Cultura
Marco Goran, tra Vita e New York Times
Il giovane illustratore pugliese, scelto tra i migliori 20 illustratori “under 30” a livello globale da Print Magazine, ha realizzato un manifesto per i 20 anni di Vita. E ha aperto una sua personale a Milano
«Sono un illustratore, e mi bastano quattro colori». Così si presenta Marco “Goran” Romano, una delle nuove star dell’illustrazione italiana. Ha 28 anni, pugliese di nascita e milanese di adozione. Le sue immagini si contraddistinguono per una grande forza di sintesi. Come ha dimostrato con le copertina disegnate per Vita e con il manifesto per i 20anni, pubblicato sul numero di ottobre del mensile. Goran è stato segnalato quest’anno tra i migliori 20 illustratori “under 30” a livello globale da Print Magazine. Sino al 18 ottobre a Milano è aperta una mostra dei suoi lavori, presso lo Spazio Vogh, in Via Voghera, 6.
Ci racconti i tuoi inizi da illustratore.
Quella del disegno è sempre stata una passione viscerale, fin da quando ero un bambino, anche se in passato non avrei mai pensato che sarebbe diventata la mia professione. La consapevolezza è nata in seguito, quando studiando Industrial Design mi sono avvicinato dapprima al mondo della grafica e, successivamente, a quello dell’illustrazione editoriale. Inutile dirti che è stato subito colpo di fulmine.
Hai scelto un nome d’arte. Nasconde qualche significato o è solo un brand?
Spero di non deluderti dicendo che, in vero, non ho scelto proprio nulla. “Goran” è uno di quei nomignoli che mi si è appiccicato addosso sin da quando ero adolescente. Ti dirò, all’inizio non mi piaceva affatto… ora invece è praticamente il mio nome di battesimo.
A scuola che voto in disegno?
Sempre il massimo dei voti, soprattutto in disegno tecnico. Amavo e amo tuttora giocare con le figure geometriche.
Quali sono le tue fonti d’ispirazione più importanti?
Guardo molto al passato e cerco di non farmi influenzare da ciò che stilisticamente sta caratterizzando questi anni. Essendo il mio un linguaggio iconico, spesso più vicino alla grafica che all’illustrazione, guardo con attenzione ai lavori dei grandi maestri come Milton Glaser, John Alcorn, Gerd Arntz, Massimo Dolcini, etc. Credo che sia necessario conoscere ciò che è stato per poter comprendere il presente.
Hai detto: «Se fosse per me farei tutto di un unico colore. Strano per un illustratore…»
Si, il mio stile illustrativo si contraddistingue per l’uso di pochi colori. Ne uso quattro, massimo cinque per volta, ma potrei usarne anche meno. Mi piace mettermi alla prova… penso che la sintesi di concetti che cerco di inserire nelle mie illustrazioni passi anche da una sintesi di forme e di colori. Ecco perché ricorro spesso alle figure primitive e utilizzo una palette cromatica ridotta.
Sei pugliese: riconosci qualcosa delle tue origini nei tuoi lavori?
Solo una: l’horror vacui. Da salentino d.o.c. non posso far altro che ammettere di esserne affetto. Il Barocco leccese mi possiede, fa parte della mia cultura visiva. Devo sempre riempire di particolari le mie illustrazioni.
Ma ora sei milanese: che immagine ti sei fatto di Milano? È una città che sa ancora essere creativa?
Quando sono a Milano mi sento a casa. Mi piace perché è una città in cui si respira un’aria diversa, meno italiana e più europea. La trovo molto stimolante. Alcuni pensano che, creativamente parlando, abbia già dato tutto ma hanno torto. Milano è una città viva, con un fiorente sottobosco di giovani e talentuosi designer che il mondo ci invidia: è per questo che faccio fatica a credere a chi afferma il contrario.
Hai in cantiere una mostra a ottobre a Milano. Ci anticipi qualcosa?
Si tratta della mia prima personale ed è dedicata alla città di Milano, ai suoi simboli e alle persone che la vivono. Può essere paragonata ad una gigantesca cartolina, anzi una vera e propria passeggiata ironica, surreale e vagamente romantica fra vie, edifici, icone e contraddizioni della città che mi ha adottato. Per l’occasione ho realizzato una selezione di dieci acrilici su legno di grandi dimensioni, diciotto opere di medio e piccolo formato realizzate su supporto misto, quattro disegni su carta
e due sculture.
Cuore e diamante. Ci spieghi la metafora del tuo manifesto?
Per realizzarlo mi sono concentrato su un aspetto, che credo sia anche la mission del vostro magazine: celebrare la vita in uno dei suoi aspetti fondamentali come quello dell’impegno per il sociale, per la collettività. Pensando a questo mi si è subito palesata quest’immagine: un cuore (sinonimo della vita) che è anche un trofeo. Il diamante, ovviamente, sono le realtà che si distinguono nel sociale.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.