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Marcella e Carlo, l’affido e quel “restiamo umani”
Continua il viaggio di VITA nell'affido familiare a 41 anni dalla legge che lo ha istituito, la 184/83. Il nostro Giampaolo Cerri, egli stesso genitore affidatario, sta incontrando famiglie accoglienti in tutta Italia. A Cuneo è stata la volta di questa coppia di affidatari da oltre quattro decenni e animatori della locale sezione dell'Anfaa. Ascolta l'episodio n. 5 di "Genitori a tempo, genitori e basta"
di Redazione
Si sono appena sposati, da un anno appena, Marcella Cavallera e Carlo D’Amerio, quando dicono di sì alla prima accoglienza di una bambina. Sono loro i protagonisti del quinto episodio del podacast Genitori a tempo, genitori e basta, un viaggio nell’affido famigliare a oltre 40 anni dalla legge che lo ha istituito, la 184/83. Un viaggio per voci ideato e realizzato dal collega Giampaolo Cerri, egli stesso padre affidatario.
Cuneo, primi anni ’80
La storia di Marcella e Carlo ci porta alla Cuneo dei primi anni 80: entrambi vengono a famiglie cattoliche impegnate. «I nostri due papà provenivano da un’esperienza di parrocchia comune e, da questa, sostenuti da un sacerdote illuminato, avevano iniziato l’esperienza di partigianato», dice Marcella, insegnante della scuola primaria in pensione. Da quella storia familiare deriva una certa predisposizione «a prendersi cura dell’umanità dell’altro», per cui l’idea di costruire una famiglia aperta.
Quell’affiancamento divenuto adozione
Gli ideali finiscono appunto subito alla prova: un’assistente sociale si trova da gestire cinque fratellini in un colpo solo, per una tragedia familiare: una giovane madre morta improvvisamente. Una, molto piccola, finisce durante i fine settimana dai D’Amerio-Cavallera: «Portatela a far passeggiate in montagna, a sciare», dicevano i Servizi e i giovani sposini, entusiasti, si spupazzano la piccola in giro. «Abbiamo imparato a fare i genitori con lei», raccontano, «oggi sarebbe un tipico caso di affiancamento di un nucleo in difficolta», spiega Marcella. L’affiancare un padre in difficoltà diventa presto diventare affidatari. E poi arrivano anche i figli biologici: prima uno, poi un altro. Anni dopo, la piccola, ormai ragazzina viene adottata.
Una accoglienza via l’altra
Le accoglienze non si fermano, anche se a un certo punto, quando la primogenita accolta si sposa, uno dei figli chiede una pausa di riflessione: «“È il momento di stare un po’ tranquilli”, ci disse. E noi l’ascoltammo». Almeno per un po’, perché presto casa Cavallera-D’Amerio ricomincia ad aprirsi: affiancamenti di una giovane famiglia africana, altri affidi, minori stranieri non accompagnati. Sperimentando le varie geometrie dell’accoglienza.
L’affido e il senso di quel “Restiamo umani”
La soddisfazione? «Vedere nostra figlia realizzata nella vita di coppia, oggi madre, nonna, e professionalmente soddisfatta», dice lei. Oppure, «comprendere il mondo e le sua diversità, anche etniche e culturali, come il ragazzino africano accolto e i suoi amici che frequentano casa nostra, ci hanno insegnato a fare. Esperienza che rendono vero quell’appello di qualche anno fa, tornato attuale: “Restiamo umani”»
Rifarebbero tutto, da capo, riprendendo indietro tutte le fatiche e tutte le gioie ma ripetono: «Accogliere è un gioco di squadra: servizi, associazione, istituzioni. Non si pensi di poter far tutto da soli», dice Carlo, medico di base in pensione.
Cinque episodi, quattro tappe
Il nostro viaggio nell’affido è iniziato con un episodio con molte voci: quelle dei primi intervistati: sono Enrica e Luigi di Piacenza dell’Associazione “Dalla parte dei bambini” – Coordinamento Care, degli stessi Marcella e Carlo di Cuneo, soci della Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie – Anfaa, di cui fa parte anche Maria Teresa di Torino.
Quindi seguono le tappe del viaggio vero e proprio: è infatti dall’episodio n. 2 che iniziano i singoli racconti, come quello di Marta e Paolo, dell’Associazione Papa Giovanni XIII, che hanno aperto a tanti, grandi e piccoli, la loro casa di Misinto (Mb), soprattutto a bambini con disabilità, minori con “special needs” come si dice oggi, con bisogni speciali. A seguire, nel terzo episodio, la storia dei fiorentini Elisabetta e Luciano, associati a Famiglie per l’accoglienza: raccontano la loro esperienza di affidamento familiare, iniziata ai primi anni ’90, con una generica disponibilità ad accogliere dei minori stranieri non accompagnati: i giovanissimi albanesi che sbarcavano, a Bari, dal mercantile Vlora, brulicante umanità.
Al viaggio si aggiungeranno poi Maria Grazia con Fabio di AiBi di Milano, Karin di M’ama Roma. e Annalisa e Pasquale dell’Associazione Cometa di Como. Saranno loro i protagonisti dei prossimi episodi, on air settimanalmente.
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