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Marco Perini (Avsi): «Senza aiuti il Libano rischia la guerra civile»
Il Paese è già in ginocchio a causa di una crisi economica fortissima; prima dell’esplosione il 50% della popolazione libanese viveva al di sotto della soglia di povertà. Ora mezza Beirut è distrutta. «Il Libano che conoscevamo fino a pochi giorni fa è morto», dice Marco Perini, regional manager di Avsi. L’ong ha lanciato l’appello #loveBeirut per supportare la ricostruzione
di Anna Spena
«Il Libano che conoscevamo fino a pochi giorni fa è morto. L’esplosione lo ha ammazzato, gli ha dato il colpo finale. L’unica domanda alla quale dobbiamo provare a rispondere adesso è “che Libano sarà domani?”. E di questa domanda dobbiamo farci carico tutti». È preoccupato Marco Perini, Regional Manager di Avsi, Ong italiana presente nel Paese dal 1996. Sono tre giorni che l’ong sta lavorando senza sosta e si muove per le strade di quello che è rimasto di Beirut.
Stando alle ricostruzioni, 2750 tonnellate di nitrato di ammonio, materiale esplosivo, si trovavano in stato di abbandono nel porto di Beirut. L’esplosione dello scorso martedì è stata drammatica. «Sono stravolto», racconta Perini. «Lo scoppio è stato impressionante e ha distrutto interi quartieri. Io abito a 15 km dal luogo dell’esplosione, sulla collina di Beirut. Ero appena rientrato da lavoro, stavo leggendo nel mio studio. Ho sentito prima un rumore incredibile, poi una folata di vento. É come se un tornado fosse entrato in casa. Io conosco il rumore dei missili, in Siria mi cadevano vicino, ma davvero uno scoppio così non l’avevo mai sentito prima».
Il bilancio delle vittime, per ora, è di 149, i feriti sono 5mila. Oltre 300mila persone hanno la casa danneggiata. Non c’è ancora una stima ufficiale di chi una casa invece non ce l’ha più. Il Libano è un paese che sembra non trovare pace e che sta già vivendo una crisi economica senza precedenti. Nei mesi scorsi dopo l’annuncio del default il debito pubblico è cresciuto, fino a rendere il Libano il terzo paese al mondo per rapporto debito/pil (170%).
Ad aggravare la situazione già precaria anche la crisi sanitaria dettata dall’emergenza Coronavirus: il giorno dell’esplosione il Libano sarebbe dovuto essere in lockdown visto l’aumento dei casi.
«Eppure», continua Perini, «i libanesi sono un popolo straordinario. Basti pensare che qui un milione e mezzo di profughi siriani ha trovato accoglienza».
Il porto di Beirut, uno dei più importanti del medio oriente, è distrutto. Ma per il Libano, che confina con Israele e con la Siria, quello era un punto di snodo fondamentale: da qui entravano merci, cibo e medicine. Adesso l’attività si è spostata al porto di Tripoli, città a nord del Paese, che però non ha capacità e infrastrutture adeguate.
Avsi per rispondere all’emergenza ha lanciato un appello #loveBeirut per sostenere la difficile ripresa del Paese. «Amore», spiega Perini, «è l’unico sentimento che proviamo per il Libano. Profondo amore per quello che è stato e che può essere». Ma da dove si ricomincia per ricostruire? «Dalle cose concrete», dice Perini. «Bisogna innanzitutto stare in mezzo alla gente. Ieri sono entrato in una casa danneggiata. Ci viveva una donna con la figlia, una bambina disabile, una famiglia povera. Le persone che ci fermano per strada, ci chiedono chi siamo. “Avsi, ong italiana”, gli diciamo. E loro “non date soldi al governo, quelli sono ladri”, ripetono, “aiutateci direttamente voi”. Le persone non si fidano di chi le governa».
Così una equipe sociale di Avsi ha iniziato a recarsi nei quartieri popolari e distrutti di Jeitawi e Four el Chebbak per individuare le famiglie povere che senza un aiuto non possono rimettere in sicurezza la casa. Una equipe tecnica è già operativa e interverrà a identificare i bisogni e i costi. Piccole imprese private selezionate, supervisionate e finanziate dall’ong ripareranno le case. La famiglia verrà accompagnata anche da un punto di vista psico-sociale verso il ritorno a una condizione di quasi normalità».
Ma la situazione in Libano precipita. La Bbc dà notizia di scontri, avvenuti la scorsa notte, tra manifestanti antigovernativi e forze di sicurezza, che hanno usato i lacrimogeni contro decine di dimostranti nei pressi del Parlamento. A Beirut è stato arrestato il direttore del porto. L’esplosione è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: «Mi chiedo», si interroga Perini, «fino a quando un papà non diventa un ladro in un negozio perché non riesce a dare da mangiare ai suoi figli. Un papà per suo figlio va a rubare. E il Libano è un Paese sempre più povero. E questo è uno scontro sociale fortissimo che rischia di portare a derive violente. Il Libano, senza aiuti, rischia la guerra civile».
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