Welfare
Manzione: «Schengen non è in discussione. Presto la riforma dell’accoglienza italiana»
Il Sottosegretario agli Interni con delega all'immigrazione spiega a Vita i retroscena dell'incontro dei ministri europei: "C'è malessere, ma senza il Trattato non starebbe in piedi la Ue". E anticipa un nebuloso "superamento dell'attuale Agenzia Frontex verso una Polizia di frontiera con compiti però a oggi non chiari", mentre sul fronte intento italiano è alle porte "un cambiamento radicale per velocizzare la risposta alle domande d'asilo"
Era presente, il sottosegretario agli Interni con delega all'immigrazione, Domenico Manzione, alla riunione di Amsterdam dei ministri europei che la scorsa settimana avrebbero potuto fare carta straccia di una base fondante della Ue come il Trattato di Schengen. “Non c’è stato nessun abbandono del Trattato e conto che nemmeno in futuro si arrivi a questo: sarebbe un colpo mortale all’Unione europea”, risponde esplicito Manzione quando lo raggiungiamo. L’occasione è ottima per fare un chiaro punto della situazione, sia a livello europeo – dove la paura del terrorismo è ancora alta, ma nel frattempo ogni notte un’imbarcazione nel mar Mediterraneo affonda portandosi dietro un dolore infinito per le tante vite spezzate – sia riguardo al modello di accoglienza italiana, verso il quale il sottosegretario annuncia “novità radicali”.
Iniziamo dall’Europa. Da una parte la discussione attorno a Schengen, dall’altra le recenti decisioni clamorose di Danimarca, che requisirà soldi e beni oltre i 1300 euro a ciascun profugo arrivato, e Svezia, pronta ad arrivare all’espulsione di ben 80mila persone con richiesta d’asilo respinta. Nell’Unione europea, dopo anni di tentativi falliti nel trovare una linea comune sulla gestione dei flussi, è in atto una divisione sempre più netta dove ognuno va per la propria strada?
È indubbio che siamo di fronte a un malessere generale, con Stati dotati di ottimi sistemi di welfare che da qualche tempo stanno soffrendo e di conseguenza cambiano il loro modo di porsi di fronte alle richieste europee, vedi la Svezia. Il punto cruciale è la difficoltà nel garantire sostenibilità ai piani d’azione congiunti: i ricollocamenti, per esempio, sono al momento poche centinaia di fronte alle decine di migliaia previste. Per quanto riguarda Schengen, si è deciso di attuare controlli per due anni, ma questa misura è già prevista nel Trattato, non è una sua revisione. È vero che ci sono Stati che spingono verso misure più restrittive, vedi la Francia che ha accusato un duro colpo dopo gli attentati di novembre a Parigi, ma la linea che prevale è quella che Germania e Italia hanno ribadito nel recente incontro bilaterale, ossia di mantenere saldi i principi fondanti di Schengen sulla libera circolazione di persone e merci, proprio perché è un’importante base dell’identità europea. Detto questo, è chiaro però che la Commissione europea è netta nell’indicare qual è la priorità attuale.
Qual è?
Una Polizia di frontiera europea con un mandato molto più ampio di quello che ha oggi Frontex, l’Agenzia per il controllo delle frontiere, che verrebbe superata. Si tratterebbe infatti di una nuova Agenzia con mezzi a sufficienza per operare in ogni confine esterno della Ue, cosa che oggi non avviene, si pensi alle difficoltà dell’operazione Poseidon nel mar Egeo, dove i gommoni dalla Turchia continuano a partire il conto dei morti sale di giorno in giorno. Però attualmente la Commissione non ha bene in mente cosa farebbe questa Polizia, quale mandato avrebbe, e questo è un aspetto da chiarire al più presto, perché tra le priorità va definita la prassi per garantire il diritto alla protezione internazionale dei rifugiati, un impegno che l’Unione europea si è presa e che deve essere alla base di ogni azione di controllo.
Proprio la Turchia è lo Stato – criticato da più parti per la sua poca osservanza dei diritti umani fondamentali – verso cui l’Unione europea ripone le “speranze” di un maggiore controllo dei flussi, tanto da destinarle tre miliardi di euro. Saranno efficaci tali, tanti soldi?
