Mondo

Mar del Plata: fallito il progetto di area di libero scambio

Bush incassa, mentre esulta il grande oppositore Chavez.

di Chiara Brusini

Il vertice di Mar del Plata, che ha riunito 33 capi di stato del continente americano meno uno, Fidel Castro, non invitato per imposizione di uno degli ospiti, si è concluso con il più pieno fallimento del progetto di unione neoliberale del continente americano, l’ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe). Almeno l’America Latina atlantica, quella che si riconosce nel Mercosur e che comprende Argentina, Brasile, Venezuela, Cuba, non risponde più al volere della Casa Bianca. Il progetto dell’Alca, che nasce più di dieci anni fa, durante il primo summit delle Americhe (Miami 1994), su proposta dell’allora presidente americano, Bill Clinton, rappresentava anche una grande opportunità per gli Stati Uniti, incalzati dalla concorrenza dei prodotti provenienti dai paesi emergenti, di cercare nuovi sbocchi sul modello del Nafta (l’accordo di libero scambio tra Canada, Usa e Messico). Ma le basi per il lancio del progetto apparvero traballare subito dopo, con la crescente opposizione di paesi come Brasile e Argentina. Opposizione che è apparsa ancora più evidente nel secondo e terzo vertice delle Americhe (rispettivamente Santiago del cile 1998 e Quebec City 2001), e confermati quest’anno, quando la scadenza del 1 gennaio 2005 è passata praticamente in sordina, senza che il progetto avesse alcun seguito. Il fallimento di Mar del Plata rappresenta invece una vittoria per il presidente venezuelano Hugo Chavez, grande critico degli Usa e fermo oppositore della zona di libero scambio. Il Venezuela rientra infatti nel gruppo dei cinque resistenti insieme a Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay (che formano il Mercosur). Il leader venezuelano ha addirittura proposto un progetto alternativo che prevede la creazione di una zona di scambio (anti-Ftaa), che comprenda i paesi dell’America Latina e dei Caraibi di impronta socialista. L’opposizione del Brasile nasce dalle divergenze tra Brasilia e Washington su una serie di questioni di carattere politico ed economico, e che si inquadrano tra le ampie problematiche internazionali. Il Brasile è infatti contrario ai sussidi all’agricoltura elargiti dall’amministrazione americana, ma il governo del paese non perdona neanche l’opposizione di Washington al suo ingresso nel Consiglio di sicurezza Onu, nell’ipotesi di un eventuale progetto di riforma dell’organo esecutivo delle Nazioni Unite. L’atteggiamento del leader brasiliano Lula da Silva è pertanto ora di attesa. “Qualsiasi cosa si decida prima del World Trade Organization (dell’appuntamento cioè del Doha Development Agenda, in programma per dicembre a Hong Kong), non fa altro che complicare e confondere la situazione generale”, ha dichiarato Lula a margine del vertice delle Americhe. Anche per l’Argentina ci sono questioni di carattere internazionale che impediscono un’adesione al progetto della zona di libero scambio. Primo fra tutti il contrasto con il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) sulla questione della convertibilità tra i titoli di Stato di vecchia e nuova emissione, dopo il collasso delle finanze del paese avvenuto all’inizio del decennio. Tra i più attivi sostenitori della creazione dell’area di libero scambio continentale vi è invece il presidente del Messico, Vincente Fox, che ha criticato Chavez, definendo la sua posizione “del tutto personale”. Fox ha inoltre respinto le accuse del presidente venezuelano secondo cui Washington starebbe usando le maniere forti per costringere l’adesione al progetto. “Nessuno è mai stato forzato a far parte di un accordo di libero scambio”, ha dichiarato Fox. Ma il presidente messicano si è spinto oltre chiedendo ai colleghi degli altri 29 paesi favorevoli di proseguire i lavori anche senza i cinque resistenti. L’ipotesi di Fox però sembra aver scarso fondamento poichè un’area di libero scambio orfana di economie chiave della realtà latino-americana, come Brasile e Argentina, sarebbe come creare “un’Unione Europea senza Francia, Germania o Italia”, secondo gli esperti. Del resto il vertice aveva mostrato sin dal suo inizio segnali tutt’altro che confortanti. Saranno state le proteste anti-Bush, le ovazioni da stadio per Chavez, o l’incontro “franco” tra l’inquilino della Casa Bianca e il presidente argentino Nestor Kirchner. Accolto a Mar del Plata da diecimila persone in parata per chiedergli, a suon di slogan e striscioni, di “tornarsene a casa”, il presidente Bush ha dovuto fare i conti venerdì, nel primo meeting ufficiale della sua trasferta in America Latina, con lo scetticismo di Kirchner. Durante l’incontro, definito “franco” da Kirchner, le divergenze tra i due leader sono state così marcate che la conferenza stampa, in programma al temine del vertice, si è limitata a un brevissimo scambio di battute e Bush e Kirchner hanno lasciato il palco senza rispondere alle domande dei giornalisti. Le relazioni tra Buenos Aires e Washington sono del resto da tempo fredde. L’Argentina si è opposta con decisione alla decisione americana di scatenare la guerra contro Saddam Hussein e i toni, alla vigilia del bilaterale con Bush non erano certo distesi. Il presidente Kirchner aveva promesso che “avrebbe battuto Bush con un k.o”. “Lascio questo incontro con soddisfazione – ha detto il leader argentino – perché non ci siamo visti per scambiare parole gentili ma per dire la verità”. Decisamente diverso il tono di Bush, che ha ricordato i tratti in comune tra i due Paesi e spostato il discorso sul giocatore di basket Manu Ginobili di Bahia Blanca, in Argentina, diventato una star a San Antonio dove ha portato gli Spurs a due titoli nelle ultime tre stagioni. “E’ un bravo ambasciatore del vostro Paese”, ha detto. A poca distanza, sempre a Mar del Plata, aprivano i lavori del Vertice dei popoli, svoltosi parallelamente a quello delle Americhe, a cui hanno partecipato esponenti di 500 organizzazioni sociali e politiche. Il vertice ha chiesto che il negoziato per l’Ftaa sia sospeso definitivamente”, respingendo così “la militarizzazione continentale voluta dall’Impero del nord”. Sul lungomare della località turistica di Mar del Plata, i dimostranti, almeno 10.000, sfilavano contro il mercato unico, e in generale contro la politica estera degli Stati Uniti e la guerra in Iraq. Nel frattempo il presidente venezuelano Hugo Chavez, il più convinto oppositore del piano, prima di unirsi ai colleghi per il vertice, ha parlato di fronte a quasi 10.000 manifestanti. La protesta, ha detto, è una fonte di ispirazione per dare il colpo di grazia al negoziato, una volta per tutte. Chavez ha preso la parola sul terrazzo di un palazzo di sei piani, sotto di lui uno striscione inneggiava a Che Guevara. Alla folla il presidente di Caracas ha chiesto di aiutarlo a combattere contro Bush, accanto a lui c’erano anche Diego Armando Maragona e l’aspirante presidente boliviano Evo Morales. “Soltanto uniti – ha detto – riusciremo a sconfiggere l’imperialismo. Qui a Mar del Plata il progetto del mercato unico sarà sepolto”. E sino a questo momento il leader socialista sembra aver ragione.


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