Politica
Manovra? Far fuori Tremonti
Berlusconi, il governo, il Pdl e la Lega: tutti contro il ministro
Il deputato Pdl Milanese non va in carcere, salvato dai colleghi parlamentari per pochissimi voti, e nella maggioranza di governo serpeggia nuovamente la fronda nei confronti del plenipotenziario ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il pretesto, stavolta, è la sua assenza al momento del voto in aula (stava andando a Washington…). Ma il malumore è più profondo, e parte direttamente da Silvio Berlusconi.
- In rassegna stampa anche:
- LAMPEDUSA
- L’AQUILA
- WELFARE
- IL PAPA A BERLINO
“Il governo processa Tremonti” è infatti il titolo che apre oggi il CORRIERE DELLA SERA, e così riassume i fatti politici della giornata: “La maggioranza salva per sei voti Marco Milanese, l’ex braccio destro del ministro Tremonti. Contro l’autorizzazione all’arresto si sono espressi 312 onorevoli. La Lega mantiene i patti e nega la custodia cautelare richiesta dalla Procura di Napoli. «Sono soddisfatto», dice Berlusconi. Ma si apre un caso Tremonti: il ministro dell’Economia mentre si vota è in volo verso gli Stati Uniti per la riunione del Fondo monetario internazionale. «Assenza vergognosa», è l’accusa. Il superministro è difeso dai suoi collaboratori: «È una polemica insensata. Come poteva non partire?». E il premier evoca le dimissioni”. Pierluigi Battista coglie la palla al balzo e scrive il suo editoriale: “Un litigio che fa male”. Leggiamo: “«Altre domande?», ha tagliato corto ieri il premier Berlusconi quando gli hanno chiesto cosa pensasse dell’assenza di Giulio Tremonti nella votazione parlamentare per l’arresto di Milanese, consigliere del ministro. Altre domande? In effetti ce ne sarebbero. Per esempio: è possibile che il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia si trattino pubblicamente come nemici e non perdano occasione per punzecchiarsi, darsi sulla voce, mostrare a ogni occasione insofferenza reciproca e addirittura rancore? Un’altra domanda: che spettacolo è quello di un rapporto così lacerato tra premier e ministro dell’Economia quando nel mondo finanziario internazionale è tempesta perfetta, l’Italia è declassata da un’agenzia di rating e gli italiani sono chiamati a fare sacrifici durissimi?”. E Massimo Franco, nella sua Nota, stavolta in apertura di pagina 2, chiosa: “In fondo, il «caso Milanese» era considerato dagli avversari di Berlusconi l’ultima possibilità per formare un nuovo governo. Sfumata l’occasione, lo scenario più verosimile è quello di un centrodestra che tenta una manovra di ripresa, si trascina fino a dicembre e poi, sfibrato, porta l’Italia alle urne: ma con un candidato diverso da Berlusconi. Una prospettiva che conferma però quanto rischi di essere precaria l’ennesima prova di sopravvivenza offerta ieri; e insieme la difficoltà di chiudere la stagione del Cavaliere senza passare attraverso il corpo elettorale”. Il caso Tremonti è sviluppato a pagina 5: “Accuse a Tremonti: assenza vergognosa”. Scrive Paola Di Caro: “La giornata dell’ordalia su Berlusconi — se cade Milanese, cade anche lui, era l’opinione diffusa — si trasforma fin dal mattino in quella del processo a Giulio Tremonti. È infatti il ministro dell’Economia, assente al voto della Camera che doveva decretare la libertà o l’arresto del suo braccio destro, a salire sul banco degli imputati, accusato dai suoi stessi colleghi di partito e di schieramento di «insensibilità», «egoismo», «disumanità», perfino di «immoralità». «Noi ci abbiamo messo la faccia, lui dov’è?», sbotta alla Camera dopo il voto il capogruppo leghista Marco Reguzzoni, mentre Daniela Santanchè esce livida dall’Aula: «La sua assenza è umanamente vergognosa!»”