La speranza è questa, ovviamente. L’Europa chiede alla Turchia di mettere in sicurezza i campi profughi, di rendere dignitose le condizioni di vita delle persone arrivate dai paesi in guerra, così da permettere loro la permanenza lì senza dovere a tutti i costi tentare il viaggio verso l’Europa mettendosi nelle mani dei trafficanti. Anche l’Italia ha fatto la sua parte e ha deliberato lo stanziamento dei fondi necessari, oltre ad accettare la richiesta di inviare le navi della propria Guardia costiera nel mar Egeo, per dare una mano agli omologhi greci, in evidenti difficoltà. Nel fare questo l’Italia ha però chiesto alla Ue di lasciare fuori dal Patto di stabilità (il 3 per cento del rapporto deficit/Pil, ndr) le spese per l’accoglienza, proprio perché riguardano un tema comunitario. Altrimenti, rimanendo nel tetto di spesa come finora, è come se ci venisse detto “salvate pure vite umane, ma non troppe”.
Il premier Matteo Renzi è in Africa e passerà dalla Nigeria: tratterà il tema migranti dato che un buon numero di persone arriva in Italia proprio da quel paese ma molti si vedono respingere la richiesta d’asilo perché non è inserito nella lista dei Paesi a rischio?
Sì, parlerà anche dei migranti perché è un tema delicato che va risolto dopo profondi ragionamenti. Stiamo parlando di un territorio che alterna zone relativamente sicure ad aree in pessime condizioni umanitarie, compresi luoghi colpiti da attentati o comunque da minacce fondamentaliste.
Ieri, lunedì 1 febbraio 2016, l’Europol ha detto che negli ultimi due anni sono “spariti” 10mila Msna, Minori stranier non accompagnati. Molti spariscono dopo l’arrivo in Italia…
Sono dati drammatici. A livello di Unione europea sono state fatte poche azioni in tal senso, in Italia stiamo cercando invece di mettere in gioco tutte le forze possibili, e in questo senso è entrato in vigore il cambiamento del sistema di accoglienza per minori, che ora è equiparato ai maggiorenni ovvero allo Sprar (Servizio di protezione rifugiati e richiedenti asilo). Un primo bando da mille posti è andato a buon fine, si punta ad arrivare a 10mila che è il numero dei Msna sul nostro territorio: attraverso questo nuovo modello cambia il servizio verso questi ragazzi, nell’ottica di intercettare meglio le loro necessità e quindi evitare che si diano alla fuga, finendo così a rischio tratta.
Da tempo si discute anche della possibilità di accogliere i minori in famiglia, non in strutture. A che punto si è con tale ragionamento?
Stiamo andando avanti con prudenza, perché soprattutto con i minori è fondamentale fare un passo alla volta. Nei centri Sprar viene messa in atto una prima familiarizzazione, che dura necessariamente dei mesi. Successivamente potrebbe l’affido temporaneo potrebbe essere una soluzione, ma non diretto come invece prevede il modello toscano. È fondamentale evitare il rischio che avvenga qualcosa di sbagliato.
Per quanto riguarda gli adulti? Il Comune di Milano ha avviato un bando per l’accoglienza che ha ricevuto 47 adesioni in 15 giorni…
È la strada da perseguire. Perché le persone arrivano nelle famiglie dopo essere state nei Centri di accoglienza il tempo di vedere accettata la propria domanda d’asilo e soprattutto c’è il tempo sia di valutare la loro situazione psico-sociale sia quella di chi sui offre di ospitare. È un percorso virtuoso, in atto anche a Genova e Torino, che spero venga seguito da altre città.
A proposito dei tempi ancora piuttosto lunghi per una risposta – positiva o negativa che sia – alla domanda per l’asilo, ha in mente cambiamenti?
Sì, ho pronta una proposta da presentare al Parlamento che riformerebbe radicalmente il modello d’accoglienza italiano. Punto ad abbandonare il criterio della rappresentatività nelle Commissioni per il riconoscimento del diritto d'asilo, passando a un sistema basato su professionalità ed esclusività. Ovvero, una singola persona che effettui l’intervista con il richiedente asilo, una figura formata e assunta ex novo che abbia le competenze necessarie. Questa novità porterebbe sia a velocizzare il processo sia a garantire una migliore qualità. Lo stesso cambiamento vorrei fare anche per il profilo giudiziario, per chi alla fine deve dare il nulla osta o meno: deve essere una persona specifica, che fa solo quello, così da rendere agile uno strumento che oggi non lo è. Il recente raddoppio delle Commissioni territoriali ha reso più rapida la tempistica, ma serve un ulteriore salto per arrivare a un processo funzionale alla buona riuscita del modello d’accoglienza.
Quando prevede questo cambiamento?
Presto. Entro l’inizio della primavera il pacchetto legislativo sarà pronto per arrivare in sede parlamentare. Mi auguro che poi proceda a passo spedito fino all’approvazione.
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