Non profit

Marco Revelli: L’efficacia si misura in socialità

L'Assemblea di Roma

di Maurizio Regosa

«La condizione è mantenere il rapporto paritario tra chi dà e chi riceve». Ad ascoltare il sociologo torinese i rappresentanti delle 141 aps italiane«La responsabilità del terzo settore, del volontariato e delle associazioni in generale è in aumento per via della crisi», ammonisce Marco Revelli, uno dei relatori della Seconda conferenza nazionale sull’associazionismo sociale, svoltasi a Roma e intitolata «Responsabilità ed opportunità per una società attiva». Tradotto significa che anche le associazioni di promozione sociale (aps) dovranno continuare a darsi molto da fare. Eppure già fanno tantissimo. La rilevazione più recente, realizzata dall’Istat e dal Cnel nel 2008, riferisce di 141 aps iscritte al registro nazionale che impiegano circa 50mila persone (di cui 18mila religiosi, 13mila volontari e 8mila dipendenti) con entrate per complessivi 600 milioni. Realtà (spesso grandi reti, come l’Arci, le Acli) che nel 70,2% dei casi hanno sede nell’Italia centrale, si sono costituite per lo più in tempi recenti (il 61% dopo il 1980), di dimensioni economiche eterogenee e impegnate in numerosissimi settori. Tra gli ambiti d’intervento, cultura, sport e ricreazione sono senz’altro in cima alla lista (se ne occupano 60 organizzazioni su 141), seguite dalla tutela dei diritti e dall’attività politica (29 aps) e dall’assistenza sociale che impegna 23 organizzazioni. Non basta: per occuparsi di questi autentici temi-cenerentola (provate a sussurrare la parola “cultura” al ministro dell’Economia…), le aps si servono di fondi in prevalenza privati (nell’85% dei casi). E anche in questo rappresentano una “terza via”, come ricorda Revelli: «La terzietà del non profit si fonda sul fatto che il volontariato usa la logica del dono e non quella dell’utile o dell’autorità, che appartengono al mercato e allo Stato».
Il problema, semmai, è quello di ampliare l’efficacia. «Produce socialità in un momento in cui quest’ultima è diventata una risorsa scarsa, crea legami sociali e relazioni, ma anche il volontariato potrebbe risentire gli effetti di una crisi che ha colpito duro», ammonisce Revelli. «Per di più in una società in cui c’è meno equità sociale, la logica del dono potrebbe produrre effetti perversi trasformandosi in carità, ovvero facendo venir meno il rapporto paritario fra chi dà e chi riceve».
Rischi non teorici rispetto ai quali si potrebbero prendere diverse iniziative. Ad esempio, come sollecita del resto il documento approvato dall’Osservatorio nazionale dell’associazionismo, si potrebbe arrivare alla riforma organica del Libro Primo del Codice Civile (un percorso avviato nella scorsa e ripreso nell’attuale legislatura). Poi sarebbe assai opportuno stabilizzare il 5 per mille (nel 2008, per dire, a favore degli enti di volontariato sono andate le scelte di 8,7 milioni di contribuenti per un ammontare di quasi 266 milioni). Si potrebbe, infine, sostenere la nascita di nuove imprese sociali e affrontare il problema della conciliazione fra le norme, nazionali e regionali, che riguardano le aps (oggetto di un dibattito moderato da Riccardo Bonacina). «Soprattutto», conclude Revelli, «è essenziale che la sfera pubblica non si ritragga, non abbandoni il terreno dell’assistenza agli indigenti e faccia di tutto per sostenere il volontariato in tutto quello che fa».

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