. E più avanti: “Tanta ira è tracimata anche al vertice di maggioranza che si è tenuto all’ora di pranzo a palazzo Grazioli: come un sol uomo, capigruppo, ministri, coordinatori, hanno praticamente scongiurato Berlusconi di riprendere lui la guida dell’economia: «Non è possibile che il decreto per la crescita se lo faccia Tremonti da solo e noi qui a guardare», perché sul territorio alla fine «ci andiamo noi, alle elezioni ci giochiamo tutti tutto, dobbiamo avere voce in capitolo». Per questo l’invocazione è quella di costituire una sorta di «task force» a palazzo Chigi per affrontare il capitolo del taglio del debito, e assieme far partire tavoli di maggioranza — a livello di gruppi parlamentari — che dovranno partorire proposte e provvedimenti per la crescita e lo sviluppo che Tremonti dovrà accettare”. E a pagina 6 focus su Silvio: “Lo sfogo del premier: Giulio problema serio. E ne evoca le dimissioni”. Scrive Marco Galluzzo: “A fine giornata la cifra politica di tanta durezza nei confronti del ministro dell’Economia viene riassunta così nello staff del premier: «Non siamo in grado di dire, lo sa soltanto il presidente, se in questo momento possiamo fare a meno di Tremonti, ma di sicuro si sta rafforzando nel presidente una consapevolezza: con Tremonti, con questo grado di collaborazione, il governo non riuscirà a dare quel colpo d’ala che i mercati ci chiedono, ormai il ministro viene avvertito come il primo problema di questa coalizione». Sulle agenzie di stampa filtrano altre considerazioni attribuite al premier: la voglia di riportare la regia della politica economica a Palazzo Chigi, la voglia di comunicare a tutti che Tremonti «non comanda più»”.
Il titolone de LA REPUBBLICA è «La recessione affonda le Borse». Al centro della pagina la foto di Berlusconi che tiene una mano sulla testa di Bossi: «Milanese salvo per 7 voti, Tremonti sotto attacco». Con i commenti di Curzio Maltese e Giorgio Bocca. Scrive Maltese: «Meno male che c’era quasi sempre “Tremonti” a tenere sempre in ordine i conti”, come si è detto perfin dall’opposizione. A dar retta ai magistrati, pare invece che non tenesse in ordine nemmeno quelli con il braccio destro Milanese. Il Quintino Sella de’ noantri, che pensa e si illude di avere un futuro oltre il berlusconismo, non si è presentato al voto, per salvare la faccia». Mentre il «retroscena» e a cura di Francesco Bei: «Ora il Cavaliere sfiducia Giulio “Prima si dimette e meglio è”. Gelida telefonata tra i due. Il premier: “Vuole sputtanarmi”», è il titolo. «Nel giorno in cui il Pdl e la Lega salvano dalla galera il suo ex braccio destro, è Silvio Berlusconi in persona a sfiduciare Giulio Tremonti», scrive Bei. «Non un atto formale, non ancora almeno, ma un giudizio durissimo contro il ministro dell’Economia, accusato senza mezzi termini di aver tradito la causa comune. “È andato in giro in Europa a dire che ero stato io a peggiorare la manovra”, si è sfogato il premier con i suoi ministri, “e, se non ci fosse questa bufera sui mercati, avrei già fatto l’unica cosa da fare: chiedergli di andarsene”». Segue il racconto della reazione del premier: «Berlusconi (in una riunione improvvisata nella sala del governo accanto all’aula) rincara la dose. “Dal punto di vista umano, semplicemente u-ma-no, non essere venuto qui a votare per il suo amico, lasciando ad altri il compito di metterci la faccia, è una cosa indegna. Immorale”. Ai presenti il Cavaliere racconta un episodio accaduto quella mattina. “Quando Letta mi ha riferito che Tremonti non sarebbe venuto in aula a votare, l’ho fatto subito chiamare a casa. Mi ha detto che aveva prenotato un volo della “United” per le undici. Allora gli ho risposto: ma scusa Giulio, perché prendi un aereo di linea? Ti faccio preparare l’aereo di Stato, così vieni a votare e poi parti a mezzogiorno. Sapete cosa mi ha risposto? Mi ha mandato a quel paese!”». In serata si diffondono da Washington voci di dimissioni di Tremonti, ma l’entourage del ministro dell’Economia «smentisce seccamente».
