Formazione
Marcello D’Orta e il valore delle frasi sgarrupate
Cesare Moreno è un maestro di strada: lui e D'Orta sono i maestri napoletani più famosi d'Italia: «Ci hanno confusi, ma siamo diversi», dice. «Però Marcello ci ha insegnato ad accogliere e apprezzare le frasi sgrammaticate dei ragazzi, prima di correggerle».
«Con Marcello D’Orta un sacco di gente mi ha confuso tantissime volte. Io non l’ho mai conosciuto, ma mi sono sempre schierato dalla sua parte»: così Cesare Moreno ricorda il maestro D’Orta, scomparso oggi a 60 anni, per un tumore. Cesare Moreno e Marcello D’Orta, pur molto diversi fra loro, sono i due maestri più celebri di Napoli. D’Orta con il suo libro “Io speriamo che me la cavo” ha raccontato forse per primo al pubblico di tutta Italia la “sgarrupata” scuola di Napoli, Moreno con la sua onlus Maestri di strada è da decenni in prima linea per contrastare la dispersione scolastica.
Lei che lavora nella scuola napoletana, ricorda cosa pensò quando uscì “Io speriamo che me la cavo”?
Quando il libro uscì molti dissero che era un’operazione commerciale e folcloristica. Io ho sempre pensato che non fosse un capolavoro ma un libro utile sì, perché ha portato l’attenzione sul degrado fisico e organizzativo della scuola a Napoli e lo ha fatto in un ambito non di specialisti. Per alcuni era un demerito, per me è un merito, perché la scuola e l’educazione riguardano tutta la società, non pochi specialisti.
Certo quel titolo fu particolarmente azzeccato, sono passati 23 anni e tutti se lo ricordano ancora, tanto che i seminari sulla dispersione scolastica si rifanno ancora a quel titolo.
I titoli fanno la metà dei risultati, in un libro. Lo so bene anch’io, nel nostro piccolo anche il successo di “Insegnare al principe di Danimarca”, l’opera postuma con cui mia moglie racconta la nostra esperienza di insegnanti, deve molto al suo titolo. Quello che voglio dire però è un’altra cosa: D’Orta nel suo libro ci ha fatto vedere che anche nel degrado e nelle difficoltà i ragazzi hanno una grandissima capacità di espressione, che lui ha saputo accettare. Prendendo quel titolo così sgrammaticato, ha dimostrato di saper accogliere e apprezzare queste frasi, prima di correggerle. Questo è qualcosa che dovrebbe far parte del bagaglio di tutti gli insegnanti: saper apprezzare i bambini e poi correggere. Di solito succede che si corregge subito, e non si apprezza né prima né dopo. È un’indicazione metodologica che condivido, pur essendo noi molto diversi e utilizzando metodologie differenti.
La scuola è ancora sgarrupata?
Certo. Sgarrupata non era e non è la scuola come ambiente fisico, come edifici. La scuola è sgarrupata perché è poco amata dalla società. D’Orta ha avuto anche il merito di portare a galla il disagio e la sofferenza degli insegnanti, che sono soli nell’opera educativa. Ma ci sono anche tanti segnali di speranza…
Ad esempio?
Con la onlus stiamo girando l’Italia con METIS, dei seminari formativi sulle metodologie educative territoriali di inclusione sociale: una proposta formativa per gli insegnanti che lavorano sulla dispersione scolastica. È un progetto per cui ci ha dato l’incarico il Miur, ancora ai tempi del ministro Gelmini, siamo già stati in cinque città e nel prossimo week end chiuderemo con Roma: ci dicevano che avremmo avuto 50 insegnanti, hanno partecipato in più di 700. È la dimostrazione che tanti insegnanti ancora non si sono fatti scoraggiare.
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