Welfare
Manzione: Vi spiego il dopo Mare nostrum e le novità sull’accoglienza
Intervista al sottosegretario agli Interni sulle questioni aperte legate ai migranti. Rivoluzione in vista nella gestione dei minori non accompagnati, apertura alle famiglie che vogliono accogliere e indicazioni per evitare i malumori delle comunità locali in cui sono presenti strutture che accolgono profughi
L’operazione Mare nostrum chiude. Anzi no. Probabilmente sì. “Verrà sostituita dall’azione europea Triton”. “No, Triton non sarà affatto la stessa cosa”. Che la gestione del flusso dei migranti in fuga da guerra e persecuzioni sia la principale gatta da pelare per il governo è evidente da mesi, e le dichiarazioni ufficiali quantomeno contrastanti che si susseguono confermano la tesi. Domenico Manzione, magistrato e attuale Sottosegretario agli Interni, aveva indicato la via maestra: Mare nostrum doveva continuare, in attesa di azioni europee con un mandato simile. Quello che è successo nelle scorse settimane ha cambiato le carte in gioco: Angelino Alfano ha dichiarato chiusa (a tutti gli effetti dal 1 novembre 2014) l’operazione navale italiana chiedendo agli Stati membri di aderire a Triton. A oggi, però, solo otto di loro l’hanno fatto, e il rifiuto delle ultime ore della Gran Bretagna è una dose aggiuntiva di preoccupazione per le sorti dei migranti che attraverseranno il Mediterraneo dalla prossima settimana. Rimane, naturalmente, l’assiduo lavoro dei tanti volontari che segnalano i problemi alle imbarcazioni o assistono i profughi nelle stazioni (la rete attorno a Nawal Soufi di Catania, l'alarmphone di Watch the med, le persone al mezzanino della Centrale a Milano, vedi articoli allegati), così come rimangono tanti i temi aperti sull’accoglienza nostrana, che abbiamo approfondito con Manzione stesso, in questa seconda parte dell’intervista (per la prima leggi qui).
Come sarà nel concreto la fase successiva alla fine di Mare nostrum?
Mare nostrum chiuderà in termini progressivi, che verranno decisi in uno dei prossimi Consigli dei ministri. Nel frattempo sta partendo Triton, che però avrà una mission diversa, più legata al controllo delle frontiere che al salvataggio dei migranti.
Nel senso che le navi di Triton non potranno salvare le persone in pericolo?
Dovranno farlo, perché è parte del loro mandato, ma non arriverà dove si è spinta finora Mare nostrum, seppure il raggio d’azione non sarà solo le 12 miglia dei confini europei ma arriverà almeno a 30 miglia. Noi comunque, con i mezzi delle capitanerie di porto, continueremo il più possibile a osservare i trattati internazionali sul soccorso delle persone in mare.
Una volta sbarcati in Italia, i migranti trovano un modello di accoglienza che oggi ha luci e ombre. Già nel 2011 con l’Ena, Emergenza Nord Africa, si parlò di business dei migranti, con strutture che si intascavano l’alto contributo giornaliero per ciascun profugo senza approntare i servizi richiesti da ministero e prefetture. Questo nuoce agli ospitati così come ai tanti modelli che invece funzionano…
Sì, ma il controllo sulla legalità delle strutture è oggi strettissimo, e sono lontani i tempi degli 85 euro al giorno che venivano dai ai gestori finali: oggi rimaniamo su una base di 30 euro, 45 per i minori, ma soprattutto le verifiche sono continue e al primo segno di opacità viene interrotto il rapporto. Nel frattempo, da luglio 2014, è stata affinata la trafila per individuare i luoghi dove ospitare i profughi nei periodi di sbarchi eccezionali, sempre in collaborazione con le prefetture, in aggiunta ai luoghi già idonei per il servizio Sprar, che oggi raggiunge i 20mila posti.
In varie zona d’Italia ci son state proteste di una parte di cittadini quando si è sparsa la voce dell’arrivo dei profughi in strutture cittadine selezionate dalla Prefettura. Gli ultimi due esempi sono Rovolon in Veneto e Vimercate in Lombardia. Componente xenofoba a parte, ci sono delle persone lamentano il fatto di non averne saputo niente fino al giorno prima. Che indicazioni può dare in tal senso?
Scelte del genere sono prese dalla Prefettura dopo averne parlato in tavoli specifici con tutti gli attori locali coinvolti, in primo luogo i presidenti delle Regioni. Senza riferirmi ai casi specifici che cita, non avendo informazioni dirette in tal senso, può succedere che in questi tavoli tali figure non si presentano: in questo caso il Prefetto deve andare avanti per la strada che ritiene migliore. Naturalmente spiace se poi si generano incomprensioni, ma ogni passaggio è frutto di un preciso ragionamento.
Come affrontare la forte resistenza di una parte dell’opinione pubblica rispetto all’accoglienza dei profughi?
Con un doppio lavoro, culturale e di comunicazione. Culturale nel senso che deve essere chiara a tutti l’importanza e il dovere che una nazione ha di accogliere persone in fuga da guerre e persecuzioni. In particolare, dal punto di vista economico non regge il leit motiv “tolgono soldi agli italiani per darli ai clandestini” perché tali fondi sono tutti o quasi, soprattutto quelli provenienti dall’Unione europea, appartenenti a voci di capitolo di spesa che non possono essere dirette ad altre azioni. Il lavoro di una comunicazione più efficace da parte nostra sta proprio nello spiegare bene questi passaggi, altrimenti le incomprensioni non fanno altro che aumentare i malumori.
La situazione dei minori non accompagnati è molto delicata: in questo anno record per gli arrivi, ovvero circa 12mila minorenni, almeno 3mila di essi hanno fatto perdere le proprie tracce. E la pgran parte non può essere ospitata dalle comunità di accoglienza, sempre più al collasso dal punto di vista economico. Quali soluzioni?
Stiamo mettendo a punto un cambiamento radicale del sistema di gestione, una sorta di Sprar dedicato ai minori. Ovvero, pensiamo a bandi di gara ad hoc per le strutture d’accoglienza, che poi riceveranno i fondi direttamente dallo Stato centrale e non dai Comuni come da legislazione in vigore: la gestione attuale ha comportato molti problemi per le difficoltà delle amministrazioni locali nel corrispondere la retta agli enti che ospitano i minori, che di conseguenza a volte non riescono più a garantire il servizio.
Lei ha lanciato l’idea di permettere alle famiglie di accogliere i migranti, minori e non solo, in cambio di un corrispettivo economico: una proposta che ha ricevuto apprezzamenti e critiche…
Su questo tema vorrei innanzitutto precisare una cosa: in alcuni articoli le mie parole sono state travisate. Non ho mai detto di volere dare 30 euro al giorno per ciascun migranti alla famiglia che accoglie, piuttosto vedo utile l’inserimento delle famiglie che lo desiderino, e che abbiano spazio a sufficienza per accogliere, nella rete di gestione attuale degli enti predisposti, in gran parte non profit. Ovvero, un ente gestore può affidare il migrante alla famiglia, per parte del tempo in cui sta effettuando il suo percorso di riconoscimento della domanda di asilo, in cambio di un indennizzo. Dopotutto, nel piccolo, esperienze in tal senso ci sono già state, per esempio in alcune Caritas diocesane italiane come in alcuni casi all’estero, in Francia e Germania.
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