“Tremonti scappa la maggioranza no”. Questo il titolo di apertura de IL GIORNALE. Tutti contro Giulio Tremonti, questo è il leitmotiv delle pagine, da 2 a 5 che vengono dedicata all’assenza del ministro dell’Economia Giulio Tremonti durante la votazione per l’autorizzazione all’arresto del suo ex collaboratore Marco Milanese. Dura è la presa di posizione nell’editoriale di Mario Giordano “Il coniglio dei ministri va in fuga”. Tremonti è definito «un ministro che dopo aver tagliato tutto il tagliabile, non ha potuto fare a meno di tagliare anche la corda», una persona che «ha sempre dimostrato di saper tenere bene in mano la borsa della spesa, ma che dal punto di vista umano è a livello di default». E alla fine quasi una rassicurazione. «Uno che si comporta come si è comportato il ministro dell’Economia in questa circostanza, infatti non potrà mai essere in grado di fare il Gran Consiglio ma al massimo il Gran Coniglio». A pag 2, articolo di cronaca della giornata (“La maggioranza tiene: niente carcere per Milanese”) con particolare rilievo alle reazioni politiche e ai quasi insulti dei vari esponenti Pdl, Stracquadanio in testa («Tremonti è il re dei codardi) quelli di Guido Crosetto che definisce l’assenza di Tremonti come «forte indicatore del valore dell’uomo». Taglio basso dedicato al “salvato” della giornata, Marco Milanese che parla a Porta a Porta, dove ha spiegato i rapporti con Tremonti (“Con Tremonti non ho alcun rapporto strano e opaco”) e il suo ruolo come collaboratore del ministro («Non ho mai avuto le mani libere sulle nomine, mi sono limitato a vagliare quelle che venivano dal mondo politico per vedere se erano di livello adeguato»). A pagina 3 le reazioni del premier Silvio Berlusconi all’assenza del Ministro dell’Economia, negli Stati Uniti per la riunione del Fondo Monetario Internazionale. Tremonti. “Berlusconi si sfoga: Tremonti indecente” , in cui il presidente del Consiglio definisce il suo ministro una persona «che va in giro per il mondo a dire che ho rovinato la credibilità dell’Italia” e che si rammarica di non “avere il potere neanche per farlo dimettere». A pag 5 invece articolo sul voto no della Lega, oggetto nei giorni passati di qualche dubbio. “Comando ancora io” Bossi canta vittoria e Maroni ingoia il rospo, in cui vengono svelati i retroscena del vertice della Lega con Bossi che avrebbe imposto il voto negativo all’arresto di Marco Milanese. Ma si sottolinea come sia la situazione reale nel partito. «In parte del carroccio resta forte il disagio di rimanere appiccicati al Cavaliere e il timore di restare sepolti in un’eventuale sua caduta, ma i tempi non sono ancora maturi».
Doppia apertura oggi per IL MANIFESTO che nella parte alta della prima pagina si occupa della crisi con un eloquente titolo che recita: “Sprofondo Italia” e subito sotto il commento di Galapagos “I conti di Tremonti non tornano mai”, anche l’editoriale di Norma Rangeri guarda alla situazione nazionale “Crisi d’opposizione”. Seconda apertura sulla richiesta da parte di Abu Mazen del riconoscimento dello stato di Palestina. Tornando ai fatti italiani “La legge non è uguale per tutti: una manciata di franchi tiratori “garantisti” salva Marco Milanese dall’arresto. Tremonti va all’estero e non vota, facendo infuriare la maggioranza. Berlusconi galleggia, incassa la tenuta del governo e chiede alla Lega il via libera sul taglio delle pensioni. Ma un altro processo lo attende: la procura di Milano lo rinvia a giudizio per il caso Bnl-Unipol” riassume il sommario di prima pagina che rinvia alle pagine 2 e 3 che si aprono con un articolo dal titolo “Avanti senza giudizio”, “Ministri e deputati furiosi per l’assenza dalla camera del superministro. E al vertice di maggioranza parte la diatriba sulla riforma elettorale” recita un primo sommario, mentre un secondo sostiene “Il Pdl processa Tremonti in contumacia. Berlusconi si prende la regia economica e chiede alla Lega il via libera sul taglio alle pensioni. Bossi