuto concreto. È bene, ma non è affatto scontato. L?impegno dei privati. Come spiega Gianni Rufini, docente di aiuti umanitari dell?università di York e consulente dell?Ispi, è l?unico vero ?cash? di questi momenti di emergenza. Le persone hanno risposto con una generosità davvero globale e senza precedenti (basti pensare ai 64 milioni di dollari raccolti in Arabia Saudita attraverso un apposito Telethon: sorprendente a fronte dell?irresponsabile inerzia dei governi arabi, poco solidali con i Paesi musulmani come l?Indonesia devastati dallo tsunami). Anche l?Italia ha raggiunto una somma simile con una raccolta via sms che alla fine sfiorerà i 50 milioni di euro. Ma questa raccolta è nata sotto un grande equivoco, perché è stata trasformata in una sorta di tassa di solidarietà che i cittadini hanno pagato per permettere a un organismo dello Stato, la protezione civile, di diventare operativo sul teatro della tragedia. Nessuno mette in dubbio l?efficienza e la professionalità della struttura presieduta da Bertolaso: ma uno Stato che si mette a fare raccolta fondi è decisamente un?anomalia. Paghiamo le tasse perché lo Stato abbia risorse per gestire le emergenze; non è giusto quindi, per principio, che lo Stato si impadronisca anche della generosità dei cittadini. In Germania un?analoga raccolta fondi cui ha generosamente partecipato anche Michael Schumacher è stata correttamente devoluta a organismi della società civile e delle Chiese. Così vanno le cose nel mondo, ma non in quest?Italia che si vanta di svolte neo liberali e di tagli fiscali. Le altre emergenze. È il tasto più delicato, messo in risalto da Jan Egeland, coordinatore degli aiuti di emergenza dell?Onu: l?Africa vive uno Tsumani ogni giorno, visto che oltre 400milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno. Non dimentichiamola. E soprattutto non distraiamo i fondi che già le erano stati assegnati. Un caso per tutti: il Darfur, che nonostante la pace tra Nord e Sud Sudan, resta in una situazione drammatica, umanitaria oltre che politica.

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