prudente: «Vedremo giorno per giorno». L’Udc: a marzo si vota”. L’affondo su Tremonti meno politico e più economico è invece affidato a pagina 4 al commento di Galapagos che in prima pagina ha un attacco fulminante: «Giulio Tremonti non ne azzecca una ed è costretto periodicamente a rivedere le previsioni sull’economia italiana, sempre al ribasso e sempre da lui stesso formulate pochi mesi fa: ieri mattina il consiglio dei ministri (assente il ministro dell’economia in per Washington) ha infatti, approvato la nota di aggiornamento al Def (documento di economia e finanza) che fino a poco tempo fa si chiamava Dpef (…)» Si sono riviste al ribasso le stime sul Pil italiano. L’articolo prosegue con una serie di numeri, percentuali, analisi. Dopo i dati si sottolinea «(…) Quello che è certo è che i consumi delle famiglie, in questo contesto, non aumenteranno anche a causa di un tasso troppo alto di disoccupazione e per l’aumento della pressione fiscale (…) Come ha accolto il consiglio dei ministri l’Aggiornamento del Def?» si chiede in conclusione Galapagos «È stato un passaggio “molto veloce” che ha infastidito “molti ministri”, ha dichiarato Giancarlo Galan, ministro dei Beni culturali. Un’irritazione, ha lasciato intendere il ministro, dovuta al fatto che anche in questa occasione, “nel modo solito”, è stato presentato in consiglio “un tomo di quelle proporzioni” senza che ci fosse stato un preventivo annuncio né un’illustrazione. “Ma giustamente i miei collaboratori mi trascinano via, lasciamo perdere”, taglia corto il ministro».
IL SOLE 24 ORE dedica alla politica la pagina 15. Riassume, come al solito, Il Punto di Stefano Folli, “L’imboscata non c’è stata anche perché non è chiara l’alternativa”: «Il punto di vista politico, chi voleva la caduta del governo ha perso un’occasione che non si ripresenterà tanto facilmente. Di conseguenza, Berlusconi ha colto un successo. Data la situazione in cui si trovano lui e il suo esecutivo, un successo di rilievo. Aggrappato alla stabilità del governo come valore assoluto, il presidente del Consiglio ha evitato un’imboscata che peraltro non è stata nemmeno tentata. Infatti i sei-sette franchi tiratori del centrodestra che hanno comunque votato contro Milanese sono un segnale debole, forse troppo debole per costituire una minaccia. E anche ammesso che siano qualcuno in più, considerando l’ipotesi di un minimo di soccorso segreto arrivato dal centrosinistra o dall’Udc al deputato inquisito, si resta sempre al di sotto della soglia di guardia. Berlusconi e Bossi, soprattutto il secondo, pagano naturalmente un prezzo per la riuscita dell’operazione. La Lega una volta di più lascia interdetta la sua base e, nell’immaginario collettivo, accetta di farsi identificare con la “casta” romana. Ma è evidente che Bossi ha fatto da tempo una scelta strategica e non intende modificarla, costi quel che costi. (…) il Pd con Di Pietro e anche Vendola non riesce a rappresentare una potenziale alternativa. O almeno una sponda sicura per chi dovrà immaginare una via d’uscita all’eventuale crisi. Nemmeno la soluzione istituzionale, legata a una fase di “responsabilità nazionale”, come si dice, sembra a portata di mano. Ieri l’ha riproposta in un certo senso il sottosegretario Gianni Letta, ma non sarà ascoltato. Qualcuno lo ha anche detto: dai vertici del Pd parole molte, fatti pochi. Restava e in teoria resta l’altra ipotesi: un governo di centrodestra post-berlusconiano allargato al partito di Casini. Ma con ogni evidenza chi dovrebbe crederci non è pronto: nel Pdl o in qualche segmento della Lega. I più temono un’ondata di destabilizzazione e di vendette che farebbe seguito alla caduta del vecchio premier e del suo alleato Bossi. Per cui nessuno si espone senza certezze. Tutti aspettano non si sa bene cosa. E dal Quirinale Giorgio Napolitano è costretto a osservare con palpabile inquietudine una scena politica sfibrata, ma non fatiscente. Stabilità senza credibilità: la miscela peggiore».
AVVENIRE sottolinea che quello fra Berlusconi -Tremonti è lo scontro finale, e amplifica il malcontento della Lega. Nell’occhiello scrive «Tutta la Lega e tutto il Pdl criticano il titolare dell’economia. I lumbard sul piedi di guerra: noi ci siamo sporcati le mani per difendere e salvare il suo braccio destro e lui non ci ha messo la faccia». Un pezzo che registra gli umori nel web. Il sito ufficiale della Lega non è aggiornato, ma su quello dei Giovani padani (linkato nell’homepage del Carroccio) le critiche sprizzano rabbia e delusione. Qualcuno scrive che oggi la Lega è morta, che il ministro Maroni era l’ultima speranza e ora è finita. Tutto per salvare Berlusconi. Altri salutano e affermano di cambiare partito. Altro sito, Padania.org altri commenti che, chiosa il pezzo, rivelano che ai «militanti, duri e puri, delle Lega la linea dettata da Umberto Bossi non va giù, quelli che preferirebbero tornare a quando, negli anni di Mani Pulite, un loro eletto (Luca Leoni Orsenigo, ormai uscito dalla Lega) agitò un cappio nell’emiciclo di Montecitorio».
“Milanese si salva ma scoppia il caso Tremonti”, richiama in prima pagina LA STAMPA. E il caso scoppia per via dell’assenza ieri in aula – mentre si votava il via libera all’arresto del suo braccio destro Marco Milanese – del ministro, che “fa infuriare Pdl e Lega”. La partenza in anticipo per Washington, per la riunione all’FMI, non è piaciuta per niente a Berlusconi (“E il premier sbotta: «Giulio? Umanamente immorale». Adesso l’obiettivo di Berlusconi è spingerlo quanto prima alle dimissioni”). ma le reazioni sono durissime da tutto il fronte della maggioranza. Crosetto: La sua assenza? Un forte indicatore del valore dell’uomo. Stracquadanio: Con questo atto codardo Tremonti dà l’addio ad ogni ambizione politica. Santanché: È umanamente vergognoso. Pericolosa, per il futuro del ministro, la frase di Reguzzoni, capogruppo della Lega: Con noi ha chiuso. E commenti arrivano anche dall’esterno dell’emiciclo. Marcegaglia: Preoccupati del rapporto fra cavaliere e ministro. La mossa tremontiana ha insomma dato il là a tutti i malumori accumulati in anni di attività e atteggiamento sprezzante del ministro nei confronti dei suoi colleghi di governo. A cominciare dal premier, che dice: «Vi sembra possibile che possa stare al suo posto un ministro che va dicendo in giro, urbi et orbi, che lui ci ha messo tre anni per costruire la credibilità internazionale dell’Italia mentre io l’ho distrutta in tre settimane?». Insomma, se la partenza è stata facile (con volo di linea, anziché con volo di Stato, sottolinea il quotidiano), si preannuncia un ritorno difficile.
E inoltre sui giornali di oggi:
LAMPEDUSA
IL MANIFESTO – Richiamo in prima pagina e due pagine interne (la 6 e la 7) sono dedicate alle questioni migranti e Lampedusa. In prima il richiamo è incentrato su “Dopo la guerriglia, l’isola festeggia il patrono”, mentre nelle due pagine interne accanto al titolo “L’isola pacificata”, “Trasferiti tutti gli immigrati. Arrestati i quattro presunti capi della rivolta. Individuati grazie alle testimonianze degli altri tunisini” spiega il sommario, mentre gli altri articoli trattano di un gruppo di profughi che dopo Lampedusa, tra giugno e agosto sono stati “dislocati” in Piemonte. “Fuggiti dalla guerra in Libia, abbandonati al gelo tra le montagne piemontesi”, dell’avvio della campagna per il voto e la cittadinanza promossa da una serie di associazione come Arci, Acli, Caritas e Cgil. E per finire non manca un riferimento al veto olandese che blocca l’allargamento di Schengen a Romania e Bulgaria. “Dietro il blocco dei nuovi paesi c’è soprattutto la volontà di non garantire la libera circolazione dei rom con passaporto di Bucarest e Sofia”.
L’AQUILA
ITALIA OGGI – Il quotidiano dei professionisti dedica un pezzo al nuovo terremoto che ha colpito l’Aquila. Con l’accusa di distrazione dei fondi per 12 milioni dai soldi per il sociale che il governo ha stanziato con i fondi Giovanardi in favore dei terremotati abruzzesi, sono finiti agli arresti domiciliari Fabrizio Travesi e Gianfranco Cavaliare, ex segretario generale ed ex presidente della fondazione Abruzzo solidarietà e sviluppo.«Un ente» fa notare il pezzo L’Aquila, sisma giudiziario sulla fondazione della Curia” «che vanta tra i fondatori la curia vescovile aquilana e che ha l’obiettivo di utilizzare i fondi Giovanardi per fini sociali».
WELFARE
IL SOLE 24 ORE – “I Comuni: nuova social card da rivedere”: «La nuova social card “federalista”, che distingue fra Nord, Centro e Sud nell’erogazione del beneficio alle famiglie in disagio economico (assegnando una ricarica bimestrale da 110 a 274 euro al Nord e da 80 a 212 euro al Sud, come anticipato ieri dal Sole 24 Ore), non piace agli amministratori locali. Ad attirare le critiche dei responsabili delle politiche sociali nelle maggiori città che saranno coinvolte nella sperimentazione, non è solo la distinzione su base territoriale dei beneficiari, ma anche il ruolo marginale affidato ai Comuni nella gestione della carta acquisti. L’intermediazione con i beneficiari sarà affidata, infatti, agli enti del terzo settore. “I poveri al Sud sono ancora più poveri – spiega l’assessore alle Politiche sociali di Napoli Sergio D’Angelo – per la fragilità dei servizi di welfare sul territorio. Napoli, con Palermo, rappresenta l’epicentro della povertà nel meridione. Per questo – aggiunge – sarebbe stato necessario prevedere un sostegno maggiore, al Sud”. La bozza del decreto attuativo della nuova carta acquisti, proprio per tenere conto della maggiore incidenza della povertà assoluta al Sud, assegna a Napoli, ad esempio, quasi dieci milioni di euro (un quinto delle risorse disponibili per la sperimentazione). “Sarebbe stato meglio usare queste risorse – commenta l’assessore D’Angelo – per rafforzare la rete dei servizi sociali”. (…) Raoul Russo, assessore alle attività sociali del Comune di Palermo e delegato Anci al Welfare: “Mi lascia molto perplesso – spiega – la scelta di delegare esclusivamente alle associazioni del privato sociale la gestione della nuova carta acquisti. È necessario, invece, rafforzare la rete dei servizi sul territorio, integrando con questi la social card, e attribuire anche ai Comuni il compito di individuare i beneficiari”. Un’opinione che trova d’accordo anche Andrea Olivero, portavoce del Forum nazionale del terzo settore: “Noi siamo pronti a fare la nostra parte nella gestione della carta acquisti – spiega – ma non a scaricare la pubblica amministrazione dalle sue responsabilità. La verifica dei requisiti dei beneficiari della carta acquisti e il coordinamento di questa misura con i servizi sociali – conclude – spettano ai Comuni”.
IL PAPA A BERLINO
CORRIERE DELLA SERA – “Chiesa e abusi, capisco chi lascia”, titolo forte a pagina 18, per il racconto del viaggio in Germania di Benedetto XVI. Scrive Gian Guido Vecchi: “Ai giornalisti in aereo che gli chiedono dei fedeli che abbandonano la Chiesa per lo scandalo pedofilia, risponde: «Posso capire che davanti a questi crimini, specie se riguardano persone vicine, uno dica: questa non è più la mia Chiesa». Anche se stare nella Chiesa, «diversa da tutte le associazioni umane», significa però «essere nella rete del Signore, nella quale Dio tira pesci buoni e cattivi» e pure se ci sono «umanità terribili» bisogna restare proprio per «lavorare dall’interno contro questi scandali». Quanto alle polemiche contro la sua visita, «è normale che ci siano in una società libera» e in «un tempo secolarizzato», sorride: «Io rispetto chi esprime questa contrarietà, se questa opposizione si rivela in modo civile non ho niente da dire contro»”.
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